Ricorso patteggiamento: quando è inammissibile l’impugnazione sulla confisca
L’ordinanza n. 6208/2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui limiti del ricorso patteggiamento, specialmente quando l’oggetto della contestazione è un provvedimento di confisca. La decisione sottolinea come l’appello alla Suprema Corte, in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti, non possa trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti, ma debba rimanere confinato entro i rigidi paletti normativi.
Il Caso in Esame: La Confisca nel Contesto del Patteggiamento
Il caso trae origine dal ricorso di un soggetto che, dopo aver definito la propria posizione con un patteggiamento, ha impugnato la sentenza davanti alla Corte di Cassazione. L’oggetto della doglianza non era la pena concordata, ma la confisca di un bilancino di precisione, disposta ai sensi dell’art. 240 del codice penale in quanto bene utilizzato per commettere il reato. Il ricorrente sosteneva, in sintesi, l’inutilità di tale strumento ai fini del reato contestato, cercando di ottenere una lettura alternativa dei fatti che ne escludesse la confisca.
I Limiti del Ricorso Patteggiamento in Cassazione
La questione centrale affrontata dalla Corte riguarda l’ammissibilità di un ricorso patteggiamento che mira a una rivalutazione degli elementi di fatto. La normativa di riferimento, in particolare l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, delinea un ambito di impugnazione molto ristretto per le sentenze di patteggiamento. Non è possibile, in questa sede, rimettere in discussione la ricostruzione del fatto o l’accertamento della responsabilità, che sono stati cristallizzati con l’accordo tra accusa e difesa.
Il ricorso è consentito solo per motivi specifici, come l’erronea qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena applicata, ma non per contestare la valutazione fattuale che ha portato, ad esempio, alla confisca di un bene strumentale al reato.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile con motivazioni nette e lineari. I giudici hanno evidenziato come le censure del ricorrente fossero “generiche” e dirette unicamente a “sollecitare una diversa ricostruzione del fatto non consentita in sede di ricorso per cassazione”.
La Corte ha ribadito che l’appello contro una sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. non può avere ad oggetto l’accertamento del fatto e la valutazione della pertinenza dei beni confiscati, soprattutto quando l’utilizzo di tali beni per la commissione del reato era già menzionato nell’imputazione accettata con il patteggiamento.
Di conseguenza, stante l’inammissibilità, la Corte ha applicato l’art. 616 del codice di procedura penale, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della cassa delle ammende.
Conclusioni: Le Conseguenze Pratiche della Decisione
Questa ordinanza conferma un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: il patteggiamento è una scelta che comporta una rinuncia a contestare nel merito le accuse. L’impugnazione successiva è un rimedio eccezionale, non una nuova opportunità per rimettere in discussione i fatti. La decisione serve da monito, evidenziando che i tentativi di superare i limiti imposti dalla legge per l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento non solo sono destinati al fallimento, ma comportano anche significative conseguenze economiche per il ricorrente. Chi opta per il rito alternativo deve essere consapevole delle sue implicazioni, inclusa la quasi definitività delle statuizioni accessorie come la confisca.
È possibile contestare la ricostruzione dei fatti in un ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il ricorso avverso una sentenza di patteggiamento ha un ambito di impugnazione molto ristretto e non consente di sollecitare una diversa ricostruzione del fatto, che si considera accettata con l’accordo sulla pena.
Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
Secondo l’art. 616 c.p.p., la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma pecuniaria in favore della cassa delle ammende, il cui importo è determinato dal giudice.
Perché la confisca del bilancino è stata confermata in questo caso?
La confisca è stata confermata perché le censure del ricorrente sono state ritenute generiche e volte a un riesame del fatto, non consentito in sede di legittimità. L’utilizzo del bene per la commissione del reato era già parte dell’imputazione accettata con il patteggiamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6208 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6208 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MANDURIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/06/2023 del GIP TRIBUNALE di TARANTO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che sulla confisca del bilancino in sequestro, disposta ai sensi dell’art. 240 cod. pen. quale cosa servita a commettere il reato, le censure del ricorrente sono generiche in quanto contestano la legittimità del provvedimento, adducendo dei vizi che attengono unicamente all’accertamento del fatto, di cui si sollecita l’alternativa lettura dell’asserita inutilità del bene confiscato, nonostante l’esplic riferimento nell’imputazione al suo utilizzo per la commissione del reato, oggetto del patteggiamento;
ritenuto che il motivo di ricorso è inammissibile essendo rivolto a sollecitare una diversa ricostruzione del fatto non consentita in sede di ricorso per cassazione, ed ancor più quando si tratti – come nella specie – di sentenza di patteggiamento emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., stante il ristretto ambito dell’impugnazione come delineato dall’art. 448, comma 2 -bis, cod. proc. pen.;
ritenuto che dalla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 3000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso l’ 8 gennaio 2024