Ricorso Inammissibile: La Cassazione sulla Violenza a Pubblico Ufficiale
Quando un atto di aggressione si trasforma in un reato contro pubblici ufficiali? E quali sono i limiti per contestare una condanna in Cassazione? Una recente ordinanza della Suprema Corte chiarisce questi punti, dichiarando un ricorso inammissibile e confermando la condanna di un imputato per violenza, minaccia e lesioni a due agenti di polizia. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere la differenza tra un’aggressione tra privati e un attacco alle istituzioni, nonché i criteri che rendono un appello alla massima istanza giudiziaria destinato al fallimento.
I Fatti del Processo: dall’Aggressione alla Condanna
I fatti alla base della vicenda giudiziaria vedono un uomo, durante una lite con una terza persona, reagire violentemente all’intervento di una pattuglia di polizia. Invece di desistere, l’imputato indirizzava la propria aggressività direttamente contro gli agenti, colpendoli ripetutamente e minacciandoli mentre questi tentavano di interporsi per proteggere la vittima originaria dell’aggressione. Per questi fatti, l’uomo veniva condannato in primo grado e in appello per i reati di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) e lesioni personali aggravate (artt. 582 e 585 c.p.).
I Motivi del Ricorso e il Concetto di Ricorso Inammissibile
L’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione, affidandosi a tre principali motivi di doglianza:
La Questione del Dolo
L’imputato sosteneva di non aver avuto l’intenzione (il dolo) di aggredire gli agenti, ma solo la persona con cui stava litigando. A suo dire, la violenza contro i poliziotti sarebbe stata una conseguenza non voluta della lite principale.
La Particolare Tenuità del Fatto
In subordine, la difesa chiedeva l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), sostenendo che l’episodio fosse di gravità contenuta.
La Commisurazione della Pena
Infine, veniva contestata l’entità della pena inflitta, ritenuta eccessiva rispetto alla reale gravità dei fatti commessi.
La Decisione della Cassazione: un Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione ha rigettato in toto le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. Questa decisione implica che i motivi presentati non solo erano infondati, ma addirittura privi dei requisiti minimi per poter essere esaminati nel merito. Di conseguenza, la condanna è diventata definitiva e l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Corte
La Suprema Corte ha smontato punto per punto i motivi del ricorso.
Sul primo punto, relativo al dolo, i giudici hanno qualificato il motivo come manifestamente infondato. Dalla sentenza di appello emergeva chiaramente che l’imputato aveva indirizzato la propria azione direttamente verso gli agenti, percuotendoli e minacciandoli proprio mentre questi stavano svolgendo le loro funzioni istituzionali. L’azione non era quindi un effetto collaterale della lite, ma un attacco deliberato contro chi rappresentava la legge.
In merito al secondo motivo, la richiesta di applicazione della particolare tenuità del fatto è stata giudicata generica e fattuale. La Corte d’Appello aveva correttamente motivato la sua esclusione, valorizzando sia le conseguenze lesive dell’azione (le ferite riportate dagli agenti) sia l’ulteriore condotta minacciosa, elementi che rendono il fatto tutt’altro che tenue.
Infine, riguardo alla pena, la Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la sua determinazione è un giudizio di fatto riservato al giudice di merito. Può essere censurata in sede di legittimità solo se la motivazione è totalmente illogica, arbitraria o assente. In questo caso, la Corte d’Appello aveva ragionevolmente tenuto conto dei numerosi e gravi precedenti penali dell’imputato, anche per reati violenti. Inoltre, una motivazione dettagliata sulla pena è richiesta solo quando questa si discosta notevolmente dalla media edittale, cosa non avvenuta nel caso di specie.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza ribadisce alcuni principi chiave. Primo, la violenza diretta contro un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni costituisce un reato autonomo e grave, indipendentemente dal contesto in cui si inserisce. Secondo, non è possibile appellarsi alla Cassazione per ottenere una nuova valutazione dei fatti già esaminati nei gradi di merito. Il ricorso di legittimità deve basarsi su vizi di legge o motivazionali evidenti, non su una diversa interpretazione delle prove. La dichiarazione di ricorso inammissibile rappresenta la sanzione processuale per chi tenta di forzare questi limiti, con conseguente condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.
Quando un’azione violenta nata in un litigio con un privato si configura come violenza a pubblico ufficiale?
Quando l’azione aggressiva, come percosse o minacce, viene volontariamente e direttamente indirizzata contro gli agenti di polizia che intervengono nell’esercizio delle loro funzioni per sedare la lite, come stabilito dalla sentenza di merito.
Perché la Corte di Cassazione può dichiarare un ricorso inammissibile senza entrare nel merito dei fatti?
La Corte dichiara un ricorso inammissibile quando i motivi presentati sono manifestamente infondati, generici, o mirano a una rivalutazione dei fatti già accertati dai giudici di primo e secondo grado, cosa non consentita nel giudizio di legittimità.
Quali elementi impediscono l’applicazione della ‘particolare tenuità del fatto’ in un caso di violenza a pubblico ufficiale?
Secondo l’ordinanza, l’applicazione di tale beneficio è esclusa quando la condotta ha prodotto conseguenze lesive (ferite agli agenti) e si è accompagnata a un’ulteriore condotta minacciosa, elementi che denotano una gravità non trascurabile del fatto. Anche i precedenti penali dell’imputato sono stati ritenuti rilevanti per la valutazione complessiva.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 29816 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 29816 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME a CATANZARO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/10/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
parti;
dato avviso alle udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME impugna la sentenza in epigrafe indicata, che ne ha confermato la condanna per i delitti di cui agli artt. 337, 582 e 585, cod. pen.. Il ricorso denuncia violazione di legge e vizi di motivazione in punto di: I) sussistenza del dolo; II) esclusione della particolare tenuità del fatto, ex art. 131-bis, cod. pen.; III) commisurazione della pena.
2. Il ricorso è inammissibile.
2.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Il ricorso deduce che l’imputato abbia agito solo per percuotere una terza persona, con cui era in atto una lite al momento dell’intervento dei poliziotti. Si legge però in sentenza che, nel prosieguo, egli ha indirizzato la propria azione direttamente verso gli agenti, percuotendoli ripetutamente e minacciandoli, mentre essi si frapponevano al fine di evitare l’aggressione al terzo, nell’esercizio delle funzioni loro espressamente assegnate dall’art. 55, cod. proc. pen..
2.2. Il secondo motivo è generico e in fatto, a fronte di una motivazione incensurabile, perché non irragionevole, avendo la sentenza valorizzato le conseguenze lesive dell’azione e l’ulteriore condotta minacciosa verso i poliziotti.
2.3. Il terzo non è consentito. In tema di trattamento sanzioNOMErio, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in questa sede, se non nei limiti del mero arbitrio o del ragionamento del tutto illogico, contraddittorio od immotivato (nello specifico, invece, la Corte d’appello ha ragionevolmente valorizzato i numerosi precedenti dell’imputato, anche per reati gravi e violenti). In particolare, poi, quanto alla pena, una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito è necessaria soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale: ciò che non ricorre nel caso di specie.
All’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equa in tremila euro, non ravvisandosi assenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso, il 28 giugno 20
Il Consi Ìiere estensore
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Il FFqsidente