Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45363 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45363 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 24/12/1986
avverso la sentenza del 15/05/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
Vaghe COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo con un primo motivo vizio di motivazione in ordine alle censure poste con l’atto di appello e, in particolare, alla richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto, alla richiesta di assoluzione per insufficienza di prova e al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente lamenta, altresì, con un secondo motivo, violazione degli artt. 192, comma 3, cod. proc. pen, 238-bis e 587 cod. proc. pen. dal momento che la Corte di appello ha ritenuto, ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen., di poter desumere elementi di valutazione per la responsabilità dell’odierno imputato dalla sentenza divenuta irrevocabile per mancata impugnazione del coimputato COGNOME
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il primo motivo di ricorso, in punto di responsabilità, non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché è riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non è scandito da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata ed è privo della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’a impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui <princip possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Quanto alla denunzia di violazione dell'ad 192 cod. proc. pen. va ricordato che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità, la mancata osservanza di una norma processuale ha rilevanza solo in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità.
Le Sezioni Unite hanno recentemente chiarito che i·i tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse al motivazione, fissati specificamente dall'art. 506, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME Rv. 280027 – 04 che a pag. 29 ricniama Sez. 1, n. 1088 del 26/11/1998, dep. 1999, Condello, Rv. 212248; Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012,
COGNOME, Rv. 254274; Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, COGNOME, Rv. 277518; vedasi anche Sez. 6, n. 4119 del '30/05/ 2019, dep. 2020, Romeo Gestioni s.p.a., Rv. 278196; Sez. 4, n. 51525 del 4/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, COGNOME e altro, Rv. 271294; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567; Sez. 6, n. 7336 del 8/1/2004, Meta ed altro, Rv. 229159-01; Sez. 1, n. 9392 del 21/05/1993, COGNOME, Rv. 195306).
Condivisibilmente, per Sez. U, n. 29541 del 16/7/2020, NOME Rv. 280027 (pag. 29) « la specificità del motivo di cui all'art. 606, comma 1, lett. e), dettat in tema di ricorso per cassazione al fine di definirne l'ammissibilità per ragioni connesse alla motivazione, esclude che l'ambito della predetta disposizione possa essere dilatato per effetto delle citate regole processuali concernenti la motivazione, utilizzando la "violazione di legge" di cui all'art. 506, comma 1, lett. c), ciò sia perché la deducíbilità per cassazione è ammissibiìe solo per la violazione di norme processuali "stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o de cadenza", sia perché la puntuale indicazione di cui alla lettera e) ricollega a tale limite ogni vizio motivazionale. D'altro canto, la riconduzione dei vizi di motivazione alla categoria di cui alla lettera c) stravolgerebbe l'assetto normativo delle modalità di deduzione dei predetti vizi, che limita la deduzione ai vizi risultanti "dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" , laddove, ove se fossero deducibili quali vizi processuali ai sensi della lettera c), in relazione ad essi questa Corte di legittimità sarebbe gravata da un onere non selettivo di accesso agli atti. Queste Sezioni Unite (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092) hanno, infatti, da tempo chiarito che, nei casi in cui sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., un error in procedendo, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può procedere all'esame diretto degli atti processuali, che resta, al contrario, precluso dal riferimento al testo del provvedimento impugnato contenuto nella lett. e) del citato articolo (oltre che dal normativamente sopravvenuto riferimento ad altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame), quando risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
I giudici del gravame del merito hanno dato conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto e hanno speso diverse argomentazioni per respingere le censure poste con l'atto di appello.
La Corte territoriale, in particolare, ha motivato su come il compendio probatorio che permette di pervenire al di là di ogni ragionevole dubbio alla affermazione di responsabilità penale nell'imputato sia costituito: a) dalla deposizione attendibile del teste COGNOME con cui l'operante riferisce di aver notato i tre uomini
intenti ad armeggiare sui binari e di averli seguiti fino a che non erano entrati nelle due auto successivamente perquisite; b) dal fatto che erano tre i soggetti monitorati e poi trovati nelle auto dagli operanti; c) dalla circostanza che un coimputato è già condannato con sentenza definitiva; d) dal fatto che lo COGNOME ha ammesso di aver trascorso la serata con gli altri due coimputati; e) dall'essere stata accertata la consumazione del reato sulla base del fatto che sui binari dove sono stati avvistati gli imputati sono stati rinvenuti arnesi utili al trasporto del materiale, nonch una matassa di cavo di rame del diametro di 2 metri e peso di 50 chili.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia i ricorrenti chiedono una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato in quanto si prospettano enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità.
La Corte territoriale, infatti, ha correttamente applicato l'art. 238 bis cod. proc. pen. dal momento che ha considerato l'irrevocabiAtà della condanna di uno dei coimputati non come elemento autosufficiente a provare la responsabilità anche dell'odierno ricorrente, ma l'ha valutata unitamente agli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio.
Ed invero, costituisce ius receptum il principio secondo cui le sentenze irrevocabili acquisite ai sensi dell'art. 238 bis cod. proc. pen. sono valutate, al pari delle dichiarazioni dei coimputati nel medesimo procedimento o in procedimento connesso, attraverso la verifica dei necessari riscontri che possono consistere in elementi di prova sia rappresentativa che logica. (Sez. 6 n. 42799 del 30/09/2008, COGNOME, Rv. 241860 – 01).
Dunque, l'acquisizione agli atti del procedimento, ai sensi dell'art. 238 bis cod. proc. pen., di sentenze divenute irrevocabili non comporta, per il giudice di detto procedimento, alcun automatismo nel recepimento e nell'utilizzazione a fini decisori dei fatti e dei relativi giudizi contenuti nei passaggi argomentativi della motivazione delle suddette sentenze, dovendosi al contrario ritenere che quel giudice conservi integra l'autonomia e la libertà delle operazioni logiche di accertamento e formulazione di giudizio a lui istituzionalmente riservate. Sez. 1, n. 11140 del 15/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266338 – 01; Sez. 4, n. 10103 del 01/02/2023, Manuali, Rv. 284130 – 01
Tuttavia, la sentenza definitiva resa in altro procedimento penale, acquisita ai sensi dell'art. 238 bis cod. proc. pen., può essere utilizzata non soltanto in relazione al fatto storico dell'intervenuta condanna o assoluzione, ma anche ai fini della prova dei fatti in essa accertati, ferma restando l'autonomia del giudice di valutarne i contenuti unitamente agli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio, in rapporto all'imputazione sulla quale è chiamato a pronunciarsi (cfr. Sez. 2, n. 52589 del 06/07/2018, NOME, Rv. 275517 – 01 in una fattispecie relativa a sentenza assolutoria dal reato di falsa testimonianza utilizzata per la verifica di attendibilità di un teste esaminato nel giudizio "ad quem'').
In altri termini, le risultanze ch un precedente giudicato penale acquisite ai sensi dell'art. 238 bis cod. proc. pen. devono essere valutate alla stregua della regola probatoria di cui all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., ovvero come elemento di prova la cui valenza, per legge non autosufficiente, deve essere corroborata da altri elementi di prova che lo confermino (cfr. Sez. 1, n. 4704 del 08/01/2014, Adamo, Rv. 259414 – 01).
Manifestamente infondato è anche il profilo di doglianza in punto di diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche — che viene inserito alquanto genericamente nel primo motivo proposto -, laddove i giudici di appello hanno motivatamente valutato negativamente per l'odierno ricorrente, i plurimi precedenti penali per reati analoghi e l'assenza di qualsiasi condotta espressiva di resipiscenza o intento riparatore.
Il provvedimento impugnato appare, perciò, collocarsi nell'alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell'as solvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dag atti, ma sia sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (cos Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato I diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell'imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
In caso di diniego, soprattutto dopo la specifica modifica dell'articolo 62bis c.p. operata con il d.l. 23.5.2008 n. 2002 convertito con modif. dalla I. 24.7.2008 n. 125 che ha sancito essere l'incensuratezza dell'imputato non più idonea da sola a giustificarne la concessione va ribadito che è assolutamente sufficiente, come avvenuto nel caso che ci occupa, che il giudice si limiti a dare conto in motivazione di avere ritenuto l'assenza di elementi o circostanze positive a tale fine (cfr. ex
mu/tis Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME ed altri, Rv. 260610 – 01; conf. Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986 – 01).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 21/11/2024