Ricorso Inammissibile: L’Analisi della Cassazione su Prova e Motivazione della Pena
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha dichiarato un ricorso inammissibile, fornendo importanti chiarimenti sui limiti del giudizio di legittimità. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere quando un’impugnazione non può superare il vaglio della Suprema Corte, in particolare riguardo alle censure sulla valutazione delle prove e sulla motivazione della pena. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione.
I Fatti del Caso
Il procedimento trae origine dalla condanna di una donna per un reato previsto dal Testo Unico sulle spese di giustizia (art. 95 d.P.R. 115/2002). La Corte d’Appello aveva confermato la sua responsabilità penale. L’imputata, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. Travisamento della prova: Secondo la difesa, i giudici di merito avevano erroneamente interpretato le prove relative alla convivenza dell’imputata con i suoi familiari. Tale convivenza, non dichiarata, era stata accertata sulla base della deposizione di un agente di polizia giudiziaria e da elementi indiretti, come la risoluzione di un altro contratto di locazione. La difesa proponeva letture alternative dei fatti.
2. Mancanza di motivazione sulla pena: Si contestava che la Corte d’Appello non avesse fornito una risposta esaustiva ai motivi di gravame relativi alla quantificazione della pena, limitandosi a un generico riferimento alla riduzione per le attenuanti generiche.
Le Motivazioni del Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi, dichiarando l’intero ricorso inammissibile. Le argomentazioni della Suprema Corte sono cruciali per comprendere la funzione e i limiti del giudizio di legittimità.
La Critica alla Prova non è Travisamento
Sul primo punto, la Corte ha chiarito una distinzione fondamentale: criticare l’interpretazione del significato di una prova è diverso dal denunciare un ‘travisamento della prova’. Il travisamento si verifica quando il giudice afferma che un documento o una testimonianza dicono qualcosa che in realtà non dicono. Nel caso di specie, la ricorrente non contestava il contenuto della deposizione dell’agente, ma il significato che i giudici ne avevano tratto.
La Cassazione ha sottolineato che proporre una propria valutazione dei fatti, per quanto plausibile, non è consentito in sede di legittimità. Questo è particolarmente vero in presenza di una ‘doppia conforme’, cioè quando sia il Tribunale che la Corte d’Appello sono giunti alla medesima conclusione sui fatti. In tali casi, per contestare la ricostruzione fattuale, è necessario dimostrare un errore macroscopico e palese nella lettura delle prove, non una semplice interpretazione diversa.
La Motivazione sulla Pena: Sintetica ma Sufficiente
Anche il secondo motivo è stato ritenuto infondato. La Corte ha spiegato che una motivazione non ‘esaustiva’ non è automaticamente una motivazione mancante o illogica. Nel caso concreto, la Corte d’Appello aveva ritenuto la pena equa, pur essendo notevolmente inferiore alla media e vicina al minimo legale, in considerazione della gravità del fatto.
La gravità era stata desunta dalla notevole discrepanza tra il reddito dichiarato dall’imputata (circa 8.000 euro) e quello familiare effettivo (circa 50.000 euro). Pertanto, la decisione di applicare una pena contenuta, grazie alle attenuanti generiche, era stata implicitamente ma sufficientemente giustificata. Non è richiesto al giudice di appello di rispondere punto per punto a ogni argomentazione difensiva se la sua motivazione complessiva è coerente e logica.
Le Conclusioni
La decisione in esame ribadisce principi consolidati della procedura penale. Un ricorso inammissibile è la conseguenza inevitabile quando l’impugnazione tenta di trasformare la Corte di Cassazione in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. La critica deve vertere su vizi di legittimità, come l’errata applicazione della legge o una motivazione manifestamente illogica o inesistente, e non sulla richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove. L’esito per la ricorrente è stato la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale in caso di inammissibilità.
Quando una critica alla valutazione delle prove può essere fatta valere in Cassazione?
Una critica alla valutazione delle prove è ammissibile in Cassazione solo se si configura come un ‘travisamento’, cioè quando si dimostra che il giudice ha basato la sua decisione su una prova inesistente o ne ha alterato palesemente il contenuto. Non è sufficiente proporre una diversa interpretazione del significato di una prova correttamente riportata.
Una motivazione breve sulla pena è sempre considerata insufficiente?
No. Secondo la Corte, una motivazione sulla pena, anche se non ‘esaustiva’ e sintetica, è considerata sufficiente se risulta logica e coerente con gli elementi del caso. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva considerato la gravità del fatto (notevole discrepanza di reddito) ma aveva comunque concesso una pena vicina al minimo, ritenendola congrua. Questo è stato giudicato un ragionamento adeguato.
Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. L’importo di tale somma è determinato dal giudice in base alla causa di inammissibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7216 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7216 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a MELITO DI PORTO SALVO il 23/08/1986
avverso la sentenza del 08/10/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
La Corte d’appello di Reggio Calabria, con la pronuncia di cui in epigrafe, ha confermato la responsabilità di NOME COGNOME in merito al reato di cui all’art. 95 d.P.R. 30 giugno 2002, n. 115.
Nell’interesse dell’imputata è stato proposto ricorso fondato su due motivi (di seguito enunciati ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.). Con il primo motivo si deducono: a) il travisamento della prova in ordine alla convivenza della prevenuta con altri familiari, dalla stessa non dichiarata, essendo stata accertata solo in via indiretta (dalla deposizione di un appartenente alla polizia giudiziaria) e in ragione dell’aver ella convissuto con essi e nella loro abitazione, argomentando dalla risoluzione del contratto di locazione di altra abitazione concluso dall’imputata; GLYPH b) GLYPH l’assenza di argomentazione in relazione alle diverse ipotesi ricostruttive prospettate dalla difesa e aventi carattere alternativo. Con il secondo motivo si deduce la mancanza di esaustiva risposta in ordine al motivo d’appello sindacante la commisurazione giudiziale della pena, avendo la Corte d’appello fatto mero riferimento all’intervenuta riduzione in applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorso è inammissibile per plurime ragioni.
3.1. In luogo di un travisamento della prova (dedotto con il primo motivo), che, necessariamente, per essere tale, deve ricadere sul significante, la ricorrente, peraltro con proprie valutazioni di natura probatoria, critica significato tratto dai giudici di merito dalla deposizione resa in primo grado dell’appartenente alla polizia giudiziaria, circa la convivenza delle prevenuta con altri familiari nella comune abitazione, peraltro limitandone il riferimento all Corte d’appello nonostante si versi in ipotesi di c.d. «doppia conforme», necessitante quindi della deduzione di un travisamento da parte dei giudizi dei due gradi di merito (ex plurimis, Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777 – 01).
3.2. Parimenti inammissibile è la seconda censura di cui al primo motivo in quanto, oltre che sostanziatasi nella mera proposizione di proprie valutazioni fattuali, dedotta in termini perplessi in quanto alternativi (quindi aspecifici). ricostruzione dei giudici di merito circa la convivenza dell’imputata con altri familiari e presso la comune abitazione, diversa da quella di cui alla dichiarazione resa all’Autorità in sede di ammissione al beneficio in oggetto, a dire del ricorrente, difatti, non si sarebbe confrontata con la possibilità per cui l’imputat potesse vivere da sola in altro luogo ovvero nell’abitazione da lei locata e nonostante la risoluzione del relativo contratto.
3.3. Manifestamente infondato è infine il secondo motivo di ricorso, peraltro formulato (contrariamente al disposto di cui all’art. 606 cod. proc. pen.) in termini di mera motivazione non «esaustiva», avendo la Corte territoriale ritenuto congrua ed equa la pena, notevolmente inferiore alla media edittale e prossima al minimo, in considerazione della gravità del fatto, valutata anche in relazione alla notevole discrepanza tra il reddito familiare (50.000,00 euro) e quello dichiarato dalla prevenuta (8,000,00 euro).
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen. (equa in ragione dell’evidenziata causa d’inammissibilità).
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
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