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Ricorso inammissibile: valutazione prove e attenuanti

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile avverso una condanna per detenzione di stupefacenti. L’ordinanza ribadisce che il giudizio di legittimità non consente una nuova valutazione delle prove, compito esclusivo dei giudici di merito. Viene inoltre confermata la discrezionalità del giudice nel concedere le attenuanti generiche, purché la decisione sia logicamente motivata.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: I Limiti del Giudizio di Cassazione sulla Valutazione della Prova

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sui confini del giudizio di legittimità, chiarendo perché un’impugnazione che mira a una nuova valutazione delle prove sia destinata a un esito di ricorso inammissibile. Questo principio fondamentale distingue nettamente il ruolo della Suprema Corte da quello dei tribunali di merito, che sono gli unici deputati ad accertare i fatti. Analizziamo come la Corte abbia applicato questa regola a un caso di detenzione di sostanze stupefacenti.

I Fatti del Caso

Il procedimento trae origine dalla condanna di un imputato per il delitto di detenzione di stupefacenti. La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva riqualificato il reato in un’ipotesi di minore gravità (comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990), riducendo la pena a 10 mesi di reclusione e 1.000 euro di multa.

Nonostante la riduzione di pena, l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. Una presunta violazione di legge (art. 192 c.p.p.) e un vizio di motivazione riguardo alla valutazione delle prove che avevano portato alla sua condanna.
2. La violazione dell’art. 62-bis c.p. per il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nella loro massima estensione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha tagliato corto, dichiarando il ricorso inammissibile in ogni sua parte. Questa decisione non entra nel merito delle argomentazioni difensive, ma si ferma a un livello preliminare, stabilendo che i motivi proposti non erano ammissibili in sede di legittimità. Di conseguenza, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni della Suprema Corte

L’ordinanza spiega in modo dettagliato le ragioni giuridiche che hanno portato a questa conclusione, distinguendo nettamente i due motivi di ricorso.

Il Primo Motivo: Impossibilità di Rivalutare le Prove e il Conseguente Ricorso Inammissibile

Il cuore della decisione risiede nella trattazione del primo motivo. La Corte ribadisce un principio consolidato: non è possibile denunciare la violazione dell’art. 192 c.p.p. (norma sulla valutazione della prova) come se fosse una violazione di legge processuale ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p. Quest’ultima, infatti, si applica solo quando la violazione di una norma procedurale è sanzionata con nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza.

In sostanza, l’imputato, lamentando un’erronea valutazione degli elementi di prova (il rinvenimento di 64 grammi di stupefacente occultati), stava chiedendo alla Cassazione di fare ciò che non può fare: agire come un terzo giudice di merito e sostituire la propria valutazione a quella, concorde, dei due gradi di giudizio precedenti. Il ricorso, sotto la veste di una violazione di legge, celava in realtà una critica alla ricostruzione dei fatti. La Corte ha quindi qualificato il motivo come un tentativo non consentito di ottenere una rivalutazione del compendio probatorio, rendendo il ricorso inammissibile.

Il Secondo Motivo: La Discrezionalità del Giudice sulle Attenuanti Generiche

Anche il secondo motivo è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte territoriale aveva giustificato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nella massima estensione in ragione del contesto grave in cui il reato era maturato, ovvero all’interno di un istituto penitenziario.

La Cassazione ha ritenuto questa motivazione pienamente logica e sufficiente. Le decisioni relative alla concessione e alla quantificazione delle attenuanti rientrano nella valutazione discrezionale del giudice di merito. Il sindacato di legittimità può intervenire solo se la motivazione è palesemente illogica, arbitraria o del tutto assente, circostanze non riscontrate nel caso di specie.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma con forza la netta separazione tra il giudizio di fatto, riservato ai tribunali di primo e secondo grado, e il giudizio di legittimità, di competenza della Corte di Cassazione. Chi intende ricorrere alla Suprema Corte deve formulare motivi che attengano a reali violazioni di legge o a vizi logici manifesti della motivazione, senza tentare di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti. In caso contrario, l’esito sarà un ricorso inammissibile, con l’ulteriore conseguenza della condanna al pagamento di spese e sanzioni pecuniarie.

È possibile contestare davanti alla Corte di Cassazione il modo in cui un giudice ha valutato le prove?
No, non è possibile chiedere alla Corte di Cassazione una nuova valutazione delle prove. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non riesaminare i fatti come farebbe un tribunale di merito. Un motivo di ricorso basato sulla violazione delle regole di valutazione della prova (art. 192 c.p.p.) è, per questo, inammissibile.

Perché il ricorso sulle attenuanti generiche è stato respinto?
Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato perché la decisione sulla concessione delle attenuanti generiche è ampiamente discrezionale. La Corte d’appello aveva motivato la mancata concessione nella massima estensione in base al contesto in cui il reato era avvenuto (un carcere), e la Cassazione ha ritenuto tale motivazione logica e sufficiente.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo il rigetto del ricorso, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte senza valide ragioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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