Ricorso Inammissibile: Quando le Censure di Fatto non Bastano in Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. Quando un ricorso inammissibile viene presentato con l’intento di ottenere una nuova valutazione delle prove, la sua sorte è segnata. Questo caso, riguardante un tentato furto pluriaggravato, offre un chiaro esempio dei limiti entro cui deve muoversi un ricorso per cassazione per avere speranza di essere accolto.
I Fatti di Causa
Il ricorrente si era visto confermare dalla Corte d’Appello la condanna per il reato di tentato furto pluriaggravato. Non ritenendo giusta la decisione, ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi principali per contestare la sentenza di secondo grado.
I Motivi del Ricorso
L’imputato ha basato la sua difesa su tre argomenti:
1. Vizio di motivazione: Contestava la correttezza delle argomentazioni della Corte d’Appello, in particolare riguardo alla svalutazione della sua versione dei fatti, ritenendola generica e infondata.
2. Violazione delle regole di valutazione della prova: Sosteneva una violazione dell’art. 192 del codice di procedura penale, accusando i giudici di merito di aver mal governato le regole per la valutazione del compendio probatorio.
3. Mancato riconoscimento della tenuità del fatto: Lamentava il diniego della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis del codice penale, sostenendo la particolare tenuità del fatto commesso.
Le Motivazioni della Cassazione sul Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte ha esaminato ciascun motivo, giungendo a una conclusione netta: il ricorso inammissibile non poteva essere accolto. Vediamo nel dettaglio le ragioni di questa decisione.
Genericità delle Censure e Limiti del Giudizio di Legittimità
Il primo motivo è stato giudicato generico e manifestamente infondato. La Corte ha osservato che il ricorrente si era limitato a contestare solo una piccola parte dell’ampio ragionamento svolto dai giudici d’appello per confutare la sua credibilità. Le doglianze, secondo gli Ermellini, si traducevano in mere censure di fatto, ovvero in una richiesta di rivalutare le prove, un’operazione che esula completamente dai poteri del giudice di legittimità.
La Violazione dell’Art. 192 c.p.p. non è un Vizio di Legge Automatico
Anche il secondo motivo è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha richiamato un consolidato orientamento giurisprudenziale, incluse le Sezioni Unite (sent. Filardo, 2020), per cui non è possibile denunciare la violazione dell’art. 192 c.p.p. come vizio di legge ai sensi dell’art. 606, lett. c), c.p.p., se non nei casi in cui l’inosservanza della norma sia sanzionata con la nullità o l’inutilizzabilità della prova. In altre parole, contestare il modo in cui il giudice ha ‘pesato’ le prove non costituisce un errore di diritto sindacabile in Cassazione. Il ricorso, inoltre, riproponeva censure già adeguatamente respinte in appello, senza un reale confronto con le motivazioni della sentenza impugnata.
La Non Riconosciuta Tenuità del Fatto
Infine, anche il terzo motivo è stato liquidato come una mera censura di fatto. La Corte ha ritenuto che la motivazione della sentenza d’appello sulle ragioni per cui non era applicabile la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto fosse più che adeguata. Pertanto, anche su questo punto, il ricorso si limitava a sollecitare una diversa valutazione di merito, inammissibile in sede di legittimità.
Le Conclusioni
L’esito del giudizio è stato la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende. Questa ordinanza rafforza il principio secondo cui la Corte di Cassazione è custode della corretta applicazione della legge (ius constitutionis) e non un terzo giudice del fatto. Per avere successo, un ricorso deve basarsi su precisi vizi di legittimità – come una motivazione illogica o una palese violazione di legge – e non sulla speranza che la Suprema Corte offra una lettura alternativa e più favorevole delle prove.
È possibile contestare in Cassazione il modo in cui un giudice ha valutato le prove?
No, non come semplice ‘malgoverno’ delle regole di valutazione. La Cassazione ha chiarito che la violazione dell’art. 192 c.p.p. può essere dedotta come vizio di legge solo se l’inosservanza della norma è prevista a pena di nullità o inutilizzabilità della prova, non per contestare l’interpretazione del materiale probatorio fatta dal giudice di merito.
Cosa significa quando un motivo di ricorso è definito ‘generico’?
Un motivo è generico quando non affronta specificamente e criticamente le argomentazioni della sentenza impugnata, ma si limita a riproporre le stesse tesi già respinte o a contestare l’esito della valutazione delle prove in modo astratto, senza individuare un preciso errore di diritto.
Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano manifestamente infondati e generici. Si trattava di censure di fatto, volte a ottenere una nuova valutazione delle prove, operazione che esula dai poteri della Corte di Cassazione, e non sono stati individuati vizi di legittimità o violazioni di legge rilevanti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12825 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12825 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MILANO il 22/07/1977
avverso la sentenza del 31/05/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME NOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte d’appello di Lecce ha confermato la sua condanna per il reato di tentato furto pluriaggravato.
Ritenuto che il primo motivo, con cui si contesta la correttezza della motivazione con riguardo alla svalutazione della versione offerta dall’imputato, è generico e manifestamente infondato. Il ricorso infatti si confronta con solo una piccola parte dell’ampio ragionamento svolto dalla Corte per confutare la credibilità delle dichiarazioni del Manco, mentre, contrariamente a quanto eccepito, non ha negato il diritto al silenzio dell’imputato, ma semplicemente sottolineato – nell’ambito peraltro e come detto di un ragionamento più ampio – la tempistica di tali dichiarazioni. Nel resto le doglianze del ricorrente si risolvono in mere censure di fatto volte a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione del compendio probatorio, operazione che esorbita dai poteri del giudice di legittimità.
Ritenuto che il secondo motivo con il quale si deduce la violazione dell’art. 192 c.p.p. è parimenti inammissibile. Infatti non è consentita la deduzione di violazione di legge in relazione all’asserito malgoverno delle regole di valutazione della prova contenute nella succitata norma, non trattandosi di disposizione la cui inosservanza è prevista a pena di nullità o inutilizzabilità, come invece richiesto dall’art. 606 lett. c) c.p.p. (ex multis Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027; Sez. 3, n. 44901 del 17 ottobre 2012, F., Rv. 253567; Sez. 1, n. 42207/17 del 20 ottobre 2016, COGNOME e altro, Rv. 271294). Quanto invece ai dedotti vizi di motivazione il ricorso ripropone censure già esaminate dal giudice dell’appello e dallo stesso confutate con argomentazioni con le quali il ricorrente non si è confrontato, limitandosi a riproporre la propria lettura alternativa del compendio probatorio.
Ritenuto che con il terzo motivo relativo al denegato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. vengono dedotte mere censure in fatto a fronte di una motivazione più che adeguata sulle ragioni della ritenuta non tenuità del fatto.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/03/20