Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12968 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12968 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/04/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi; udito il difensore di COGNOME, AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore di COGNOME AVV_NOTAIO in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che si è riportato ai motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma confermava la sentenza di primo grado, resa a seguito di giudizio abbreviato, nella parte m cui COGNOME NOME era stato condannato per rapina aggravata, ricettazione e porto d’armi in luogo pubblico, e COGNOME NOME per rapina aggravata.
1.1 Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di COGNOME NOME, lamentando che l’intero impianto accusatorio della sentenza impugnata si fondava quasi esclusivamente sulle dichiarazioni rese da COGNOME NOME, ex moglie del coimputato COGNOME, senza considerare la grande conflittualità tra i due ex coniugi che andava ad intaccare la genuinità delle dichiarazioni, e che il fatto che aveva riferito la COGNOME era la commissione della rapina da parte del marito, ma non di altri complici, visto che non era stata fatta alcuna menzione di COGNOME, ma solo di “un altro ragazzo salito da Catania”, individuato poi nel coimputato COGNOME; tale circostanza era stata del tutto ignorata dalla Corte di appello che non aveva valutato le divergenze emerse dal racconto della COGNOME per quel che riguardava la figura di COGNOME né con riguardo all’eventuale pernottamento dell’imputato nel B&B gestito da COGNOME NOME.
La Corte di appello -prosegue il difensore-aveva omesso di motivare anche su ulteriori circostanze rilevate dalla difesa nei motivi di appello: la teste COGNOME, che aveva visto due soggetti abbandonare il motorino usato per fuggire dal luogo della rapina e salire su una Fiat Punto bianca, aveva fatto riferimento solo ad un soggetto con cappellino (identificato nel COGNOME); la perizia antropometrica tra COGNOME e il rapinatore entrato in banca era risultata non idonea alla comparazione con il soggetto ripreso; la ricerca di una utenza telefonica in uso all’imputato che lo collocasse nei luoghi della rapina aveva dato esito negativo.
Propone ricorso anche il difensore di NOME.
2.1 Il difensore eccepisce l’erronea applicazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen. e la mancanza, illogicità e manifesta contraddittorietà della motivazione in ordine alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio: era stata applicata una pena base di ben due anni superiore al minimo edittale senza alcuna motivazione in merito, se non un generico riferimento alla “spiccata capacità delinquenziale” dell’imputato, ma erano state concesse le attenuanti generiche per stemperare la severità del trattamento sanzionatorio; la pena base era proporzionalmente più grave di quella decisa dal primo giudice, pur essendo stato operato un giudizio di minor disvalore rispetto alla sentenza di primo grado: a fronte di un minino edittale di anni 7 per la rapina pluriaggravata il primo giudice aveva inflitto una pena base di anni 9, mentre il giudice di appello era partito da una pena base di anni 5 per la rapina semplice giungendo ad una pena di anni sette e mesi tre di reclusione,
in misura quindi proporzionalmente maggiore; una maggiore aderenza della pena inflitta a COGNOME al minimo edittale sarebbe stata giustificata dal suo ruolo di mero “palo”, riconosciuta sia dal giudice di primo grado che dal giudice del gravame, e dall’ingenuo utilizzo della macchina intestata alla madre per compiere la rapina.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME deve essere dichiarato inammissibile.
2.1 Il ricorso di COGNOME è infatti relativo alla valutazione dei fatti effettuat dai giudici di merito, riguardo alla quale si deve ribadire che al giudice di legittimità è, invero, preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa; tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, è – e resta – giudice della motivazione.
Secondo le Sezioni Unite “l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali; l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu °culi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando innifluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Cass. Sez. Un. sent. n. 24 del 24.11.1999 dep. 16.12.1999 rv 214794).
Va rimarcato che ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello, trattandosi di c.d. doppia conforme, si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando il giudice del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza,
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concordi nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Cass. Sez. 3, sent. n. 44418 del 16/07/2013, dep. 04/11/2013, Rv. 257595); nel caso in esame, la Corte di appello ha esaurientemente indicato gli elementi in base ai quali è pervenuta alla conferma della sertenza di condanna.
In particolare, la Corte di appello ha evidenziato i numerosi riscontri alle dichiarazioni della teste COGNOME NOME (pag.9 in avanti): ha indicato nel marito uno dei rapinatori (COGNOME aveva la disponibilità della Fiat Punto usata per la fuga dopo aver abbandonato il motorino, la responsabilità non è stata comunque contestata con il ricorso per cassazione); ha fornito la descrizione del terzo rapinatore corrispondente a quella di COGNOME NOME (reo confesso della rapina) ha parlato del soggiorno di COGNOME presso il RAGIONE_SOCIALE gestito da COGNOME NOME nei giorni in prossimità della rapina, circostanza confermata da quest’ultima; pertanto, correttamente è stata ritenuta attendibile la COGNOME quando ha riferito che COGNOME le era stato indicato da COGNOME come uno degli autori della rapina e di aver visto COGNOME assieme a COGNOME e COGNOME subito dopo la rapina nel capannone in uso a COGNOME.
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME deve essere dichiarato inammissibile
2.1 Premesso che nessuna contraddizione si è insita nella concessione delle attenuanti generiche e nella comminazione della pena superiore al minimo edittale, in quanto in quanto non sussiste un rapporto di necessaria interdipendenza tra le due statuizioni, le quali – pur richiamandosi entrambe astrattamente ai criteri fissati dall’art. 133 cod. pen. – si fondano su presupposti diversi, si deve rilevare come la pena inflitta dal giudice di appello sia comunque inferiore a quella di cui alla sentenza di primo grado, con conseguente manifesta infondatezza del motivo proposto.
Si deve infatti osservare che la regola delle Sezioni Uni:e NOME COGNOME (Sez. U n. 40910 del 27/09/2005, Rv. 232066: il divieto di reformatio in peius si riferisce anche ai singoli elementi che compongono la pena) non è universale, ma riguarda tutte le ipotesi in cui i parametri e la sequenza di raffronto rimangono identici: in questo caso e a queste condizioni il divieto di reformatio in peius si riferisce non solo alla pena complessiva, ma anche ai singoli elementi che la compongono; quando invece mutano i parametri e/o la sequenza, il mero raffronto “matematico” tra le componenti della pena non riesce più a fcrnire un adeguato criterio di verifica di una eventuale reformatio in peius, poiché, modificandosi i reciproci rapporti ponderali dei singoli elementi, salta il presupposto stesso per effettuare un utile confronto; in questo caso l’unico riferimento possibile è quello fornito dalla entità della pena complessiva (cfr. Sez. 5, n. 19366 del 08/06/2020,
Finizio, Rv. 279107) che, nel caso in esame, risulta inferiore a quella inflitta dal giudice di primo grado.
3. I ricorsi, pertanto, devono essere dichiarati inammissibili; ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inamnissibili i ricorsi, le parti private che li hanno proposti devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di C 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 31/01/2024
La Presidente
Il Consigliere estensore