Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26339 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26339 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TREBISACCE il 02/06/1976
avverso la sentenza del 15/10/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso venga rigettato;
udito il difensore della parte civile costituita SALERNO COGNOME, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto la conferma della sentenza impugnata;
udito il difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso ed alla memoria depositata chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 15/10/2024, ha parzialmente riformato la sentenza, pronunciata ad esito di rito abbreviato, dal G.u.p. presso il Tribunale di Castrovillari in data
13/01/2022 nei confronti di NOME COGNOME dichiarando non doversi procedere in ordine ai reati ascritti ai capi b, f, g e w, nonché in ordine al capo di cui alla lettera j, previa riqualificazione del fatto contestato in tentativo di estorsione, perché estinti per intervenuto decorso del termine di prescrizione, rideterminando conseguentemente la pena per i residui reati allo stesso ascritti ai capi a, c, d, e, h, i, k, I, m, n, p, q, t, u, v, w (estorsione continuata, capo c e plurimi episodi di usura aggravata per i restanti capi di imputazione).
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore, NOME COGNOME articolando motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. GLYPH Violazione di legge in relazione agli artt. 644, comma primo, cod. pen. e art. 192, comma 2, cod. proc. pen. quanto all’entità del prestito, con riferimento alla asserita ricorrenza di un patto usurario con il Salerno, che si era rivelato del tutto inattendibile non essendo stato in grado di indicare precisamente l’entità del prestito e della somma ricevuta.
2.2. GLYPH Violazione di legge in relazione all’art. 644, comma quinto, n.3, cod. pen.; nell’ambito del rapporto con il Salerno non poteva ritenersi la sussistenza della aggravante contestata, così come affermato dalla Corte di appello in relazione alla circostanza che lo stesso non riuscisse ad accedere al credito bancario; né le circostanze di fatto relative alla azienda dello stesso si caratterizzano per portata risolutiva, attesa la loro collocazione temporale non coincidente con la data di erogazione del credito.
2.3. GLYPH Vizio della motivazione perché mancante, erronea o contraddittoria in relazione all’art. 644, comma quinto, n. 3 cod. pen. quanto alla ricostruzione dei rapporti intercorrenti con il NOME NOME non è stata in alcun modo fornita una motivazione quanto alla effettiva conoscenza da parte del ricorrente di tale stato di bisogno.
2.4. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. in relazione al capo c) della rubrica; le dichiarazioni della persona offesa NOME NOME sono del tutto generiche e prive di riscontri e non possono essere considerate risolutive al fine di ritenere la responsabilità del ricorrente; manca
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qualsiasi indicazione circostanziale della condotta e una specifica collocazione spazio-temporale delle minacce.
2.5. GLYPH Violazione di legge con riferimento all’art. 629 cod. pen. e 533, comma 1, cod. proc. pen. in ordine alla ingiustizia del profitto del delitto di estorsione; la Corte di appello ha errato nel considerare illecita la complessiva pattuizione, mentre ai sensi dell’art. 1815 cod. civ. la pattuizione illecita riguarda esclusivamente gli interessi usurari e non il capitale complessivo; in difetto di precise indicazioni sulla collocazione temporale delle minacce, non si può escludere che le stesse siano state pronunciate al fine di recuperare esclusivamente la sorte capitale.
2.6. COGNOME Violazione di legge in relazione all’art. 629 cod. pen., ricorrendo una contraddizione logica tra i capi di imputazione in tema di estorsione, pur sulla base dello stesso materiale probatorio e titoli evocati la condotta di cui al capo c era stata ritenuta consumata, mentre quella di cui al capo b era stata ritenuta tentata, nonostante i capi di imputazione si riferiscano agli stessi titoli e contesto oggettivo; la motivazione è viziata perché si fonda su presupposti errati, ovvero il non aver mai dichiarato il Salerno di aver pagato i titoli di credito a seguito delle minacce, la non conciliabilità del tempus commissi delicti, rispetto ai due episodi di estorsione
2.7. COGNOME Vizio della motivazione in relazione all’art. 644 cod. pen. quanto al capo e della rubrica; in sede di appello era stata contestata la conclusione per cui nel calcolo del tasso usurario venivano inseriti anche i titoli, per complessivi settemila euro, che non erano mai stati oggetto dell’accordo iniziale di prestito; sul punto la motivazione è contraddittoria perché fa rientrare l’iniziale dazione della somma di settemila euro nel patto usurario, richiamando un supposto stratagemma posto in essere dall’COGNOME elemento che tuttavia non aveva trovato alcun supporto probatorio nella istruttoria espletata; eliminata questa somma sarebbe stata oggettivamente esclusa la portata usuraria del prestito.
2.8. GLYPH Violazione di legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. in ordine al capo h della rubrica; era stato esplicitamente contestato il calcolo dell’interesse usurario, attesa la genericità e in parte inaffidabilità delle dichiarazioni della persona offesa COGNOME che aveva rettificato l’importo del prestito ricevuto al ribasso.
2.9. GLYPH Violazione di legge in relazione all’art. 644 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. in relazione al capo i della rubrica; anche in questo caso
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l’affermazione di responsabilità si basa esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa, ma era stato esplicitamente eccepito la mancanza di qualsiasi riscontro al dato dichiarativo della stessa, attesa la presenza di due soli titoli per complessivi settemila e cento euro; non poteva essere accolta l’interpretazione della Corte di appello secondo la quale il ritrovamento di due soli titoli cambiari era da correlare alla interruzione della esecuzione dell’accordo quale conseguenza delle indagini avviate a carico dell’COGNOME.
2.10. Violazione di legge in relazione all’art. 644, comma terzo, n.5, cod. pen. in relazione al capo k della rubrica; la Corte di appello non ha considerato i rilievi difensivi in ordine alla mancanza di prova quanto alla ricorrenza dello stato di bisogno, ritenendo in modo erroneo che il motivo di appello fosse generico sul punto e conseguentemente il ricorso inammissibile; la presenza di debiti erariali non integra la aggravante dello stato di bisogno.
2.11. Vizio della motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 644, comma primo, cod. pen. e art. 192, comma 2, cod. proc. pen. in relazione al capo i) della rubrica; era mancata una corretta e compiuta ricostruzione della natura e caratteristiche del prestito in favore di NOME, in mancanza tra l’altro di riscontri documentali al dichiarato dello stesso; né ricorre lo stato di bisogno, identificato erroneamente nella difficoltà a pagare un mutuo bancario precedentemente acceso, circostanza che tra l’altro non si poteva ritenere a conoscenza del ricorrente, in assenza di qualsiasi elemento di prova in tal senso; la motivazione della Corte di appello ricorre in un evidente travisamento della prova, atteso che le dichiarazioni del Russo rendono impossibile ricostruire l’ammontare del prestito e la sua durata, in mancanza di elementi documentali a supporto delle predette dichiarazioni.
2.12. Violazione di legge in relazione all’art. 644, comma primo, cod. pen. quanto al capo n; in relazione ai microprestiti oggetto di imputazione le dichiarazioni della persona offesa non sono riscontrate dalla documentazione acquisita dalla Guardia di Finanza; manca qualsiasi distinta di versamento e le dichiarazioni dell’Urbano sono smentite dal portato delle captazioni e le contestazioni dal n. 2 al n. 13 sono basate su una premessa della Corte di appello del tutto arbitraria, ovvero che siano stati pattuiti specifici tassi usurari per i mesi di maggio, giugno, luglio, agosto e settembre 2015, mentre l’Urbano nelle sue sommarie informazioni testimoniali ha riferito esclusivamente del
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primo episodio, mentre gli altri episodi oggetto di contestazione sono stati ricostruiti apoditticamente dalla Guardia di Finanza. Il racconto della persona offesa è totalmente confusionario ed inattendibile, non consentendo di collocare esattamente nel tempo il patto usurario. Ricorre un travisamento della prova perché il racconto è impreciso, non consentendo di ricostruire patto usurario e durata del rapporto di prestito con importi specifici, nonché perché le intercettazioni attestano esclusivamente e in modo del tutto generico la presenza di prestiti di denaro.
2.13. Vizio della motivazione in relazione all’art. 644, comma primo, cod. pen. ed art. 192 cod. proc. pen. in relazione al capo p della rubrica; nei motivi di appello era stata evidenziata la non corrispondenza della documentazione acquisita rispetto agli elementi indicati in contestazione; venivano quindi richiamate le dichiarazioni della persona offesa COGNOME quanto all’episodio n. 1 e la non coincidenza delle stesse con quanto acquisito in sede di indagine dalla Guardia di Finanza. Il mancato riscontro documentale è stato ritenuto neutro dalla Corte di appello, così elevando una supposizione congiunturale a circostanza di riscontro. Quanto agli episodi di cui ai numeri 2 e 3 la difesa ha sostenuto che la documentazione acquisita sembrerebbe riscontrare quanto contestato al ricorrente, ma si doveva rilevare come le dichiarazioni della persona offesa COGNOME erano da ritenere del tutto inattendibili quanto all’importo del prestito che era ben superiore ai tremila euro, come emerge dal contenuto delle captazioni, senza che tale maggiore importo sia stato effettivamente conteggiato, con inevitabile incidenza sulla determinazione del relativo tasso di interesse. Era stato apoditticamente affermato che il resto dei rapporti intercorrenti tra il ricorrente e lo COGNOME erano mere richieste e non patti perfezionati, così travisando il contenuto delle intercettazioni. Tale assunto aveva trovato oggettiva conferma anche nel contenuto degli sms intercorsi tra le parti. Quanto all’episodio di cui al numero 4 della rubrica la difesa ha osservato come dalle dichiarazioni della persona offesa fosse emerso un patto usurario che aveva ad oggetto un prestito di diecimila euro a fronte di un importo da restituire di quattordicimila euro in 4 anni e 9 mesi, mentre il giudice di primo grado, con condivisione da parte della Corte di appello della conclusione così raggiunta, aveva valutato non l’effettivo oggetto del patto (diecimila euro), ess bensì l’importo effettivamente prestato alla
persona offesa (quattromila euro), così alterando la determinazione del tasso usurario asseritamente concordato tra le parti.
2.14. Violazione di legge in relazione all’art. 644, comma primo cod. pen. ed art. 192 cod. proc. pen. quanto al capo q della rubrica; la Corte di appello ha in modo apodittico ritenuta infondata la allegazione difensiva in ordine alla causa lecita sottesa all’originario debito, sostenendo come sullo stesso si fosse innescato a seguire un patto usurario in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità: la presenza di plurimi rapporti negoziali tra le parti, con richieste di dilazioni di pagamento, che impediscono di considerare atomisticamente la distinta di versamento del 14/12/2015.
2.15. Violazione di legge in relazione all’art. 644, comma primo, cod. pen. e art. 192 cod. proc. pen. in relazione ai capi t ed u della rubrica; la difesa aveva evidenziato nell’atto di appello, sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, che le due operazioni oggetto di contestazione concretizzassero un unico prestito, a causa dell’impossibilità di pagare il primo prestito con riferimento alla cambiale con scadenza agosto 2015, con conseguente allungamento del piano di rientro con due cambiali con scadenza settembre e ottobre 2016; nonostante la ricostruzione storica non sia contestata dalla Corte di appello è stata ritenuta apoditticamente la ricorrenza di due distinti fatti avvinti dalla continuazione, mentre difetta la prova che l’ultima cambiale da 100 euro con scadenza agosto 2015 sia stata rinnovata mediante rilascio di due ulteriori cambiali da euro cento con scadenze settembre e ottobre 2016. Le dichiarazioni della persona offesa e il portato delle captazioni evidenziavano una diversa ricostruzione dei fatti, che portava ad individuare un tasso di interesse nella misura del 17,30% e dunque inferiore al tasso soglia legale; inoltre quanto al capo U disattendendo la tesi dell’unico patto sarebbe presente un prestito di cento euro, somma restituita e maggiorata da altra utilità (ovvero la prestazione lavorativa in favore del ricorrente) che tuttavia non risulta essere stata contestata. La affermazione della Corte di appello, secondo la quale ricorreva un nuovo ed autonomo patto e un nuovo tasso di interesse, è smentita dalle dichiarazioni della persona offesa NOMECOGNOME che aveva chiarito come la richiesta di prestazione lavorativa non fosse stata pattuita in sostituzione della seconda cambiale, ma in aggiunta ad essa.
2.16. GLYPH Erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 133 e 62-bis cod. pen.; la motivazione della Corte di appello sul
punto non è sufficientemente individualizzata e non tiene conto di elementi di segno positivo ricorrenti nel caso concreto, non apparendo sufficiente il richiamo alla professionalità della attività illecita e alla gravità della condotta o al numero delle vittime e notorietà della attività usuraria svolta, in assenza di qualsiasi concreta considerazione dell’entità economica del danno procurato o della concreta percezione di proventi illeciti, atteso che come specificamente emergente dalla attività di indagine espletata, i debitori non hanno corrisposto in restituzione né gli interessi usurari, né il capitale ottenuto. Si è dunque in presenza di una attività caratterizzata dalla erogazione di importi modesti, nemmeno restituiti, elemento positivo questo valorizzabile ai sensi dell’art. 133 cod. pen., non apparendo risolutiva la presenza di precedenti penali riferibili al trasporto di materiale pirotecnico.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga rigettato.
La difesa ha depositato memorie conclusive e note di replica alle conclusioni scritte della Procura generale con le quali ha ribadito le proprie argomentazioni e conclusioni chiedendone l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi generici, non consentiti, oltre che manifestamente infondati.
In via preliminare, si deve osservare che Corte di appello ha pienamente condiviso, con motivazione logica e persuasiva, la decisione del giudice di primo grado, ricostruendo analiticamente la posizione e le condotte direttamente imputabile al ricorrente in relazione alle numerose contestazioni imputate (usura aggravata ed estorsione).
In tal senso, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente chiarito che la sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, specie quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella pronuncia di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229-01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv.
277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 25759501; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 25261501; Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, COGNOME). Pertanto, in presenza di una doppia conforme anche nell’iter motivazionale, il giudice di appello non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che, in tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593-01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 26084101; Sez. 3, n. 13266 del 19/02/2021, Quatrini). Nel caso di specie la sentenza impugnata ha esaminato ed espressamente confutato le deduzioni difensive negli aspetti fondamentali, condividendo le valutazioni del giudice di primo grado con specifico riferimento al tema, reiterato anche in questa sede, della inattendibilità delle dichiarazioni delle persone offese, della mancanza di riscontri alle dichiarazioni rese, della insussistenza delle circostanze aggravanti, con particolare riferimento allo stato di bisogno, nonché alla determinazione degli interessi usurari, oltre che, quanto alla posizione della persona offesa COGNOME, alla sussistenza della condotta estorsiva in forma consumata.
In sede di legittimità, quindi, non è censurabile la sentenza per il silenzio su una specifica doglianza prospettata con il gravame, quando questa risulti disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente escludere la ricorrenza del vizio previsto dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., che essa evidenzi una ricostruzione dei fatti che anche implicitamente conduca alla reiezione della prospettazione difensiva, senza lasciare spazio a una valida alternativa (Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Rv. 276741-01; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275500-01; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, dep. 2014, Cento, Rv. 259643-01; Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 256879-01).
3.1. GLYPH Occorre, inoltre, rilevare come i motivi proposti si caratterizzino per l’avere nella maggior parte della loro articolazione reiterato argomenti già introdotti con l’atto di appello. Il ricorrente ha,
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difatti, riproposto le proprie argomentazioni difensive al fine di giungere ad una lettura alternativa del merito, senza realmente confrontarsi con la motivazione logica e persuasiva della Corte di appello, che ha analiticamente ricostruito le condotte poste a base della condanna. È stata, dunque, sollecitata una rilettura delle prove acquisite in dibattimento, in contrasto con il diritto vivente. Deve essere, in tal senso, sottolineato che è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa ed alternativa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277758-01, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Battaglia, Rv. 275100-01).
Da ciò consegue l’inammissibilità di tutte le doglianze che criticano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento, rappresentando tutto ciò una non ammissibile interferenza con la valutazione del fatto riservata al giudice del merito (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747-01, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01).
3.2. GLYPH Si deve poi rilevare che, in numerosi motivi di ricorso, è stata dedotta violazione di legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. per avere in sostanza il giudice di merito condannato in presenza di incertezza probatoria, tenuto conto delle dichiarazioni, ritenute non credibili, generiche, non riscontrate, rilasciate dalle numerose persone offese nel corso delle indagini preliminari (atteso l’accesso al rito abbreviato in primo grado).
Tali motivi non sono consentiti. In tal senso, si deve ribadire l’orientamento di questa Corte secondo il quale le doglianze relative
alla violazione del suddetto articolo, riguardanti la valutazione delle risultanze probatorie, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge (Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 27419101; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 27129401; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567-01; Sez. 6, n. 7336 del 08/01/2004, Meta, Rv. 229159-01). Di recente anche le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito detto principio, affermando che non è «consentito il motivo di ricorso con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. c) , cod. proc. pen., ed in difetto di una espressa sanzione di inutilizzabilità, nullità, inammissibilità, decadenza» (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 28002704, in motivazione).
La deduzione, dunque, potrebbe essere esaminata sotto il profilo del vizio motivazionale (spesso non dedotto), ma il vizio dedotto è quello della mancanza, carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, chiaramente insussistente, alla luce delle argomentazioni dei giudici di merito, in larga parte obliterate dalla difesa, che in sostanza ha reiterato una doglianza di puro merito, sollecitando un sindacato sulle valutazioni effettuate ed invocando di fatto una inammissibile rilettura delle prove poste a fondamento della decisione impugnata.
La Corte di appello ha, difatti, ricostruito in modo analitico e persuasivo la condotta posta in essere in diverse occasioni e nei confronti di diverse persone offese dall’COGNOME, il complessivo sistema dallo stesso organizzato nel concedere prestiti di natura usuraria, gli accordi raggiunti con le persone offese, con caratteristiche costanti e ripetute, anche se per importi diversi e con modalità di restituzione studiate in relazione al singolo richiedente, la volontà di ottenere in restituzione il prestito e gli interessi usurari, posta in essere anche con violenza ed intimidazione integrante la condotta estorsiva imputata, lo stato di bisogno riferibile ad alcune delle persone offese sulla base di elementi oggettivi, confermati dalle dichiarazioni rese in modo credibile e riscontrato documentalmente nel corso delle indagini.
I motivi in tal modo proposti si caratterizzano, dunque, per un’evidente genericità e mancanza di specificità. La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591, co. 1, lett. c), cod.proc.pen., all’inammissibilità (cfr. Sez.4, n. 256 del 18/09/1997, COGNOME, Rv. 210157-02; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568-01; Sez. 2, n. 11951 del 20/01/2014, COGNOME, Rv. 259435-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME Rv. 277710 -01).
4. I giudici di merito, con ragionamento che non si presta a censure in questa sede, hanno dunque ricostruito la diretta riferibilità delle condotte ascritte al ricorrente, sulla base delle dichiarazioni delle persone offese, tutte credibili e riscontrate in gran parte anche dalla documentazione acquisita, oltre che in considerazione di una pluralità di elementi a carattere indiziario (a mero titolo esemplificativo la disponibilità di assegni post datati) che vanno a riscontrare il compendio probatorio a carico dello stesso.
Ciò premesso, si deve rammentare che quando si verte in un caso in cui è necessario esaminare l’attendibilità della persona offesa, non è obbligatoria la ricerca di conferme rispetto a quanto dichiarato: la giurisprudenza di legittimità, infatti, anche quando prende in considerazione la possibilità di valutare l’attendibilità estrinseca della testimonianza della parte offesa attraverso l’individuazione di conferme esterne al dichiarato si esprime in termini di opportunità e non di necessità, lasciando al giudice di merito un ampio margine di apprezzamento circa le modalità di controllo della attendibilità nel caso concreto (Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 279070-01 Sez. 1, n. 29732 del 24/06/2010, COGNOME, Rv. 248016-01). E se è ben vero che nel caso in esame la persona offesa Salerno si è costituita parte civile, tuttavia nella valutazione effettuata, con motivazione conforme dal giudice di primo e di secondo grado, non è mancata una verifica accurata e rigorosa dell’attendibilità della stessa quanto alla
condotta contestata, ampiamente riscontrata dalla documentazione acquisita in atti.
A ciò si deve aggiungere che costituisce principio incontroverso l’affermazione che la valutazione dell’attendibilità della parte offesa dal reato rappresenta una questione di fatto, che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni, circostanza assolutamente non ricorrente nel caso in esame (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, COGNOME, Rv. 257241-01; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, COGNOME, Rv. 239342-01).
Nel caso in esame, infatti, la Corte di appello, con motivazione accurata e persuasiva, ha rilevato come il quadro probatorio a carico del ricorrente fosse univoco e convergente, tenuto conto della verificata credibilità dei contenuti accusatori provenienti dalle persone offese (tra l’altro pienamente coerenti tra loro, rappresentando ciò un ulteriore elemento di riscontro) quanto alle condotte contestate, che risultavano confermate da tutti gli altri elementi di prova, tra i quali risultavano essere certamente decisivi i documenti acquisiti.
La motivazione offerta dalla Corte territoriale è da ritenere in conclusione, sul tema della attendibilità delle persone offese quanto alle plurime contestazioni elevate (caratterizzanti un vero e proprio sistema di prestito ad usura, posto in essere dal ricorrente, al quale conseguiva la condotta estorsiva contestata) priva di vizi logici manifesti e decisivi e si presenta coerente sia con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di legittimità, che con le emergenze processuali, fornendo una logica e coerente valutazione degli elementi che compongono il quadro probatorio a carico del ricorrente.
Il ricorrente non si è, quindi, confrontato con le ragioni poste a fondamento della motivazione e con la giurisprudenza di legittimità che ha ribadito che è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma limitandosi, di fatto in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01) in assenza dei travisamenti dedotti.
5. I primi sei motivi di ricorso non sono consentiti e possono essere trattati congiuntamente in quanto volti a contestare la sussistenza dei reati ascritti e posti in essere dall’COGNOME nei confronti della persona offesa Salerno. I motivi, oltre ad essere all’evidenza meramente reiterativi, sono anche aspecifici, essendo stato omesso il confronto con la chiara e logica argomentazione della Corte di appello, atteso che la critica introdotta rappresenta a tutti gli effetti una censura di fatto in ordine ai reati ascritti ai capi a) e c) della rubrica. La Corte di appello ha specificamente affrontato le censure, riproposte in questa sede (pag. 10 e seg.), valorizzando una serie di elementi concreti, ritenendo in modo motivato pienamente credibile la persona offesa e richiamando i riscontri anche documentali alle dichiarazioni rese quanto alla pattuizione ad evidente carattere usurario. I giudici di merito, ricostruendo puntualmente la condizione in cui si trovava la persona offesa, le caratteristiche del prestito e degli interessi pattuiti, la natura illecita degli stessi, hanno anche riscontrato, in modo conforme, lo stato di bisogno, facendo corretta applicazione del principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale lo stato di bisogno della persona offesa del delitto di usura può essere provato anche in base alla sola misura degli interessi, qualora siano di entità tale da far ragionevolmente presumere che soltanto un soggetto in quello stato possa contrarre il prestito a condizioni tanto inique e onerose (Sez. 2 , n. 51670 del 23/11/2023, COGNOME, Rv. 285670-01; Sez. 2, n. 21993 del 03/03/2017, COGNOME, Rv. 270064-01). Interessi specificamente ricostruiti nel caso di specie in una misura variabile dal 26,6% al 40%, con una media superiore al 30%, rapportati al tasso legale di riferimento, come considerato dalla Corte di appello, in modo del tutto conforme alla decisione del G.i.p.
5.1. COGNOME La Corte di appello ha anche affrontato, con motivazione che non si presta a censure in questa sede, il tema della effettiva ricorrenza della estorsione del capo c), richiamando in modo inequivoco, sulla base delle credibili dichiarazioni della persona offesa, gli elementi costitutivi del reato, specificando gli elementi a supporto della ricostruzione del delitto imputato come consumato e non meramente tentato (in tal senso pag. 12 dove è stata valorizzata la circostanza dell’essere stati gli assegni negoziati dal Salerno posti all’incasso, dopo che l’COGNOME ne aveva ottenuto la consegna dalla vittima della minaccia di morte). Con tale motivazione il ricorrente non
si confronta e si limita a proporre una lettura alternativa del merito non consentita in questa sede.
5.2. GLYPH Infine, è bene rilevare come nell’ambito di tali motivi sia stata ripetutamente evocata la violazione di legge in relazione al parametro di cui all’art. 192 cod. proc. pen. Tale censura non è consentita, devono essere sul punto richiamati i principi già enunciati al § 3.2.
Il settimo motivo di ricorso in relazione al capo e della rubrica non è consentito. La censura è totalmente reiterativa e non si confronta affatto con la motivazione della Corte di appello, che in modo logico e puntuale, ha ricostruito la dinamica dei rapporti intercorsi tra il Russo e l’COGNOME (pag. 13). Ci si limita anche in questo caso a tentare l’introduzione di una lettura alternativa del merito, in presenza di una valutazione conforme dei giudici di merito sul punto, non consentita in questa sede (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, COGNOME Rv. 277758-01, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269217-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Battaglia, Rv. 275100-01).
L’ottavo motivo di ricorso non è consentito avendo il ricorrente dedotto la violazione di legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. in ordine al capo h della rubrica. Devono essere richiamati sul punto i principi di cui al §3.2. Né ricorre alcun vizio della motivazione sul punto, seppure non dedotto, attesa la chiara e logica ricostruzione della Corte di appello quanto ai rapporti intercorrenti tra le parti, alle dichiarazioni lineari e credibili della persona offesa, al riscontro documentale ed al portato inequivoco delle captazioni (pag. 14 e seg. con particolare riferimento alla analisi dei dialoghi intercorsi tra le parti ed alla portata della documentazione rinvenuta che ha pienamente riscontrato la contestazione elevata).
Il nono motivo di ricorso non è consentito, non solo in quanto del tutto reiterativo (§ 4), ma anche perché generico ed aspecifico, in quanto direttamente finalizzato ad introdurre una lettura alternativa del merito, non consentita in questa sede a fronte della chiara
motivazione della Corte di appello quanto alla affermazione di responsabilità in ordine al capo i) della rubrica (pag. 14 e seg. in ordine alle precisazioni offerte dalla persona offesa ed alla credibilità della stessa). Non ricorre neanche la lamentata violazione di legge in relazione all’art. 644 cod. pen., neanche effettivamente specificata nel corpo del motivo, mentre non è consentita per le ragioni già evidenziate la censura con la quale si evoca una violazione di legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. (§3.2.).
9. Il decimo motivo di ricorso non è consentito in quanto totalmente reiterativo (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01), oltre che manifestamente infondato. La Corte di appello ha specificamente argomentato in ordine alla ritenuta responsabilità del ricorrente per la condotta ascritta al capo k della rubrica, ha ricostruito la natura del prestito usurario e le caratteristiche degli interessi nel caso di specie, così puntualmente argomentando ed evidenziando, proprio per la portata del tasso di interesse, lo stato di bisogno. Deve essere rilevata sul punto la corretta applicazione del principio di diritto di cui al § 5 (Sez. 2, n. 51670 del 23/11/2023, COGNOME, Rv. 285670-01; Sez. 2, n. 21993 del 03/03/2017, COGNOME, Rv. 270064-01). Nel ricostruire la condotta imputata e la situazione in cui si trovava la persona offesa, la Corte di appello ha correttamente applicato il principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale lo stato di bisogno va inteso non come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come un impellente assillo che, limitando la volontà del soggetto, lo induca a ricorrere al credito a condizioni usurarie, non assumendo alcuna rilevanza né la causa di esso, né l’utilizzazione del prestito usurario (Sez. 2, n. 10795 del 16/12/2015, COGNOME, Rv. 266162-01; Sez. 2, n. 18778 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 259962-01).
10. L’undicesimo motivo di ricorso non è consentito, non solo in quanto del tutto reiterativo (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01), ma anche perché generico ed aspecifico, in quanto direttamente finalizzato ad introdurre una lettura alternativa del merito (§ 3.1.), non consentita in questa sede a fronte della chiara motivazione della Corte di appello quanto alla affermazione di responsabilità in ordine al capo I della rubrica (pag. 16 e seg. in ordine alla credibilità e puntualità del racconto della persona offesa, anche
tenuto conto dell’esito inequivoco delle captazioni). Non ricorre neanche la lamentata violazione di legge in relazione all’art. 644 cod. pen., in concreto non enucleata nel corpo del motivo, mentre non è consentita per le ragioni già evidenziate la censura con la quale si evoca una violazione di legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. (§3.2.) Quanto allo stato di bisogno devono essere richiamate, attesa la individuazione del tasso usurario e le caratteristiche del prestito, le considerazioni già spese al § 5 e 9, con corretta applicazione da parte della Corte di appello dei principi di diritto espressi da questa Corte sul tema (Sez. 2, n. 51670 del 23/11/2023, COGNOME, Rv. 285670-01; Sez. 2, n. 21993 del 03/03/2017, COGNOME, Rv. 270064-01; Sez. 2, n. 10795 del 16/12/2015, COGNOME, Rv. 266162-01; Sez. 2, n. 18778 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 259962-01).
11. Il dodicesimo motivo di ricorso non è consentito, non solo in quanto del tutto reiterativo (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01), ma anche perché generico ed aspecifico, in quanto direttamente finalizzato ad introdurre una lettura alternativa del merito (§ 3.1.), non consentita in questa sede a fronte della chiara motivazione della Corte di appello quanto alla affermazione di responsabilità in ordine al capo n della rubrica (pag. 17 e seg. in ordine alla credibilità e puntualità del racconto della persona offesa, specialmente quanto alla conclusione di distinte pattuizioni usurarie, anche tenuto conto dell’esito delle captazioni lette in modo parcellizzato dall’appellante). Non ricorre neanche la lamentata violazione di legge in relazione all’art. 644 cod. pen., effettivamente non specificata nel corpo del motivo, essendosi la parte ricorrente limitata a non condividere la conclusione della Corte di appello quanto alla credibilità della persona offesa. Il travisamento evocato appare poi dedotto in modo del tutto generico ed aspecifico, essendo stato individuato nella imprecisione del racconto della persona offesa, senza alcun riferimento, tra l’altro alla decisività dello stesso, in presenza, tra l’altro di una doppia decisione conforme. In tal senso, occorre richiamare il principio affermato da questa Corte secondo il quale, in caso di c.d. doppia conforme, è inammissibile ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen. il motivo fondato sul travisamento della prova per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, che sia stato dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione, poiché in tal modo esso
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viene ad essere sottratto alla cognizione del giudice di appello, con violazione dei limiti del devolutum e improprio ampliamento del tema di cognizione in sede di legittimità (Sez. 6, n. 21015 del 17/05/2021, COGNOME, Rv. 281665-01). Il vizio di travisamento della prova, infatti, come emerge inequivocabilmente dalla lettura della sentenza di appello, non è stato mai proposto dalla difesa con i suoi motivi.
12. Il tredicesimo motivo di ricorso non è consentito, non solo in quanto del tutto reiterativo (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01), ma anche perché generico ed aspecifico, in quanto direttamente finalizzato ad introdurre una lettura alternativa del merito (§ 3.1.), non consentita in questa sede a fronte della chiara motivazione della Corte di appello quanto alla affermazione di responsabilità in ordine al capo p della rubrica (pag. 18 e seg. quanto alla credibilità e puntualità del racconto della persona offesa, specialmente con riferimento al tema del mancato rinvenimento della cambiale, valutate le caratteristiche di tale documento e la brevissima scadenza della stessa, oltre che con specifico riferimento al secondo e terzo episodio che hanno trovato conferma nella documentazione acquisita, con considerazione analitica della conversazione via sms ed della somma effettivamente consegnata alla persona offesa). Non ricorre neanche la lamentata violazione di legge in relazione all’art. 644 cod. pen., non specificata nel corpo del motivo, essendosi la parte ricorrente limitata a non condividere la conclusione della Corte di appello quanto alla credibilità della persona offesa (affermando che le dichiarazioni provavano esclusivamente l’introduzione di mere richieste, dovendosi escludere il perfezionamento del fatto) così tentando di introdurre una non consentita lettura alternativa del merito (§ 3.1.).
13. Il quattordicesimo motivo di ricorso con il quale è stata evocata la violazione di legge in relazione al capo q della rubrica in relazione all’art. 644 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. non è consentito perché reiterativo (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01), oltre che generico, essendo stato del tutto omesso il confronto con la motivazione della Corte di appello, che ha specificamente considerato la allegazione difensiva quanto alla natura originariamente GLYPH lecita GLYPH dell’accordo, GLYPH motivando GLYPH puntualmente sull’evoluzione degli accordi e sulla presenza di un successivo patto
usurario caratterizzato da un interesse specificamente computato in misura pari al 85,71% (pag. 20 dove sono stati valorizzati gli elementi per escludere la rinnovata scadenza dei ratei nel tempo, come dimostrato dalla documentazione allegata). Con tale motivazione il ricorrente non si confronta, limitandosi a reiterare in modo sovrapponibile la censura proposta con l’atto di appello. Valgono quanto all’evocata violazione di legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. le considerazioni già spese al § 3.2.
14. Il quindicesimo motivo di ricorso con il quale è stata evocata la violazione di legge in relazione al capo t ed u della rubrica in relazione all’art. 644 cod. pen. ed all’art. 192 cod. proc. pen. non è consentito perché reiterativo, oltre che generico, essendo stato del tutto omesso il confronto con la motivazione della Corte di appello, che ha affrontato il tema devoluto quanto alla ricorrenza di un unico prestito, evidenziando, con motivazione che non si presta a censure in questa sede e del tutto immune da illogicità manifesta, che la tesi era superata dall’essere stata provata la circostanza relativa alla pattuizione di un nuovo tasso di interesse da parte dell’COGNOME. La Corte di appello ha poi ritenuto pienamente riscontrati gli elementi integranti le condotte ascritte in considerazione della documentazione acquisita, delle dichiarazioni della persona offesa e del portato delle captazioni, considerando specificamente le censure difensive. Con tale motivazione il ricorrente non si confronta effettivamente. Valgono quanto all’evocata violazione di legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. le considerazioni già spese al § 3.2.
15.11 sedicesimo motivo di ricorso, in tema di trattamento sanzionatorio, è manifestamente infondato. La Corte di appello ha motivato in modo specifico, logicamente riscontrabile e puntuale, in ordine al trattamento sanzionatorio (pag. 23 e seg. con specifico riferimento alla gravità delle condotte ascritte, anche considerate le cospicue somme versate da diverse persone offese, alla sostanziale professionalità delle condotte poste in essere, alla particolare pervicacia della condotta caratterizzata dall’approfittamento di condizioni di bisogno di numerose persone offese, il tentativo di condizionare le dichiarazioni rese dalle stesse in fase di indagine) in mancanza di qualsiasi irragionevolezza. In tal senso, si deve ribadire il principio secondo il quale la graduazione della pena, anche in relazione
agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione. (Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, COGNOME Daniele, Rv. 281217-01, in motivazione). Il giudice, infatti, nel realizzare il giudizio di determinazione della pena “non è tenuto ad una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, ma può limitarsi alla sola enunciazione di quelli determinanti per la soluzione adottata, la quale è insindacabile in sede di legittimità qualora sia immune da vizi logici di ragionamento”. (Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, S., Rv. 269196-01, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 259142-01, Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, COGNOME, Rv. 238851-01).
16.Alla declaratoria d’inammissibilità segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (Corte Cost. n.186 del 2000) al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro tremila. Il ricorrente deve, inoltre, essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME ammessa al Patrocinio a carico dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Catanzaro con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del d.P.R. 115 del 2002, disponendo il pagamento in favore dello stato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Condanna, GLYPH inoltre, l’imputato alla GLYPH rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME NOME, ammessa al Patrocinio a spese dello Stato,
nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Catanzaro con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R.
115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso il 13/06/2025.