Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22567 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22567 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/04/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 24/04/2025
R.G.N. 4921/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME COGNOME nato a PALERMO il 25/03/1956 PARTE CIVILE: COGNOME NOME nato a RIVOLI il 28/03/1965 avverso la sentenza del 28/11/2024 della Corte d’appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni della parte civile, Avv. NOME COGNOME del foro di Ascoli Piceno, che ha chiesto dichiararsi la manifesta infondatezza del ricorso con liquidazione delle ulteriori spese di giudizio come da nota spesa allegata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 28/11/2024 la Corte d’Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino del 4/12/2023 che aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole dei reati di usura ed estorsione consumata e tentata, aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., rideterminava la pena inflitta all’imputato in anni sei di reclusione ed euro 2000,00 di multa, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulla contestata recidiva, e aumento per la continuazione esterna; condannava altresì l’imputato alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile costituita NOME COGNOME confermando nel resto.
Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, articolando otto motivi.
2.1. Con il primo motivo eccepisce la violazione di legge processuale (artt. 63, 64, 191, 197, 197-bis e 210 cod. proc. pen.) con riferimento all’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla parte civile COGNOME, erroneamente assunte come prova testimoniale dai giudici di merito, nonostante
si trattasse di soggetto a sua volta responsabile del delitto di usura ai danni del teste COGNOME COGNOME Rileva in particolare la difesa che, dati i gravi indizi di reità a suo carico, COGNOME avrebbe dovuto essere esaminato quale indagato in procedimento connesso con le garanzie di cui all’art. 64 cod. proc. pen., sicchØ l’omessa osservanza di tale prescrizione avrebbe dovuto rendere inutilizzabili le sue dichiarazioni.
2.2. Il secondo motivo denuncia la manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità per il reato di usura di cui al capo a), rilevando l’inattendibilità della persona offesa, come desumibile da molteplici elementi: la mancata corrispondenza tra le sue dichiarazioni e l’analisi dei flussi dei conti correnti a lui intestati (profilo rispetto al quale la difesa ha insistito nel richiedere l’espletamento di una perizia contabile); le affermazioni fatte dal COGNOME nella conversazione n. 679 del 22/06/2022, che dimostrerebbero come egli non nutrisse alcun timore nei confronti dell’odierno imputato; l’analisi dei tabulati telefonici presenti agli atti, da cui emergerebbe come il COGNOME abbia reso dichiarazioni non veritiere in merito alla natura del suo rapporto con lo COGNOME e all’esatto momento in cui i due si erano conosciuti; la discrasia tra la deposizione del teste COGNOME e le affermazioni della persona offesa, che ne inficerebbe ulteriormente la credibilità; le dichiarazioni del teste COGNOME – ingiustamente ritenute inattendibili dalla Corte di appello e dal Tribunale – che smentirebbero, del pari, il narrato della parte civile; la totale mancanza di riscontri alle dichiarazioni del teste COGNOME nonchØ l’ambiguità della posizione rivestita dalla teste COGNOME entrambi erroneamente ritenuti attendibili dai giudici di merito; il tenore delle conversazioni n. 677 e 691 del 22/06/2022 tra COGNOME e suo figlio NOME, dalle quali emergerebbe come i due si fossero accordati sulla versione da fornire alla Polizia Giudiziaria e sull’occultamento di alcune chat; la mancanza di giustificazioni, da parte della persona offesa, in merito alla sottoscrizione della scrittura privata del 22/3/2021.
2.3. Con il terzo motivo la difesa lamenta il vizio di motivazione in relazione al giudizio di responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 629 cod. pen. nella forma consumata, contestato al capo b), eccependo nuovamente la totale inattendibilità della parte civile, le cui dichiarazioni sarebbero prive di qualsiasi riscontro esterno e, perciò, inidonee a dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di estorsione.
2.4. Con il quarto motivo lamenta violazione di legge in ordine alla mancata riqualificazione del reato di tentata estorsione di cui al capo b) nella fattispecie di cui all’art. 393 cod. pen., rilevando come il ricorrente abbia agito al solo fine di recuperare il credito da lui vantato nei confronti del COGNOME
2.5. Con il quinto motivo ci si duole della mancata esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione ad entrambi i capi di imputazione, non essendo emerso nØ alcun collegamento certo dell’odierno ricorrente con contesti di criminalità organizzata di tipo mafioso, nØ alcun effettivo riscontro in merito alle modalità con cui lo stesso avrebbe commesso i reati contestati, perlomeno con riferimento al periodo antecedente all’aprile del 2022; peraltro, dalle conversazioni intercettate emergerebbe come, in ogni caso, la persona offesa fosse ben consapevole dell’assenza di qualsivoglia legame tra l’imputato e organizzazioni di stampo mafioso, e, come, per tale ragione, non provasse alcun timore nei suoi confronti.
2.6. Con il sesto motivo la difesa lamenta la mancata esclusione della contestata recidiva, sottolineando come l’unico precedente rilevante dell’imputato sia molto risalente nel tempo (settembre 2008).
2.7. Con il settimo motivo denuncia violazione di legge penale in ordine agli aumenti di pena inflitti a titolo di continuazione e all’eccessività del trattamento sanzionatorio complessivo, stanti le particolari modalità dell’azione, l’età avanzata dell’imputato e le sue precarie condizioni di salute, che avrebbero dovuto indurre i giudici di merito ad applicare incrementi piø contenuti.
2.8. Con l’ottavo ed ultimo motivo eccepisce violazione di legge penale con riferimento alla condanna dell’imputato al pagamento, a favore del COGNOME, di una provvisionale immediatamente esecutiva pari a 528.000,00 euro, posto che, da un lato, essa costituirebbe un’indebita duplicazione del risarcimento del danno in favore della parte civile – anche il coimputato NOME COGNOME era stato condannato, per i medesimi fatti, al pagamento di euro 540.000,00 in favore della stessa persona offesa – e, dall’altro, dalle complessive risultanze istruttorie non sarebbe comunque emersa alcuna prova certa in ordine all’esatta entità del danno patito dalla parte civile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile, poichØ fondato su motivi privi della specificità necessaria ex artt. 581, comma 1 e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Invero, dall’analisi delle singole doglianze si evince come il ricorso, oltre ad essere meramente reiterativo di questioni già sottoposte all’esame della corte territoriale e da quest’ultima adeguatamente disattese con argomentazioni congrue ed immuni da illogicità, si limiti, anche dal punto di vista grafico e contenutistico, a riprodurre esattamente le stesse censure che avevano formato oggetto dell’atto di appello, risultando perciò privo di qualsiasi effettivo confronto con la sentenza di secondo grado.
In particolare, quanto al primo motivo di ricorso, la Corte di appello ha correttamente ritenuto che la parte civile, rivestendo il ruolo di mero intermediario tra COGNOME e i creditori del patto usurario, non potesse assumere la qualifica di indagato per reato connesso, non risultando perciò necessario adottare, nei suoi confronti, le garanzie previste dall’art. 64 cod. proc. pen. I giudici del gravame hanno, invero, richiamato la consolidata giurisprudenza di legittimità in materia, secondo la quale «allorchØ venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l’eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, sicchØ il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità» (Sez. 5, n. 39498 del 25/06/2021, COGNOME, Rv. 282030 – 01; Sez. 6, n. 20098 del 19/04/2016, COGNOME, Rv. 267129 – 01; Sez. 2, n. 51840 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 258069 – 01).
Sul punto, occorre dare atto dell’esistenza di un orientamento giurisprudenziale contrario, secondo il quale il riferimento alla posizione sostanziale del dichiarante non esaurisce la verifica dei presupposti di applicabilità dell’art. 63 cod. proc. pen., la quale si estende alla necessità della successiva formale instaurazione del procedimento a suo carico (Sez. 5, n. 29357 del 22/03/2019, B., Rv. 276856 – 01; Sez. 5, n. 24300 del 19/03/2015, COGNOME e altri, Rv. 263908 – 01). Tuttavia, anche volendo aderire a tale piø rigoroso indirizzo, si deve rilevare come, nel caso di specie, NOME COGNOME non sia mai stato iscritto nel registro degli indagati, sicchØ difetterebbe, in ogni caso, il presupposto formale per l’applicabilità nei suoi confronti del regime di cui agli artt. 63 e 64 cod. proc. pen.
Anche in relazione al profilo dell’attendibilità della persona offesa, oggetto del secondo e del terzo motivo di ricorso, l’iter motivazione che ha condotto entrambi i giudici di merito a ritenere credibili le dichiarazioni rese dal COGNOME risulta congruo e conforme alle risultanze processuali. In particolare, la Corte di appello ha adeguatamente evidenziato come la versione della persona offesa, ritenuta lineare, specifica e concludente, trovi altresì riscontro in plurimi elementi estrinseci: il contenuto di varie intercettazioni di conversazioni, dalle quali emergono sia le gravi minacce di
morte pronunciate dal ricorrente sia la natura usuraria del suo rapporto con la parte civile; l’esame dei tabulati telefonici e dei servizi di o.c.p., attestanti i molteplici incontri in presenza tra COGNOME e COGNOME, non altrimenti spiegabili se non con la consegna delle rate usurarie a titolo di interessi; il colloquio dell’11/4/2022, nel corso del quale l’imputato stesso fa esplicito riferimento a pregressi rapporti con la parte offesa, ammettendo la dazione alla stessa di somme di denaro; le deposizioni del figlio NOME COGNOME di COGNOME, di COGNOME e della COGNOME, pienamente concordanti con la versione fornita dalla vittima, e che confermano come quest’ultima fosse costretta da anni alla dazione periodica di interessi illeciti a COGNOME; l’emissione di una cambiale di 200.000,00 euro a garanzia del credito usurario, comprovata dalla deposizione dell’avvocato COGNOME nonchØ la sottoscrizione da parte della persona offesa, in favore dello COGNOME e di sua moglie, di una ricognizione di debito per il medesimo importo; i versamenti di denaro effettuati dall’imputato sui propri conti correnti, coerenti con l’esistenza di guadagni illeciti derivanti dall’attività illecita esercitata, anche in considerazione delle sue modeste condizioni economiche e personali.
Privo di specificità risulta anche il quarto motivo di ricorso, che omette totalmente di confrontarsi con le argomentazioni della corte territoriale in merito alla esclusione, nel caso di specie, del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Il giudice di appello ha, invero, fatto corretta applicazione del consolidato principio di diritto in forza del quale «nell’ipotesi in cui il creditore ponga in essere una minaccia per ottenere il pagamento di interessi usurari, Ł configurabile il delitto di estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, poichØ l’agente Ł consapevole di esercitare la minaccia per ottenere il soddisfacimento dell’ingiusto profitto derivante da una pretesa contra ius; egli non può avere, infatti, la ragionevole opinione di far valere un diritto tutelabile con l’azione giudiziaria, che gli Ł negata in considerazione della illiceità della pretesa» (Sez. 6, n. 1626 del 16/10/1995, dep. 1996, Rv. 203736 – 01). Pertanto, essendo indubbio che l’imputato abbia agito al solo fine di ottenere un guadagno illecito, non suscettibile di alcuna tutela giudiziale – come da lui stesso riconosciuto, peraltro, in alcuni dialoghi intercettati – va condivisa l’argomentazione della Corte territoriale sull’impossibilità di ritenere integrato, nel caso di specie, il delitto di cui all’art. 393 cod. pen.
Del pari aspecifico deve ritenersi il quinto motivo di ricorso, posto che i rilievi della difesa, relativi all’assenza di prove certe circa i collegamenti del ricorrente con contesti di criminalità mafiosa e le modalità di commissione dei reati contestati, sono stati oggetto di attento esame da parte della corte di merito, la quale ha puntualmente valorizzato il contenuto di molteplici conversazioni in cui l’imputato, oltre ad utilizzare una terminologia tipicamente mafiosa e a specificare che i soldi pretesi dalla persona offesa erano destinati a soggetti detenuti appartenenti ad organizzazioni criminali, evocava chiaramente la nota associazione mafiosa ‘Cosa Nostra’, determinando nella vittima uno stato di maggiore coartazione per il timore di subire gravi ritorsioni.
Circa il sesto motivo di ricorso, la sentenza impugnata ha adeguatamente illustrato le ragioni per cui si Ł ritenuto di confermare la recidiva specifica contestata all’imputato, posto che il suo unico precedente, pur risalendo effettivamente al 2008, riguarda una condanna per plurimi reati contro il patrimonio, aventi la stessa indole dei fatti di cui all’odierno giudizio, che dimostrano pertanto la spiccata inclinazione a delinquere dello Schifaudo e la sua accentuata pericolosità.
Il settimo motivo Ł del tutto generico ed indeterminato, poichØ, limitandosi a riprodurre pedissequamente la richiesta di attenuazione del trattamento sanzionatorio – e, in particolare, di riduzione degli aumenti inflitti a titolo di continuazione – che era già stata avanzata con l’atto di
appello, dimostra di non essersi minimamente confrontato con il contenuto della sentenza di secondo grado, nella quale la Corte di merito, accogliendo la doglianza relativa al trattamento sanzionatorio, aveva effettivamente provveduto a rideterminare la pena inflitta dal Tribunale, proprio riducendo la misura degli aumenti per la continuazione come richiesto dall’appellante.
Quanto all’ultimo motivo di ricorso, avente ad oggetto la condanna dell’imputato al pagamento, a favore della persona offesa, di una provvisionale immediatamente esecutiva per l’importo di 528.000,00 euro, si deve rilevare come trattasi di censura non consentita in sede di legittimità poichØ, per costante insegnamento della Corte, non Ł impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, COGNOME, Rv. 277773 – 02; Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486 – 01; Sez. 2, n. 49016 del 06/11/2014, COGNOME, Rv. 261054 – 01).
Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di euro tremila a titolo di sanzione pecuniaria.
Il ricorrente Ł inoltre condannato al pagamento delle ulteriori spese processuali sostenute dalla parte civile, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile cecchi patrizio, che liquida in complessivi euro 3.686/00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 24/04/2025.
Il Presidente NOME COGNOME