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Ricorso inammissibile: usura e Cassazione confermano

La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile presentato da un imputato condannato per usura ed estorsione aggravate. La Corte ha ritenuto i motivi del ricorso generici, ripetitivi di questioni già decise in appello e privi di un reale confronto con le motivazioni della sentenza impugnata.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: la Cassazione conferma la condanna per usura ed estorsione

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha dichiarato un ricorso inammissibile, confermando la condanna inflitta in appello a un imputato per i gravi reati di usura ed estorsione. Questa decisione ribadisce importanti principi sia sul piano del diritto penale sostanziale che, soprattutto, su quello procedurale, delineando i confini della specificità richiesta per un valido ricorso in sede di legittimità.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una sentenza della Corte d’Appello che, in parziale riforma della decisione di primo grado, aveva rideterminato la pena per un imputato riconosciuto colpevole di usura ed estorsione, consumata e tentata, con l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 c.p. (c.d. metodo mafioso). La pena era stata fissata in sei anni di reclusione e 2.000,00 euro di multa, con condanna al risarcimento delle spese in favore della parte civile.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso per cassazione articolando ben otto motivi, con i quali contestava diversi aspetti della sentenza di secondo grado.

L’analisi dei motivi del ricorso

La difesa ha sollevato una serie di censure, che possono essere così sintetizzate:

1. Inutilizzabilità delle dichiarazioni della parte civile: Si sosteneva che la vittima, essendo a sua volta coinvolta in un presunto delitto di usura verso un terzo, avrebbe dovuto essere sentita come indagato di reato connesso, con le relative garanzie difensive.
2. Inattendibilità della persona offesa: La difesa ha evidenziato presunte contraddizioni nelle dichiarazioni della vittima, la mancanza di riscontri oggettivi e l’esistenza di prove (intercettazioni, testimonianze) che, a suo dire, avrebbero minato la credibilità del narrato accusatorio.
3. Insussistenza del delitto di estorsione: Si contestava la mancanza di prove a sostegno del reato di estorsione, basandosi nuovamente sulla presunta inattendibilità della parte civile.
4. Errata qualificazione giuridica: L’imputato chiedeva di riqualificare il reato di tentata estorsione in quello meno grave di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sostenendo di aver agito solo per recuperare un credito.
5. Mancata esclusione dell’aggravante mafiosa: Si negava l’esistenza di collegamenti con la criminalità organizzata e l’effettivo utilizzo di un metodo mafioso.
6. Recidiva e trattamento sanzionatorio: Venivano contestate la conferma della recidiva e l’eccessività della pena inflitta.
7. Condanna alla provvisionale: Infine, si criticava la condanna al pagamento di una cospicua provvisionale, ritenendola una duplicazione del risarcimento e priva di prova certa sull’entità del danno.

Il ricorso inammissibile e la decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato in toto le argomentazioni difensive, dichiarando il ricorso inammissibile. La ragione principale risiede nella mancanza di specificità dei motivi. I giudici di legittimità hanno osservato come il ricorso fosse meramente reiterativo delle questioni già sottoposte e adeguatamente risolte dalla Corte d’Appello. La difesa, infatti, si è limitata a riprodurre le stesse censure dell’atto di appello, senza confrontarsi criticamente con le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata. Questo approccio rende il ricorso generico e, di conseguenza, inammissibile.

Le motivazioni

Entrando nel merito delle singole questioni, la Corte ha fornito precise risposte giuridiche:

* Sulla testimonianza della parte civile: La Corte ha chiarito che la vittima, agendo come semplice intermediario in un rapporto usurario altrui, non assume la qualifica di indagato. Pertanto, le sue dichiarazioni sono state correttamente acquisite come testimonianza. L’attendibilità della vittima è stata inoltre confermata da numerosi riscontri esterni, come intercettazioni, tabulati telefonici e altre deposizioni.

Sulla qualificazione del reato: È stato ribadito il consolidato principio secondo cui chi minaccia per ottenere il pagamento di interessi usurari commette estorsione e non esercizio arbitrario delle proprie ragioni. La pretesa, infatti, è contra ius* (contro la legge) e non tutelabile in sede giudiziaria, mancando quindi il presupposto per il reato meno grave.

* Sull’aggravante mafiosa: La Corte di merito aveva puntualmente valorizzato il contenuto di conversazioni in cui l’imputato utilizzava una terminologia tipicamente mafiosa e evocava legami con organizzazioni criminali per incutere timore nella vittima. Tali elementi sono stati ritenuti sufficienti a integrare l’aggravante.

* Sulla provvisionale: La Cassazione ha ricordato che la statuizione sulla provvisionale ha natura discrezionale e meramente delibativa, non è destinata a passare in giudicato e, pertanto, non è impugnabile in sede di legittimità.

Le conclusioni

La sentenza in esame costituisce un’importante conferma dei requisiti di ammissibilità del ricorso per cassazione, sanzionando la prassi di presentare impugnazioni generiche e ripetitive. La decisione evidenzia come il ricorso debba instaurare un dialogo critico e specifico con la sentenza impugnata, non potendo limitarsi a una sterile riproposizione di doglianze già esaminate. Sul piano sostanziale, la Corte ribadisce principi consolidati in materia di usura ed estorsione, tracciando una netta linea di demarcazione tra la pretesa illecita, che integra l’estorsione, e quella astrattamente tutelabile, che potrebbe rientrare nell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni. La condanna dell’imputato è stata quindi definitivamente confermata, con l’aggiunta delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano generici, privi della specificità richiesta dalla legge e si limitavano a riproporre le stesse questioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza un effettivo confronto con le argomentazioni della sentenza impugnata.

La testimonianza della vittima può essere considerata inutilizzabile se questa avrebbe potuto essere indagata?
No, in questo caso la Corte ha stabilito che la vittima, agendo come mero intermediario in un patto usurario tra terzi, non assume la qualifica di indagato. Pertanto, la sua testimonianza è stata correttamente assunta senza le garanzie previste per gli indagati e non è inutilizzabile.

È possibile contestare in Cassazione la quantificazione di una provvisionale?
No, la Corte ha ribadito il principio secondo cui la concessione e la quantificazione di una provvisionale sono decisioni di natura discrezionale del giudice di merito, non definitive, e quindi non possono essere impugnate con ricorso per cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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