Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23951 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23951 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME NOME a UFA( RUSSIA) il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/09/2024 della CORTE di APPELLO di LECCE, SEZ. DIST. di TARANTO;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 24 settembre 2024 la Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, confermava la sentenza emessa il 30 ottobre 2023 dal Tribunale di Taranto, con la quale gli imputati COGNOME NOME e NOME erano stati dichiarati colpevoli del reato di truffa in concorso in relazione alla vendita on line di una trinciatrice, mai consegnate all’acquirente, il quale nondimeno aveva versato, quale corrispettivo, la somma di euro 700,00.
Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione, con distinti atti, entrambi gli imputati, per il tramite dei rispettivi difensori, chiedendo l’annullamento.
La difesa del COGNOME articolava due motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva inosservanza degli artt. 420-ter e 420-bis, comma 6, cod. proc. pen., assumendo che il difensore, essendo stato nomiNOME poco prima dell’udienza di gravame, aveva chiesto, tramite PEC, alla Corte d’Appello un rinvio dell’udienza e un termine a difesa, senza che tali richieste venissero accolte, così che nel caso di specie si era proceduto in assenza del difensore e dell’imputato, il quale si trovava ristretto in carcere, circostanza quest’ultima della quale la Corte d’Appello era stata resa edotta con comunicazione inviata via EMAIL.
Con il secondo motivo deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 640 cod. pen., assumendo che nella specie il reato di truffa era insussistente, che la parte offesa, al fine di tutelarsi, avrebbe dovuto chiedere di pagare in contrassegno e che nella specie erano carenti tutti gli elementi del reato contestato.
La difesa di NOME articolava un unico motivo, con il quale deduceva violazione degli artt. 192, 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., 640 cod. pen., nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova, assumendo che la Corte d’Appello aveva fondato la statuizione di condanna su un unico elemento di valenza meramente indiziaria, costituito dal fatto che la NOME aveva consentito a far transitare una somma sul suo conto corrente, essendosi trattato di un semplice favore fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso dedotto nell’interesse del COGNOME è manifestamente infondato e pertanto inammissibile.
La consultazione degli atti, ai quali la Corte ha accesso in ragione della natura processuale della doglianza, consente di apprezzare che, in assenza di una richiesta delle parti di trattazione orale, il giudizio di appello è stat celebrato con il rito cartolare ex art. 598-bis, comma 1, cod. proc. pen., rito che non prevede la presenza dell’imputato e del suo difensore.
Pertanto le situazioni denunciate con il primo motivo di ricorso non integrano le violazioni di legge prospettate.
Il secondo motivo è inammissibile in quanto aspecifico, poiché non si confronta con le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata.
In particolare, la Corte d’Appello ha congruamente osservato che la responsabilità del ricorrente emergeva dal fatto che era stato accertato che proprio a costui era intestata l’utenza telefonica attraverso la quale erano state portate avanti le trattative per la vendita della tranciatrice, che l’interlocutore della persona offesa si faceva chiamare “NOME” e che il dolo del reato di truffa era emerso anche in ragione delle differenti e false giustificazioni fornite dal ricorrente rispetto alla mancata consegna del bene.
Il ricorrente non si è confrontato con nessuna delle argomentazioni sviluppate dalla Corte territoriale.
Parimenti inammissibile è il ricorso proposto nell’interesse di NOME in quanto anch’esso aspecifico.
La ricorrente, invero, non si è confrontata con le argomentazioni sviluppate dalla Corte territoriale la quale, per ritenere la responsabilità della ricorrente, ha osservato che la NOME era risultata l’intestataria della carta prepagata indicata all’acquirente per il versamento del corrispettivo della vendita del bene mai consegNOME, che la detta carta era stata attivata con l’utilizzo di documenti intestati alla ricorrente, che il COGNOME aveva fornito alla persona offesa il codice fiscale della medesima COGNOME; la Corte di merito ha, infine, evidenziato che quest’ultima non ha fornito alcuna ricostruzione alternativa rispetto alla prospettazione dei fatti in senso accusatorio, tale da ingenerare un ragionevole dubbio sulla propria responsabilità.
Osserva il Collegio che la NOME non si è confrontata con alcuna delle argomentazioni sviluppate dalla Corte di merito e sopra rassegnate.
Alla stregua di tali rilievi i ricorsi devono, dunque, essere dichiarati inammissibili. I ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che i ricorrenti versino, ciascuno, la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 16/04/2025