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Ricorso inammissibile truffa: la prova del profitto basta

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per truffa. La decisione sottolinea che il ricorso non può contestare la valutazione dei fatti, ma solo vizi di legge. In questo caso di ricorso inammissibile truffa, è stata ritenuta sufficiente per la condanna la prova che l’imputato avesse ricevuto il profitto illecito, anche senza l’identificazione del complice che ha effettuato la telefonata truffaldina.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile Truffa: Quando la Prova del Profitto è Decisiva

Con l’ordinanza n. 4423 del 2024, la Corte di Cassazione torna a ribadire un principio fondamentale del nostro sistema processuale: i limiti del giudizio di legittimità. Il caso in esame, relativo a un’ipotesi di truffa, si conclude con una dichiarazione di ricorso inammissibile truffa, offrendo spunti di riflessione sulla sufficienza della prova e sulla distinzione tra valutazione dei fatti e violazione di legge.

I Fatti di Causa

La vicenda processuale ha origine da una condanna per il reato di truffa in concorso, confermata dalla Corte d’Appello di Ancona. L’imputato, ritenuto responsabile di aver partecipato a un’azione fraudolenta, decideva di presentare ricorso per Cassazione. La sua difesa si basava sulla contestazione della motivazione della sentenza d’appello, ritenuta illogica e basata su una lettura errata delle prove raccolte durante il processo. In sostanza, l’imputato proponeva una ricostruzione dei fatti alternativa a quella accolta dai giudici di merito.

Limiti del Giudizio di Cassazione e il ricorso inammissibile truffa

Il cuore della decisione della Suprema Corte risiede nella natura stessa del ricorso per Cassazione. I giudici hanno prontamente dichiarato il ricorso inammissibile, ricordando che la Corte di Cassazione non è un ‘terzo grado’ di giudizio dove si possono riesaminare i fatti e le prove. Il suo compito è quello di verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la coerenza logica della motivazione, non di sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito.

L’imputato, criticando la ‘lettura dei dati processuali’ e la ‘ricostruzione storica dei fatti’, ha tentato proprio di sollecitare questo tipo di intervento non consentito. Come stabilito da una giurisprudenza consolidata (richiamando la nota sentenza Jakani delle Sezioni Unite), non è permesso alla Corte saggiare la tenuta logica di una sentenza confrontandola con ‘modelli di ragionamento mutuati dall’esterno’.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello fosse esente da vizi logici e giuridicamente corretta. I giudici di merito avevano infatti chiarito un punto cruciale per la condanna: l’irrilevanza della mancata identificazione dell’autore materiale della telefonata truffaldina. Per configurare il concorso di persone nel reato, non è sempre necessario individuare l’esecutore di ogni singola frazione del piano criminale.

L’elemento probatorio ritenuto sufficiente e decisivo è stato un altro: la prova che l’imputato avesse concretamente ottenuto l’ingiusto profitto derivante dalla truffa, una somma di 2.650,00 euro. Questo fatto, secondo la Corte, dimostrava in modo adeguato la sua partecipazione al reato, integrando così tutti gli elementi richiesti dalla norma incriminatrice.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento offre due importanti insegnamenti. In primo luogo, ribadisce la netta separazione tra il giudizio di merito, dedicato all’accertamento del fatto, e il giudizio di legittimità, dedicato al controllo sulla corretta applicazione della legge. Un ricorso che si limita a proporre una diversa interpretazione delle prove è destinato all’inammissibilità. In secondo luogo, sul piano del diritto penale sostanziale, conferma che nel reato di truffa in concorso, la prova del conseguimento del profitto illecito da parte di un soggetto costituisce un elemento di forte valenza indiziaria, che può essere sufficiente a fondare un giudizio di colpevolezza, anche in assenza di prove dirette su ogni singola condotta del piano criminoso.

È possibile contestare in Cassazione la ricostruzione dei fatti operata da un giudice di merito?
No, la Corte di Cassazione non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi. Il suo ruolo è limitato al controllo della corretta applicazione della legge e alla verifica di vizi logici evidenti nella motivazione, non a un nuovo esame dei fatti.

Per una condanna per truffa in concorso, è necessario identificare tutti i complici?
No, l’ordinanza chiarisce che la mancata identificazione dell’autore materiale di una parte del reato (in questo caso, la telefonata) non impedisce la condanna, se la prova della partecipazione dell’imputato al piano criminoso è stata raggiunta in altro modo.

Quale elemento è stato ritenuto sufficiente per provare il coinvolgimento dell’imputato nella truffa?
È stata ritenuta sufficiente la prova che l’imputato abbia ottenuto l’ingiusto profitto della truffa, in questo caso una somma di 2.650,00 euro. Questo è stato considerato un elemento decisivo per dimostrare la sua partecipazione al reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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