Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6518 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6518 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CARIATI il 08/10/1987
avverso la sentenza del 08/05/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME
‘Ritenuto che il primo motivo di ricorso con cui si lamenta l’assenza di ingiustizia del profitto non tiene conto che sono proprio le modalità truffaldine della condotta che rendono la prestazione chiesta dall’imputato ingiusta, a prescindere dalla corrispondenza all’attività dal medesimo prestata sul fondo, in quanto il fatto costitutivo del diritto si fonda su un contratto apocrifo e, in particolare, su un contratto di fitto delle superfici – che costituisce condizione di validità della domanda – privo di alcuna efficacia in quanto “mancante” della parte contraente legittimata alla cessione di tali porzioni di terreno; peraltro, quanto al rilievo che la sottoscrizione sarebbe stata apposta dall’erede del proprietario, dalla lettura della sentenza impugnata risulta che costui “ha precisato di avere soltanto sottoscritto, e poiché pressato dalla famigli NOME e assicurato dal loro legale che non sarebbe andato incontro ad alcuna responsabilità penale, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con la quale attestava che aveva provveduto personalmente ad apporre la firma del genitore deceduto sul contratto di affitto in parola”;
che, inoltre, correttamente è stato ravvisato il dolo, stante la consapevolezza di usare artifizi e raggiri e nell’intenzione di indurre in errore l’ente pubblico al fin di ottenere un contributo altrimenti non dovuto, tanto che i finanziamenti venivano poi revocati;
che, infine, l’inammissibilità del ricorso per cassazione, non consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione laddove intervenuta nelle more del procedimento di legittimità. (vedi Sez. 2, n. 28848 dell’8/05/2013, COGNOME, Rv. 256463; Sez. U, n. 6903 del 27/5/2016, dep. 2017, Nello, Rv. 268966; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266818; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266) e tanto a prescindere che, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata, per stabilirsi il termine di prescrizione, deve farsi riferimento alla pena massima di anni sei di reclusione stabilita all’epoca dei fatti e non a quella di anni sette introdotta dalla legge 17 ottobre 2017, n. 161 (si precisa, infatti, che la consumazione è cessata al 5/07/2017, data dell’ultimo pagamento effettuato), né tantomeno al prolungamento della metà, anziché di 1 /4, del termine ordinario, posto che la modifica all’art. 161, comma 2, cod. pen. risulta essere stata entrata in vigore successivamente alla cessazione della consumazione del reato (I. 23 giugno 2017, n. 103 con entrata in vigore al trentesimo giorno successivo alla pubblicazione);
che, peraltro, l’indicata sospensione Covid pari a giorni 64 nel corso del giudizio di primo grado esclude comunque che la prescrizione del reato sia maturata nel corso del giudizio di legittimità;
che, pertanto, deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, nulla aggiungendo di decisivo il contenuto della memoria difensiva del 27 novembre 2024, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2025.