Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 15954 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 15954 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato il 26/03/1974 NOME nato a ROMA il 14/06/1989
avverso la sentenza del 30/10/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi dell’avv. NOME COGNOME udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto P.G.
NOME COGNOME
Ricorso trattato in camera di consiglio non partecipata ai sensi degli artt. 610, comma 5 e 611, comma 1, c.p.p.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME e NOMECOGNOME a mezzo del comune difensore di fiducia, ricorrono per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 30/10/2024, con cui è stata confermata la sentenza del Tribunale di Milano che ha condannato i ricorrenti alla pena di giustizia in ordine al reato di cui agli artt. 110, 61, comma 1, n. 7, 640 cod. pen.
In relazione alla posizione di NOME COGNOME la difesa affida il ricorso ad un unico motivo.
In particolare, deduce il vizio di motivazione ex art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., in ordine alla rideterminazione della pena.
Ad avviso del ricorrente, infatti, la Corte d’appello non avrebbe fornito una adeguata motivazione sul giudizio di equivalenza compiuto tra le circostanze attenuanti e le contestate aggravanti della recidiva e del danno patrimoniale di particolare rilevanza. Secondo la difesa, infatti, sarebbe stato più ragionevole addivenire ad un giudizio di prevalenza con conseguente rimodulazione della pena. Inoltre, la sentenza impugnata non spiegherebbe perché ci si sia discostati non solo dal minimo edittale, ma anche dalla media prevista in astratto per questa fattispecie di reato.
In relazione alla posizione di NOME COGNOME la difesa affida il ricorso a tre motivi.
3.1. Col primo motivo si denuncia il vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in ordine alla mancata assoluzione dell’imputato per il reato di truffa. In particolare, mancherebbe uno degli elementi costitutivi previsti per la configurazione del delitto di cui all’art. 640 cod. pen. Gli imputati, infat non avrebbero compiuto alcun artificio o raggiro ai danni della persona offesa, la quale, anzi, stante le discrepanze del suo racconto e l’eccessiva superficialità dimostrata nella gestione della compravendita, sarebbe anch’essa coinvolta nelle condotte illecite compiute dagli odierni imputati.
3.2. Il secondo motivo di ricorso inerente al trattamento sanzionatorio è comune a quello proposto dal coimputato COGNOME al quale dunque si rimanda.
3.3. Con il terzo motivo la difesa denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla richiesta di sostituzione della pena detentiva in quella dei lavori di pubblica utilità, come previsto dall’art. 20-bis cod. pen.
Ad avviso del ricorrente, infatti la Corte d’appello non si sarebbe pronunciata sulla richiesta presentata in sede di motivi “nuovi” ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., incorrendo così in un vizio di omessa motivazione censurabile in questa
sede.
4. Il P.G. presso questa Corte, con requisitoria del 17 marzo 2025, ha concluso per il parziale accoglimento del ricorso di NOME con riferimento al terzo motivo relativo alla sostituzione della pena detentiva, dichiarandosi inammissibile il ricorso nel resto. Ha, altresì, concluso per l’inammissibilità con riferimento al ricorso del coimputato NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Il primo motivo del ricorso di NOME è manifestamente infondato.
La prospettazione difensiva che tende ad inficiare il portato indiziante delle dichiarazioni rese dalle persone offese, adducendo un possibile concorso della persona offesa (la signora COGNOME, in ragione del fatto che l’obiettivo era stato quello di simulare una truffa al fine di far ricevere a quest’ultima il pagamento da parte dell’assicurazione, rinviene sufficiente smentita nelle motivazioni delle sentenze di merito.
Invero, l’assenza di decisività delle discrepanze segnalate dalla difesa tra le versioni dei testi coinvolti nell’operazione di vendita del diamante e le mancanze narrative della testimonianza della persona offesa sono state superate dal richiamo a convergenti e plurime fonti di prova, pure specificamente declinate dalla Corte di appello (v. pagg. 6-8), la quali danno ragionevolmente conto di come quantomeno la Gil (poi costituitasi parte civile), quale intermediaria, sia stata effettivamente indotta in errore sull’autenticità delle banconote consegnate per l’acquisto del diamante. Del resto, che la donna fosse stata individuata quale persona che doveva necessariamente credere alla compravendita non solo emerge dal dichiarato dello stesso COGNOME, ma è dimostrato dal contenuto della denuncia resa che avrebbe dovuto essere, per come sottolinea la Corte di merito, all’evidenza del tutto differente da quella sporta, cioè inidonea ad individuare i complici della truffa dell’assicurazione. Nessuna manifesta illogicità sconta, pertanto, la sentenza impugnata per avere escluso – anche alla luce delle modalità dell’evolversi della vicenda per come narrate dal giudice del merito – che la sprovvedutezza mostrata dalla donna fosse foriera di certa complicità. Ella, infatti, pur agendo in modo superficiale, è stata indotta in errore a causa degli artifici e raggiri compiuti dagli imputati, per come si ricava dalle conversazioni telefoniche acquisite, che mai lasciano intendere una compartecipazione della Gil nella truffa, sia dalla circostanza che ella non abbia mai potuto vedere il denaro prima della
consegna del gioiello. Inoltre, è provato che la Gli avesse manifestato a più riprese le proprie rimostranze nel mettere in atto uno scambio in modo assolutamente poco convenzionale, convinta – a malincuore – solo grazie alle rassicurazioni della Chen circa la buona fede degli acquirenti e l’effettiva esistenza del denaro promesso in garanzia.
Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso, comune ai due imputati, in punto di trattamento sanzionatorio.
Entrambi i ricorrenti presentano plurime condanne per reati contro il patrimonio, commessi in un lasso di tempo assai esteso. La natura delle condotte perpetrate, la determinazione e la programmazione con cui hanno portato a termine i loro propositi criminosi, nonché l’ingente valore patrimoniale del danno arrecato, risultano indici congrui di disvalore che non permettono di addivenire ad un giudizio positivo circa la futura astensione dal commettere altri crimini, né di operare un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, che comunque sono state concesse agli imputati in virtù del loro comportamento collaborativo in fase dibattimentale, avendo fornito il consenso all’acquisizione degli atti, così assicurando una pronta definizione del giudizio.
Inoltre, la sentenza ha ben spiegato le ragioni per cui si è ritenuto di doversi discostare dal minimo edittale previsto dalla legge, con una motivazione esaustiva, logica e puntuale.
Da ultimo, si sottolinea come per costante giurisprudenza le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutta di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931 – 01).
Il terzo motivo di ricorso di NOME COGNOME è inammissibile sotto due profili.
4.1. Anzitutto la richiesta di sostituzione della pena detentiva in quella dei lavori di pubblica utilità è tardiva, in quanto doveva e poteva essere effettuata con l’atto di appello. La richiesta, infatti, è stata presentata con i motivi aggiunti 20 settembre 2024, a fronte, invece, di una modifica normativa che consentiva all’imputato di chiedere l’applicazione della pena sostitutiva sin dal 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022 che all’art. 1, comma 1, lett. d), ha ampliato il catalogo delle pene principali nel codice penale.
4.2. Inoltre, difetta del consenso espresso dell’imputato. A norma dell’art. 58, comma 3, d.lgs. n. 689 del 1981 – alla cui disciplina rimanda l’art.
20
–
bis cod.
pen. – la pena sostitutiva del lavoro di pubblica, al pari della semilibertà e della detenzione domiciliare, può essere applicata solo con il consenso dell’imputato,
espresso personalmente o a mezzo di procuratore speciale.
Benché il difensore si sia definito anche procuratore speciale dell’imputato nell’istanza di applicazione del lavoro di pubblica utilità, oggetto del motivo
aggiunto presentato successivamente all’entrata in vigore della c.d. Riforma
COGNOME dall’esame della procura allegata all’atto di appello, anche questa successiva all’introduzione dell’art.
20
-bis cod. pen., non risulta che l’imputato gli
abbia conferito detta facoltà (essendo la procura limitata all’atto di impugnazione).
Ne consegue, pertanto, in difetto di ulteriori allegazioni, che il mancato esame del motivo da parte della Corte d’appello non determina alcun vizio che può condurre
della sentenza, in quanto l’eventuale accoglimento all’annullamento in
parte qua della doglianza non potrebbe sortire – stante la tardività del motivo e l’assenza
della procura – alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio.
5. In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende, in ragione di profili di inammissibilità rilevati.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 4 aprile 2025.