Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 36040 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 36040 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1.COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA 2.COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 30/05/2025 della CORTE di APPELLO di SALERNO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità de i ricorsi; ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto e seguenti del codice di procedura dagli articoli 610 comma 5 e 611 comma 1bis penale.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento la Corte d’appello di Salerno ha confermato la condanna degli imputati per il reato di tentata truffa aggravata.
Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione la difesa degli imputati, formulando due motivi.
2.1 Innanzitutto, si lamenta (sotto l’egida dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e, cod. proc. pen.) la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’applicazione dell’aggravante.
I giudici hanno considerato la sola età della persona offesa (anni 87) quale parametro sufficiente a giustificarne la fondatezza, senza valutare quale effettiva condizione di vulnerabilità ciò abbia comportato, con valutazione quindi insufficiente ed a base parziale.
2.2 Con il secondo motivo si lamenta ( ex art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.) la mancata considerazione -ed anzi, addirittura, menzione -dell’intervenuto risarcimento del danno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché il primo comune motivo è generico e manifestamente infondato mentre il secondo, altrettanto comune, non è consentito.
1.1. Il primo, che contesta la sussistenza della aggravante e della relativa motivazione, è del tutto generico, e quindi privo della specificità prescritta dall’art. 581, lett. c), in relazione all’art. 591, lett. c), cod. proc. pen., costituendo sostanzialmente la riproduzione del cahier de doléances presentato alla Corte d’appello ; in tale ipotesi il motivo risulta ripetitivo, aspecifico e, in definitiva, soltanto apparente, giacché omette di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838 – 01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568 – 01; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, COGNOME, Rv. 259425 – 01). Tanto più che, nella fattispecie, ci si trova di fronte ad una c.d. “doppia conforme” anche in relazione all’applicazione della circostanza aggravante (oltre che della penale responsabilità), con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette, anche per tale aspetto, congiuntamente, costituendo esse un unico corpo decisionale, essendo stati rispettati i parametri del richiamo della pronuncia di appello a quella di primo grado e dell’adozione – da parte di entrambe le sentenze – dei medesimi criteri nella valutazione delle prove (cfr., Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01). Ed infatti, leggendole ‘in parallelo’, si coglie immediatamente che il riconoscimento della menzionata aggravante non è il frutto dell’astratta applicazione di una regola, ma della specifica valutazione , dall’analisi delle concrete modalità dell’azione, della particolare vulnerabilità della anziana in ragione del fattore età. Infatti, si legge nella motivazione (pg.2, in fondo) che ‘ La vittima, assai anziana, mostrò nell’occasione di essere tutt’altro che lucida e presente a se stessa, tanto è vero che anziché respingere senz’altro i due imputati si limitò a rispondere che non sapeva come trasportare un pacco pesante, e fu solo l’intervento del nipote al salvarla dalla consumazione del reato ‘ . Ciò dimostra
che i giudici, evitando qualsivoglia pre-giudizio astratto, si sono calati nel caso concreto per applicare il diritto al fatto.
Il primo motivo è, quindi, oltre che ripetitivo, manifestamente infondato.
1.2. Il secondo motivo non è consentito.
E’ corretto riconoscere che la difesa abbia da sempre cercato di introdurre nel processo il tema dell’avvenuto risarcimento del danno a favore della persona offesa (circostanza documentata) e tuttavia occorre altresì affermare che ciò è stato fatto in maniera errata tanto in primo, come in secondo grado, come in sede di legittimità.
In primo grado (si legge nella sentenza e nei verbali di udienza) la difesa ha insistito (udienza 2 dicembre 2024) ‘n ella istanza di definizione del processo con rito abbreviato condizionato al riconoscimento del risarcimento del danno nei confronti della persona offesa, per entrambi gli imputati ‘, richiesta chiaramente inammissibile perché fuori dallo schema legale, che all’art. 438, comma 5, cod. proc. pen. prevede bensì la possibilità di ‘subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria necessaria alla decisione’, ma non ad un certo esito del giudizio. Nelle conclusioni, ci si è limitati a chiedere, in via gradata rispetto all’assoluzione ed alla pronuncia di non doversi procedere, il ‘minimo della pena e i benefici di legge’ (pg. 2 della sentenza).
In appello, il risarcimento del danno è stato inserito in un motivo rubricato ‘ Dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta remissione tacita di querela a seguito del risarcimento del danno ‘ (grassetto e sottolineato nell’originale, n.d.r.) . L’istanza è stata respinta perché la truffa aggravata di cui all’imputazione è perseguibile d’ufficio (pg. 3 della decisione).
Nel ricorso per cassazione, infine, la mancata valorizzazione dell ‘avvenuto risarcimento da parte dei giudici di primo e di secondo grado, costituisce oggetto di una doglianza attinente al trattamento sanzionatorio (pg. 6, in fondo), tema non evocato in precedenza, in relazione al preteso risarcimento.
Il disallineamento tra le richieste formulate nelle diverse fasi processuali, fa sì che solo in questa sede, per la prima volta, si invochi (peraltro senza ulteriore argomentazione o riferimento ad articoli del codice applicabili al caso concreto) la circostanza attenuante del risarcimento del danno.
In tale prospettiva, il motivo non è consentito: costituendo esso un novum che viola la catena devolutiva, va applicato il disposto degli artt. 606, comma 3, e 609, comma 2, cod. proc. pen., la cui ratio risiede nell’evitare che possa essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado su un punto del ricorso non ‘coperto’ dalla Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame (Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, Bonaffini, Rv. 256631 – 01).
All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 9 ottobre 2025
Il Consigliere relatore Il Presidente
NOME NOME COGNOME