Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 16953 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 16953 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/04/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE PENALE
Composta da:
NOME COGNOME
– Presidente
Sent. n. sez. 707/2025
NOME COGNOME
UP – 15/04/2025
NOME
R.G.N. 7396/2025
NOME COGNOME
NOME COGNOME
– Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di
Sasso NOMECOGNOME nata a Maddaloni il 20/04/1976
NOME nata a Caserta il 20/09/1985
avverso la sentenza del 09/09/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che entrambi i ricorsi vengano dichiarati inammissibili;
lette la memoria integrativa del difensore della ricorrente COGNOME, avv. NOME COGNOME che ha concluso per l ‘ accoglimento del ricorso;
lette le note difensive e le conclusioni scritte del difensore della ricorrente COGNOME avv. NOME COGNOME che ha concluso per l ‘ accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Napoli ha integralmente confermato la pronuncia di condanna emessa in data 6 settembre 2022 dal
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati di truffa loro ascritti ai capi k) (Sasso) e i) e g) , assorbito in essi il capo l) (COGNOME).
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione le suddette imputate, a mezzo dei propri difensori, formulando i motivi di censura di seguito sinteticamente esposti, nei termini di cui all ‘ art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Ricorso di NOME COGNOME
3.1. Violazione dell’art. 546 cod. proc. pen. e carenza di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità. La Corte di appello, limitandosi a richiamare le considerazioni del giudice di primo grado, avrebbe omesso di esaminare adeguatamente i rilievi avanzati con l’atto di gravame (in particolare, in merito alla protrazione dei rapporti tra Marra e Sasso anche dopo la denuncia e alla asserita liberalità delle dazioni, in assenza di costrizioni o inganni).
3.2. Violazione dell’art. 546 cod. proc. pen. e carenza di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, nonostante l’emersione di elementi favorevoli, quali la relazione personale con la persona offesa.
4. Ricorso di NOME COGNOME
4.1. Violazione dell’art. 640 cod. pen., con riferimento alla ribadita sussistenza, per entrambi i capi per cui c’è stata condanna, degli artifici e raggiri, laddove la condotta dell’imputata che non si era mai qualificata come ‘titolare’ dell’impresa che avrebbe dovuto assumere le persone offese -sarebbe invece sussumibile nella fattispecie civilistica della promessa del fatto del terzo.
4.2. Violazione degli artt. 516, 518 e 522 cod. proc. pen., per difetto di correlazione tra l’imputazione (che postulava la falsa attribuzione della qualità di titolare della società incaricata della distribuzione dei pasti nella struttura ospedaliera) e la sentenza (che, alla luce dell’istruttoria espletata, esc ludeva tale condotta), con conseguente affermazione di responsabilità per un fatto diverso.
4.3. Violazione degli artt. 640 e 641 cod. pen., sul presupposto che -nell’impossibilità di operare ritualmente una qualificazione del fatto come insolvenza fraudolenta (attesa la diversa struttura del fatto tipico) -si sarebbe comunque imposta una pronuncia assolutoria, tenuto conto della penale irrilevanza della mera riserva mentale di non adempiere.
4.4. Violazione degli artt. 42 e 640 cod. pen., in relazione alla ribadita sussistenza dell’elemento soggettivo, senza , però, valutare l’ipotesi di un errore sul fatto (per quel che attiene a un’effettiva necessità di reclutamento da parte della società suddetta).
4.5. Violazione degli artt. 62bis e 133 cod. pen., per quel che attiene alla eccessiva severità della pena e al diniego delle attenuanti generiche.
4.6. Con le note presentate in limine , la ricorrente ha eccepito, altresì, lo spirare del termine di prescrizione intervenuto entro l’11 ottobre 2024, per i singoli reati contestati sino al 2 febbraio 2017 (capo g) ) e al l’ 11 aprile 2017 (capo i) ).
Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell ‘ art. 611, comma 1, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi sono inammissibili.
Quanto alle censure articolate nel primo motivo del ricorso di NOME COGNOME è opportuno ribadire come ai fini del controllo di legittimità -in particolare quando, come nel caso di specie, i giudici di secondo grado abbiano confermato la condanna pronunciata in T ribunale (cosiddetta ‘doppia conforme’) la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado, così da formare un unico complessivo corpo decisionale, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri espressamente omogenei a quelli del primo giudice, richiamando i passaggi logico-giuridici della prima sentenza e concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (cfr., Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv 257595-01 ). D’altro canto, nella motivazione della sentenza, il giudice del gravame non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del proprio convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; debbono pertanto considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, COGNOME, Rv 281935-01).
Nel caso di specie, l’ unicum motivazionale su cui riposa la pronuncia di condanna -muovendo dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa (poi, acquisite ex art. 512 cod. proc. pen., per sopravvenuto decesso) e della sua ex -moglie, unitamente alla documentazione bancaria -chiarisce congruamente la reiterata condotta decettiva dell’imputata, che ha indotto Marra a ripetute e cospicue elargizioni, rappresentandogli la propria falsa condizione di vittima di usura ed
altre inesistenti sciagure, anche altrui, facendo leva sulla palese incapacità della persona offesa di un’accorta gestione patrimoniale (sentenza di appello, pp. 4-5; sentenza di primo grado, pp. 13-20).
Le doglianze sono, dunque, non consentite e, comunque, manifestamente infondate.
Il primo e il terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME incentrati entrambi sulla corretta qualificazione del fatto, possono essere esaminati congiuntamente.
Le vicende, come accertate concordemente in entrambi i giudizi di merito (e, dunque, non rivalutabili in questa sede di legittimità), sono caratterizzate dalla mendace promessa dell’imputata, rivolta a un’ampia platea di destinatari (solo per alcuni dei quali permane ancora la condizione di procedibilità), di procurare posti di lavoro presso la mensa dell’Ospedale di Caserta, inducendo in errore le persone offese, che acconsentirono ad anticiparle denaro per inesistenti corsi di formazione e l’ acquisto del l’asseritamente necessario abbigliamento professionale, con garanzia di successivo rimborso.
Sussiste, con ogni evidenza e anche a prescindere dalla mancata auto presentazione quale titolare dell’impresa , la contestata condotta di artificio, quale «espediente a mezzo del quale l’agente alterando la realtà esterna, crea nella vittima una falsa rappresentazione della medesima traendolo in inganno: quindi, il classico comportamento attivo (la cd. mise en scène )» (Sez. 2, n. 46209 del 03/10/2023, Alfonso, 285442-01, in motivazione). Non si tratta, perciò, di mera dissimulazione del reale stato di insolv enza dell’agente, ma della sim ulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore; i fatti sono stati correttamente ricondotti nella fattispecie di truffa e non di insolvenza fraudolenta, né tantomeno in quella privatistica ex art. 1381 cod. civ. (Sez. 5, n. 44659 del 21/10/2021, COGNOME, Rv. 282174-01; Sez. 7, Ord. n. 16723 del 13/01/2015, COGNOME, Rv. 263360-01; Sez. 2, n. 45096 del 11/11/2009, COGNOME, Rv. 245695-01).
Il quarto motivo del ricorso di COGNOME risulta meramente rivalutativo, sollecitando -peraltro in termini oltremodo generici -questa Corte di legittimità a un diverso apprezzamento della piattaforma probatoria, sul presupposto di una possibile incidenza causale sulle dinamiche del foro interno dell’imputata «dell’interposizione di altro soggetto : tale sua zia» e sull’asserito affidamento in ipotetiche necessità assunzionali dell’impresa concessionaria ( senza che siano mai emersi in modo tangibile, nell’istruttoria dibattimentale , contatti effettivi di quest’ultima società con l’imputata) .
Ciò premesso, i l precetto di cui all’ art. 521 cod. proc. pen., invero, può ritenersi violato solo nel caso di assoluta e reale difformità tra l’accusa e la statuizione del giudice, quando non sia possibile individuare un nucleo comune nei fatti -diversi nei loro elementi essenziali, tanto da determinare un ‘ incertezza sull’oggetto della imputazione -che si pongono, quindi, in rapporto di eterogeneità e incompatibilità tra loro, facendo sì che l ‘ imputato, attraverso l ‘ iter del processo, si sia trovato nella condizione di non potersi difendere in ordine all ‘ oggetto della imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, dep. 2010, COGNOME, Rv. 24805101; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205617-01; Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, Ogbeifun, Rv. 281477-01; Sez. 2, n. 12328 del 24/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276955-01).
Nel caso di specie, non c’è stata alcuna incertezza sul nucleo essenziale della contestazione, chiaramente focalizzato sull’assoluta e consapevole inconsistenza dell’offerta di lavoro, finalizzata esclusivamente a ottenere pretestuosi anticipi di denaro.
Il secondo motivo di ricorso di COGNOME è, dunque, manifestamente infondato.
Il secondo motivo di COGNOME e il quinto motivo di COGNOME, infine, risultano insuperabilmente generici.
6.1. La Corte di appello ha escluso per entrambe le imputate, in modo ampiamente argomentato, la concessione delle circostanze attenuanti generiche, in assenza di sintomi di resipiscenza e comunque di elementi utilmente valutabili, e ha giustificato la pena irrogata, per quanto attiene a COGNOME con la pervicace protrazione della condotta, sino a prosciugare tutti i -non irrilevanti -risparmi familiari di COGNOME e, per quel che concerne COGNOME, con la acuta tecnica truffaldina, affinata man mano e rivolta in danno di una molteplicità di persone, vanamente speranzose di una stabile occupazione lavorativa.
6.2. È opportuno sottolineare come la pena irrogata a ciascuna delle due imputate, rispetto alla forbice edittale, seppure non risulti precisamente appiattita sul minimo, non se ne sia neppure allontanata in maniera rilevante. La congruità delle sanzioni concretamente inflitte appare illustrata in maniera logica e aderente al dato processuale.
6.2.1. Peraltro, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Nel caso in cui venga irrogata una pena molto al di sotto della media edittale, l’obbligo motivazionale si attenua: sarebbe persino sufficiente il semplice richiamo criterio di adeguatezza della pena o che si dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., anche solo con espressioni del tipo: ‘ pena congrua ‘ , ‘ pena equa ‘ o ‘ congruo aumento ‘ , come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla
capacità a delinquere; resta, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (cfr., Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288-01; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243-01; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283-01).
6.2.2. Ciò premesso, la difesa di COGNOME si è limitata ad invocare, oltre all’incensuratezza, l’esistenza di una relazione caratterizzata dall’assenza di minacce (che avrebbero, se sussistenti, comportato un diverso e più grave titolo di reato) e da mutui sentimenti di affetto, che erano stati, invece, recisamente esclusi nella ricostruzione della vicenda, connotata, al contrario, dalla maliziosa induzione in errore dell’uomo.
Il ricorso di COGNOME è ancora più aspecifico, offrendo un ‘apodittica affermazione di eccessiva asprezza e dolendosi di un’asserita insufficienza del materiale probatorio.
6.3. In presenza di una congrua giustificazione della dosimetria della pena e dei correlati profili circostanziali, tutti i suddetti profili di censura risultano sterilmente rivalutativi.
7. Entrambi i ricorsi devono, pertanto, essere dichiarati inammissibili.
7.1. Quanto alla prescrizione eccepita dalla difesa di COGNOME dopo la sentenza di appello, la giurisprudenza di questa Corte ha pi ù̀ volte chiarito che l ‘ inammissibilit à̀ del ricorso per cassazione «non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilit à̀ di rilevare e dichiarare le cause di non punibilit à̀ a norma dell ‘ art. 129 cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266-01: nella specie, l ‘ inammissibilit à̀ del ricorso era dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi e la prescrizione del reato era maturata successivamente alla data della sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, COGNOME Rv. 219531-01; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, COGNOME, Rv. 231164-01, in tema di assoluta genericità delle doglianze; Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, COGNOME Rv. 239400-01).
Nel caso di specie, l’ordinario termine prescrizionale, ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. pen., di complessivi sette anni e sei mesi, sarebbe, in astratto, venuto a scadere rispettivamente, muovendo dal dies a quo indicato dalla medesima ricorrente, il 2 agosto 2024 e l’11 ottobre 2024. Occorre, tuttavia, tener conto anche di (almeno) quattro mesi e ventitré giorni di sospensione (due mesi e ventitré giorni dall’udienza del 12 aprile 2022, per adesione della difesa all’astensione proclamata dalle Camere NOME; due mesi, a decorrere dal termine dell’impedimento, giusta richiesta dell’imputata COGNOME. Cfr. le indicazioni -non contestate -nella sentenza del Tribunale, p. 4): la prescrizione è, dunque,
intervenuta non prima del 25 dicembre 2024 (capo g) ) e del 6 marzo 2025 (capo i) ), in data ampiamente successiva alla pronuncia di secondo grado, anche per il capo g) .
7.2. Ai sensi dell ‘ art. 616 cod. proc. pen., le ricorrenti devono essere condannate al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15 aprile 2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME