Ricorso Inammissibile: La Cassazione Conferma Condanna per Truffa e Falso Ideologico
Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso di truffa e falso ideologico, concludendo per un ricorso inammissibile presentato dall’imputato. Questa decisione ribadisce l’importanza della coerenza e della fondatezza dei motivi di appello, specialmente quando si contesta la qualificazione giuridica del reato e la valutazione delle prove operata dai giudici di merito. Analizziamo nel dettaglio la pronuncia per comprendere le ragioni che hanno portato a tale esito.
I Fatti di Causa
La vicenda processuale ha origine da una condanna emessa dal Tribunale di Viterbo per i reati di truffa consumata e falso ideologico ai sensi dell’art. 483 del codice penale. La sentenza è stata successivamente confermata dalla Corte d’Appello di Roma. L’imputato, non soddisfatto della decisione, ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a due specifici motivi di doglianza.
I Motivi del Ricorso
Il ricorrente ha basato la sua difesa su due argomentazioni principali:
1. Errata qualificazione del reato di truffa: Sosteneva che vi fosse una palese contraddizione tra la parte motiva della sentenza d’appello, in cui la Corte sembrava qualificare il fatto come tentata truffa, e il dispositivo, che invece confermava la condanna di primo grado per truffa consumata.
2. Violazione di legge e vizio di motivazione per il reato di falso ideologico: Lamentava che la Corte d’Appello non avesse motivato adeguatamente la sua affermazione di responsabilità per il delitto di cui all’art. 483 c.p., omettendo una corretta valutazione degli elementi soggettivi e oggettivi del reato.
La Decisione della Corte di Cassazione e il concetto di ricorso inammissibile
La Suprema Corte ha rigettato entrambe le censure, dichiarando il ricorso inammissibile in quanto manifestamente infondato. Questa pronuncia offre spunti importanti sulla valutazione che la Cassazione compie sui motivi di ricorso, agendo come giudice di legittimità e non di merito.
L’analisi del primo motivo: discrasia tra motivazione e dispositivo
La Corte ha smontato la prima argomentazione difensiva definendola “palesemente smentita dalla lettura” degli atti. I giudici di legittimità hanno chiarito che l’affermazione del ricorrente era basata su un’errata interpretazione della sentenza di primo grado. La Corte d’Appello non aveva mai inteso riqualificare il fatto come tentata truffa, ma si era limitata a confermare in toto la decisione del Tribunale, che aveva correttamente condannato per truffa consumata. La presunta contraddizione era, quindi, inesistente.
L’analisi del secondo motivo: il reato di falso ideologico
Anche il secondo motivo è stato ritenuto manifestamente infondato. La Cassazione ha evidenziato come i giudici d’appello avessero, al contrario, “adeguatamente esplicato le congrue e non illogiche ragioni di fatto e di diritto” a fondamento della condanna. La motivazione della Corte territoriale era stata ritenuta completa e coerente con la giurisprudenza consolidata in materia (richiamando la sentenza n. 7496/2000), integrando pienamente i presupposti soggettivi e oggettivi della fattispecie criminosa contestata.
Le Motivazioni della Decisione
La decisione della Corte di Cassazione si fonda sul principio secondo cui un ricorso, per essere ammissibile, non può basarsi su censure generiche, palesemente errate nella lettura degli atti processuali o che mirano a una rivalutazione del merito dei fatti, preclusa in sede di legittimità.
Nel caso specifico, il primo motivo è stato respinto perché fondato su un’interpretazione distorta della sentenza impugnata. Il secondo motivo è stato giudicato infondato perché la motivazione della Corte d’Appello era stata ritenuta logica, completa e giuridicamente corretta. La Corte Suprema ha quindi agito nel pieno rispetto del suo ruolo, verificando la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione, senza riesaminare le prove.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia
L’ordinanza ha conseguenze significative. In primo luogo, la dichiarazione di inammissibilità comporta non solo il rigetto del ricorso, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.
In secondo luogo, questa decisione rafforza un principio fondamentale del nostro sistema processuale: i motivi di ricorso in Cassazione devono essere specifici, pertinenti e non possono risolversi in una mera riproposizione delle tesi già respinte nei gradi di merito o in una lettura errata dei provvedimenti impugnati. Per evitare una declaratoria di ricorso inammissibile, è essenziale che le censure siano rigorosamente ancorate a vizi di legittimità e non a semplici doglianze sul merito della decisione.
Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo quanto emerge dalla pronuncia, un ricorso viene dichiarato inammissibile quando i motivi sono “manifestamente infondati”, ad esempio perché si basano su una lettura errata delle sentenze precedenti o perché non evidenziano reali vizi di legge o di motivazione, ma cercano di ottenere un nuovo giudizio sul fatto.
Qual era il punto centrale della contestazione sulla truffa?
Il ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avesse contraddittoriamente qualificato il reato come tentata truffa nella motivazione, per poi confermare la condanna per truffa consumata nel dispositivo. La Cassazione ha chiarito che questa era un’interpretazione errata, poiché la Corte d’Appello aveva semplicemente confermato la decisione di primo grado senza alcuna riqualificazione.
Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. In questo caso specifico, l’importo è stato fissato in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46110 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46110 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a FOGGIA il 27/08/1981
avverso la sentenza del 31/01/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che il primo motivo di ricorso, con cui si contesta mancanza di corrispondenza tra la parte motiva della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale ha ritenuto che il fatto di cui al capo a) di imputazione dovesse ess correttamente qualificato come reato di tentata truffa, e il dispositivo de medesima sentenza, in cui risulta confermata la decisione del primo giudice, che a contrario aveva condannato l’imputato per truffa consumata, è manifestamente infondato, poiché prospetta una censura palesemente smentita dalla lettura di quanto effettivamente statuito nella pronuncia del Tribunale di Viterbo in data 27 Gennaio 2020 (richiamata anche dalla pag. 1 della impugnata sentenza);
ritenuto che anche il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per reato di cui all’art. 483 cod. pen., è manifestamente infondato, poiché i giudici appello hanno adeguatamente esplicato le congrue e non illogiche ragioni di fatto e di diritto (si veda in particolare pag. 2 della impugnata sentenza) poste alla b della ritenuta piena integrazione dei presupposti soggettivi e oggettivi del fattispecie criminosa de qua, in conformità con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 5, n. 7496 del 30/03/2000, COGNOME, Rv 216533 – 01);
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 novembre 2024.