Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8861 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3   Num. 8861  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/12/2023 della Corte d’appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito  il  Pubblico  Ministero,  in  persona  della  Sostituta  Procuratrice  generale
NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
udita l’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia di NOME COGNOME, nonché sostituto processuale degli AVV_NOTAIO, NOME COGNOME e NOME COGNOME, difensori di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
 Con  sentenza emessa in data 19 dicembre 2023, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Palermo del 15 marzo 2023 che aveva dichiarato la penale responsabilità di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per reati di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti e li aveva condannati alle pene ritenute di giustizia.
Secondo i Giudici di merito, NOME COGNOME, agendo sotto la direzione di NOME COGNOME, o comunque in concorso con il medesimo, avrebbe: 1) consegnato a NOME COGNOME 19 grammi di cocaina, il 4 novembre 2019 (capo 24.1); 2) consegnato a NOME COGNOME un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente, il 7 dicembre 2019 (capo 24.9); 3) consegnato a NOME COGNOME 15 panetti di hashish, il 3 gennaio 2020 (capo 24.14); 4) trasportato 5 panetti di hashish ricevuti da NOME COGNOME, il 12 gennaio 2020 (capo 24.15).
NOME COGNOME avrebbe: 1) trasportato un panetto di hashish al cugino NOME COGNOME, il 9 dicembre 2019 (capo 34.1); 2) consegnato a NOME COGNOME, su disposizione di NOME COGNOME, 15 panetti di hashish, il 3 gennaio 2020 (capo 34.2); 3) ceduto a NOME COGNOME, su disposizione di NOME COGNOME, 5 panetti di hashish, il 12 gennaio 2020 (capo 34.3).
NOME COGNOME avrebbe: 1) delegato a NOME COGNOME la consegna a NOME COGNOME di 19 grammi di cocaina, il 4 novembre 2019 (capo 38.1); 2) delegato a NOME COGNOME la consegna di un quantitativo non determinato di sostanza stupefacente, il 17 novembre 2019 (capo 38.2); 3) ceduto a NOME COGNOME 5 panetti di hashish del peso complessivo di 500 grammi, il 22 novembre 2019 (capo 38.8); 4) consegnato a NOME COGNOME, per il tramite di NOME COGNOME, un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente, il 7 dicembre 2019 (capo 38.10); 5) ceduto a NOME COGNOME un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente, il 13 dicembre 2019 (capo 38.12); 6) acquistato un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente, il 17 dicembre 2019 (capo 38.14); 7) ceduto a NOME COGNOME 20 panetti di hashish al prezzo di 270,00 euro ciascuno, il 19 dicembre 2019 (capo 38.16); 8) consegnato a terzi un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente, il 21 dicembre 2019 (capo 38.18); 9) ceduto a NOME COGNOME un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente, il 13 dicembre 2019 (capo 38.19); 10) consegnato a NOME COGNOME, avvalendosi di NOME COGNOME, 15 panetti di hashish, il 3 gennaio 2020 (capo 38.21).
Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe  NOME  COGNOME,  con  atto  sottoscritto  dall’AVV_NOTAIO,
NOME COGNOMECOGNOME COGNOME atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO, e NOME COGNOME, con atto sott oscritto dall’AVV_NOTAIO.
3. Il ricorso di NOME COGNOME è articolato in tre motivi.
3.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in relazione a ll’ art. 530 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b ) ed e ), cod. proc. pen., avuto riguardo alla affermazione di responsabilità per i reati per i quali è stata pronunciata condanna.
Si deduce che l’affermazione di penale responsabilità si fonda illegittimamente soltanto su conversazioni telefoniche spesso intercorse tra terze persone, e di contenuto quanto meno equivoco, come riconosciuto in premessa dalla stessa sentenza impugnata a pag. 3 . Si osserva: a) con riguardo all’episodio di cui al capo 24.1, che l’identificazione in NOME COGNOME di tale ‘NOME‘, menzionato nel dialogo intercettato, è apodittica, anche perché NOME COGNOME non è stato mai appellato in tal modo, e che priva di motivazione è l’individuazione della sostanza trattata in cocaina anzic hé in hashish; b) in riferimento all’episodio di cui al capo 24.14, che il tenore della conversazione intercettata è equivoco, in quanto le parti parlano di panini, e che non si è tenuto conto della prospettazione alternativa delle parti; c) relativamente all’episodio di cui al capo 24.9, che le conversazioni sono equivoche, e che le riprese delle telecamere non hanno fornito alcuna prova della consegna di oggetti identificabili come sostanza stupefacente; d) con riguardo all’episodio di cui al capo 24.15, che la stessa sentenza impugnata ammette l’assenza di certezze in ordine allo svolgimento dell’incontro in cui NOME COGNOME avrebbe ricevuto la droga da NOME COGNOME, e che non vi è nemmeno prova della stipulazione di un accordo tra i due per la cessione della sostanza stupefacente. Si conclude che la motivazione della sentenza impugnata, siccome basata su mere conversazioni intercettate, di contenuto equivoco, e non supportate da alcun riscontro, si pone in contrasto con il principio secondo cui la sentenza di condanna può essere pronunciata solo se la colpevolezza è accertata al di là di ogni ragionevole dubbio.
3.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in relazione all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606,  comma  1,  lett. b )  ed e ),  cod.  proc.  pen.,  avuto  riguardo  alla  mancata riqualificazione dei fatti nella figura della lieve entità.
Si deduce che il rigetto della richiesta di riqualificare i fatti nella fattispecie della lieve entità è illegittimo perché del tutto immotivato, e perché non prende in considerazione  la  modestia  dei  quantitativi  trattati  e  del  tipo  di  sostanza stupefacente oggetto delle condotte, costituita sempre da droga c.d. ‘leggera’.
3.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in relazione agli artt. 62bis cod.  pen.  e  192  cod.  proc.  pen.,  nonché  vizio  di  motivazione,  a  norma dell’art. 606, comma 1, lett. b ) ed e ), cod. proc. pen., avuto riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Si deduce che la sentenza impugnata illegittimamente ha affermato l’insussistenza di elementi positivamente valutabili, in particolare perché non ha tenuto  conto  dell’atteggiamento  collaborativo  tenuto  dall’ imputato  nel  corso dell’istruttoria dibattimentale.
4. Il ricorso di NOME COGNOME è articolato in due motivi.
4.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in relazione agli artt. 192 e 530 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b )  ed e ),  cod.  proc.  pen.,  avuto  riguardo  alla  affermazione  di responsabilità per i reati per i quali è stata pronunciata condanna.
Si deduce che l’affermazione di penale responsabilità si fonda illegittimamente su generiche dichiarazioni dei militari incaricati delle indagini e su conversazioni telefoniche, di contenuto quanto meno equivoco, come riconosciuto in premessa dalla stessa sentenza impugnata a pag. 3 . Si osserva: a) con riguardo all’episodio di cui al capo 34.1, che non è certo se la consegna abbia avuto ad oggetto effettivamente un panetto di hashish o di altra sostanza, e non è certo nemmeno se sia effettivamente avvenuta la consegna della cosa; b) in riferimento all’episodio di cui al capo 34.2, che il tenore della conversazione intercettata è equivoco, in quanto le parti parlano di panini e l’attuale ricorrente all’epoca, per lavoro, vendeva effettivamente panini; c) relativamente all’episodio di cui al capo 34.3, che la stessa sentenza impugnata ammette l’assenza di certezze in ordine allo svolgimento dell’incontro in cui NOME COGNOME avrebbe consegnato la droga a NOME COGNOME, e che non vi è nemmeno prova della stipulazione di un accordo tra i due per la cessione della sostanza stupefacente. Si conclude che la motivazione della sentenza impugnata, siccome basata su mere conversazioni intercettate, di contenuto equivoco, e non supportate da alcun riscontro, si pone in contrasto con il principio secondo cui la sentenza di condanna può essere pronunciata solo se la colpevolezza è accertata al di là di ogni ragionevole dubbio.
4.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in relazione all’art. 81 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b ) ed e ), cod. proc. pen., avuto riguardo agli aumenti di pena apportati per la continuazione.
Si deduce che gli aumenti di pena sono stati fissati in modo indifferenziato senza  alcuna  effettiva  motivazione  e  senza  tener  contro  della  loro  oggettiva diversità, quanto meno in relazione ai quantitativi trattati.
Il ricorso di NOME COGNOME è articolato in due motivi.
5.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b ) ed e ), cod. proc. pen., avuto riguardo alla affermazione di responsabilità per i reati per i quali è stata pronunciata condanna.
Si deduce che la sentenza impugnata illegittimamente ha confermato la decisione di primo grado riportandosi ad una acritica recezione delle motivazioni del primo giudice. Si richiama, a titolo esemplificativo, quanto avvenuto con riferimento all’episodio di cui al capo 38.21, come emerge dal raffronto tra pag. 24 della sentenza della Corte d’appello e pag. 92 della sentenza di primo grado, nonché con riguardo agli episodi di cui ai capi 38.2 e 38.16, in ordine ai quali la sentenza della Corte d’appello fa espresso rinvio alla sentenza di primo grado.
5.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in relazione agli artt. 62bis e 112, primo comma, n. 2, cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b ) ed e ), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’aver agito come promotore, organizzatore o direttore ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Si  deduce  che  sono  illegittimi  sia  il  diniego  delle  circostanze  attenuanti generiche, in quanto non si è tenuto conto del buon comportamento processuale dell’imputato,  della  risalenza  dei suoi  precedenti  penali  e  delle  esigenze  di proporzionalità della pena, sia l’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 112, primo comma, n. 2, cod. pen., perché ritenuta immotivatamente e senza confrontarsi con i motivi di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito precisate.
NOME COGNOME è stato condannato per il reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 73, comma 1, e 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, perché, agendo sotto la direzione di NOME COGNOME, o comunque in concorso con il medesimo, avrebbe: 1) consegnato a NOME COGNOME 19 grammi di cocaina, il 4 novembre 2019 (capo 24.1); 2) consegnato a NOME COGNOME un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente, il 7 dicembre 2019 (capo 24.9); 3) consegnato a NOME COGNOME 15 panetti di hashish, il 3 gennaio 2020 (capo 24.14); 4) trasportato 5 panetti di hashish ricevuti da NOME COGNOME, il 12 gennaio 2020 (capo 24.15). Per i precisati reati, gli è stata irrogata la pena di tre anni di reclusione e di euro 16.000,00 euro di multa, quale aumento a titolo di
continuazione  rispetto  ad  altro  reato,  ritenuto  più  grave,  già  accertato  con sentenza irrevocabile. Gli sono state negate le circostanze attenuanti generiche.
2.1.  Diverse  da  quelle  consentite  in  sede  di  legittimità,  o  comunque manifestamente infondate, e in parte prive di specificità, sono le censure esposte nel primo motivo, le quali contestano l’affermazione di responsabilità per i reati ritenuti accertati, deducendo  l’equivocità dei contenuti delle conversazioni intercettate, unica fonte di prova a carico, non supportata da riscontri.
2.1.1.  La  sentenza  impugnata  fornisce  una  analitica  ricostruzione  degli elementi  posti  a  fondamento  dell’affermazione  di  responsabilità  di NOME COGNOME per i reati ritenuti accertati.
La Corte d’appello premette che l’individuazione e l’identificazione di NOME COGNOME, in relazione ai colloqui intercettati, è stata fondata sulla conoscenza della sua voce da parte della polizia giudiziaria e non è mai stata contestata dalla difesa. Evidenzi a, inoltre, che l’attuale ricorrente : a) è stato controllato mentre era bordo di uno scooter Honda il 6 aprile 2020, e nell’occasione trovato in possesso di 20 grammi di cocaina e denunciato in stato di libertà; b) è stato arrestato in flagranza unitamente a NOME COGNOME in data 11 febbraio 2021, perché trovato in possesso di sostanza stupefacente del tipo cocaina, marijuana e hashish.
La pronuncia di secondo grado, poi, r appresenta, quanto all’episodio di cui al capo 24.1, che le conversazioni intercettate sono chiare quanto al loro significato e trovano conferma negli accertamenti di polizia giudiziaria. Precisamente, espone che il giorno 4 novembre 2019: a) tale NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME una ‘fornitura’; b) NOME COGNOME chiedeva a sua volta a NOME COGNOME COGNOME essere ‘rifornito’ e questi si impegnava a mandargli, in un arco di tempo inferiore a mezz’ora, un suo ‘corriere’; c) vi erano ripetuti solleciti telefonici di NOME COGNOME a NOME COGNOME, e questi, durante i contatti, dapprima diceva all’inte rlocutore che «NOME» avrebbe perso dieci minuti per consegnargli il «NOME», e poi, nel successivo colloquio, che il suo incaricato «già è per strada»; d) subito dopo queste conversazioni, alle ore 12,27, la polizia giudiziaria constatava la presenza, davanti alla macelleria di NOME COGNOME, di un motociclo in uso a NOME COGNOME e di un’autovettura intestata alla cognata di COGNOME; e) nell’ulteriore prosieguo, COGNOME si lamentava con NOME COGNOME di aver ricevuto un quantitativo inferiore a quello pattuito («ne mancava uno abbondante»), e questi COGNOME COGNOME per messaggio scrivendogli: «Ne manca 1 g», e poi: «Chiama a NOME». Aggiunge che, pochi giorni dopo, il 15 novembre 2019, NOME COGNOME è stato arrestato perché colto in possesso di 14 grammi di cocaina. Conclude, sulla base di questi elementi, che il riferimento a ‘NOME‘ deve ritenersi riferibile a NOME COGNOME, anche perché COGNOME ha impiegato indifferentemente l’appellativo ‘NOME‘ e l’appellativo ‘NOME, che la
parola ‘NOME‘ ragionevolmente è stata impiegata per indicare la cocaina, anche per  i  riferimenti  al  peso  (ad  esempio:  «Ne  manca  1  g»),  e  che  questa  era  di quantitativo pari a 19 grammi.
La decisione impugnata, quindi, anche quanto all’episodio di cui al capo 24.9, segnala che le conversazioni intercettate sono chiare quanto al loro significato e trovano conferma negli accertamenti di polizia giudiziaria. In sintesi, rileva che: a) il giorno 6 dicembre 2019, NOME COGNOME e NOME COGNOME discutevano di ‘rifornimenti’, di quantità e di prezzi in modo criptico, ma facendo riferimento ad un prezzo di 250,00 euro per unità, corrispondente alla somma in quel momento necessaria per acquistare un panetto di hashish, ed il secondo diceva di ‘concludere’ per il g iorno successivo; b) il giorno successivo, il 7 dicembre 2019, nel pomeriggio, COGNOME sollecitava COGNOME a recarsi da lui per evitare «una cattiva figura»; c) la sera del medesimo 7 dicembre 2019, alle ore 20,20, COGNOME, a bordo della sua automobile, e in compagnia di NOME COGNOME, era ripreso dalla polizia giudiziaria mentre arrivava presso la macelleria di COGNOME. Conclude che il contenuto dei dialoghi ed i coerenti comportamenti degli imputati consentono di ritenere perfezionat o l’accordo aven te ad oggetto la cessione di stupefacenti, e che ciò è sufficiente anche se non vi sia stata la consegna della sostanza.
Il Giudice distrettuale, ancora, quanto all’episodio di cui al capo 24.14, valorizza il contenuto delle conversazioni intercettate, alla luce del contesto complessivo delle acquisizioni. In particolare, espone che: a) NOME COGNOME si era lamentato con NOME COGNOME, perché questi gli aveva mandato ‘NOME‘ per prelevare «15 panini», e precisamente «5 con il cotto e 10 con il prosciutto crudo»; b) COGNOME si era giustificato con COGNOME di non averlo potuto avvisare, perché la richiesta era stata ‘ istantanea ‘ , e gli aveva raccomandato di non toccare «i panini gli altri». Conclude che le conversazioni debbono ritenersi riferite alla cessione di quindici panetti di hashish sia perché è del tutto irragionevole ritenere che fosse stata fatta una richiesta di acquisto di panini intesi come generi alimentari a COGNOME, siccome questi non svolgeva alcuna attività di vendita, sia perché le forme di cautela sono eccessive (le scuse per l’istantaneità dell’iniziativa; la raccomandazione di non toccare «i panini gli altri»), sia perché COGNOME, all’epoca, disponeva di cospicui quantitativi di droghe leggere, come dimostra l’arresto del medesimo il 28 gennaio 2020, per il possesso di 498 grammi di marijuana, pochi giorni dopo le conversazioni appena indicate, avvenute il 3 gennaio 2020.
La Corte d’appello, infine, quanto all’episodio di cui al capo 24.15, richiama le conversazioni  intercorse  tra  NOME  COGNOME  e  NOME  COGNOME  il  12 gennaio 2020. Segnala, in particolare, che COGNOME diceva a COGNOME: «me ne servono cinque», «perché ho un problema io», e «perché se ne devono andare»,
e che COGNOME dava la propria disponibilità a rifornire l’interlocutore, dicendo di mettere  quanto  richiesto  nella  propria  auto  e  di  raggiungerlo  nell’arco  di  dieci minuti presso il bar dove si erano già incontrati. Conclude che il contenuto dei dialoghi  consente  di  ritenere perfezionato  l’accordo  relativo  alla  cessione  di stupefacenti, e che ciò è sufficiente anche in difetto di consegna della sostanza.
2.1.2. Le conclusioni della sentenza impugnata in ordine alla ricostruzione dei fatti ed alla qualificazione degli stessi come aventi ad oggetto cocaina (capo 24.1) o droga leggera (capi 24.9, 24,14 e 24.15) sono correttamente motivate.
La  Corte  d’appello,  infatti,  richiama  in  modo  preciso  le  conversazioni intercettate e le interpreta alla luce degli accertamenti di polizia giudiziaria sulla base  di  accettabili  massime  di  esperienza,  dando  inoltre  puntuale  e  non irragionevole risposta alle obiezioni ed ai rilievi della difesa.
Le censure formulate nel ricorso, pertanto, si presentano come riproposizione di doglianze alle quali ha già correttamente risposto la Corte d’appello, ed anzi si confrontano solo con alcuni degli elementi istruttori valorizzati nella sentenza impugnata per affermare la penale responsabilità di NOME COGNOME. È utile aggiungere che la sentenza impugnat a, quando, a pag. 3, rappresenta l’equivocità delle conversazioni intercettate non si riferisce alla generalità dei dialoghi, ma effettua tale precisazione per spiegare perché per alcune contestazioni il giudice di primo grado aveva pronunciato sentenza di assoluzione (si tratta di statuizioni non impugnate dal Pubblico Ministero).
2.2.  Prive  di  specificità,  e  comunque  manifestamente  infondate,  sono  le censure esposte nel secondo motivo, le quali contestano la mancata riqualificazione delle condotte a norma dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, deducendo che la sentenza impugnata non offre motivazione sul punto e non considera la modesta quantità e qualità delle sostanze stupefacenti trattate.
Invero , la Corte d’appello , per escludere la configurabilità della lieve entità dei fatti. segnala che: a) i quantitativi di droga trattati non erano certo modesti, perché pari, in un caso, a 19 grammi di cocaina, e in un altro, a 15 panetti di hashish; b) i reati sono stati commessi in modo organizzato, mediante la cooperazione di tre persone; c) le sostanze trattate erano di vario tipo, e, quindi, vi era la capacitò di fronteggiare tutte le esigenze del mercato; d) le complessive acquisizioni processuali dimostrano una dedizione professionale dell’imputato all ‘attività di spaccio di droga.
Risulta quindi evidente che le censure formulate nel ricorso non si confrontano con le argomentazioni esposte nella sentenza impugnata, e che, inoltre, questa ha fatto corretta applicazione dei poteri discrezionali spettanti in proposito al giudice di merito. Invero, come precisato ripetutamente dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di stupefacenti, ai fini del riconoscimento del reato di cui all’art. 73, comma
5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la valutazione dell’offensività della condotta non può essere ancorata solo al quantitativo singolarmente spacciato o detenuto, ma alle concrete capacità di azione del soggetto ed alle sue relazioni con il mercato di riferimento, avuto riguardo all’entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell’ordine (cfr., per tutte, Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, Lombino, Rv. 272529 -01, nonché Sez. 3, n. 6871 del 08/07/2016, dep. 2017, Bandera, Rv. 269149 -01).
2.3. Prive di specificità, e comunque diverse da quelle consentite in sede di legittimità,  sono  le  censure  enunciate  nel  terzo  motivo,  le  quali  contestano  il diniego delle circostanze attenuanti generiche, deducendo che la Corte d’appello non ha tenuto conto del buon comportamento processuale dell’imputato.
La  sentenza  impugnata,  infatti,  osserva  che  non  vi  è  nessun  elemento favorevole all’imputato, che i fatti contestati sono gravi, e che l’attuale ricorrente annoverava un precedente specifico. Il ricorso, dal canto suo, si limita ad invocare del  tutto  assertivamente  il  buon  comportamento  processuale  dell ‘imputato, valorizzando la mera scelta del medesimo di sottoporsi ad esame.
NOME COGNOME è stato condannato per il reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen. e 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, perché avrebbe: 1) trasportato un panetto di hashish al cugino NOME COGNOME, il 9 dicembre 2019 (capo 34.1); 2) consegnato a NOME COGNOME, su disposizione di NOME COGNOME, 15 panetti di hashish, il 3 gennaio 2020 (capo 34.2); 3) ceduto a NOME COGNOME, su disposizione di NOME COGNOME, 5 panetti di hashish, il 12 gennaio 2020 (capo 34.3). Per i precisati reati, e per altro reato già accertato con sentenza irrevocabile, gli è stata irrogata la pena di quattro anni e quattro mesi di reclusione e di euro 4.400,00 euro di multa.
3.1.  Diverse  da  quelle  consentite  in  sede  di  legittimità,  o  comunque manifestamente infondate, e in parte prive di specificità, sono le censure esposte nel primo motivo, le quali contestano l’affermazione di responsabilità per i reati ritenuti accertati,  deducend o l’equivocità dei contenuti delle conversazioni intercettate, unica fonte di prova a carico, non supportata da riscontri.
3.1.1.  La  sentenza  impugnata  fornisce  una  analitica  ricostruzione  degli elementi  posti  a  fondamento  dell’affermazione  di  responsabili tà  di  NOME COGNOME per i reati ritenuti accertati.
La Corte d’appello premette  che l’individuazione e l’identificazione di NOME COGNOME, in relazione ai  colloqui intercettati,  è  stata  fondata  sulla conoscenza della  sua  voce  da  parte  della  polizia  giudiziaria  e  non  è  mai  stata
contestata dalla difesa. Evidenzia, inoltre, che l’attuale ricorrente è stato arrestato in flagranza in data il 28 gennaio 2020, per il possesso di 498 grammi di marijuana.
La pronuncia di secondo grado, poi, rapprese nta, quanto all’episodio di cui al capo 34.1, che le conversazioni intercettate sono chiare quanto al loro significato e trovano conferma negli accertamenti di polizia giudiziaria. Precisamente, espone che: a) secondo quanto emerge da una conversazione intercettata, il giorno 9 dicembre 2019, NOME COGNOME il cugino NOME COGNOME per conto di un fornitore, indicato come «quello della cocaina», precisava il prezzo di quanto proposto in «250», lo qualificava il prodotto come «sapurito», e sollecitava il parente a dare una risposta per non far sfumare l’affare; b) secondo quanto rilevato e ripreso dai militari operanti in servizio di osservazione il medesimo 9 dicembre 2019, NOME COGNOME, recatosi nell’esercizio commerci ale del cugino, estraeva dalla felpa una panetta rettangolare di colore marrone, la mostrava al parente e poi la riponeva nuovamente nel taschino. Conclude che le conversazioni debbono ritenersi riferite alla cessione di un panetto di hashish sia perché i militari operanti erano certi di aver visto tale tipo di oggetto, sia perché il prezzo indicato, «250», era all’epoca corrispondente alla somma necessaria per acquistare un panetto di 100 grammi di hashish, sia perché qualche giorno dopo, il 13 dicembre 2019, i due cugini avevano espressamente dialogato tra loro della scarsa disponibilità di droga in Palermo in quel momento, sia perché NOME COGNOME, in data 17 dicembre 2019, era stato arrestato in quanto, in un magazzino affittato a suo nome, erano stati trovato 7,984 kg. di hashish e 56 grammi di cocaina.
La decisione impugnata, quindi, quanto agli episodi di cui ai capi 34.2 e 34.3, ripropone gli stessi elementi ed argomenti esposti con riferimento ai capi 24.14 e 24.15, contestati a NOME COGNOME, attesa l’identità dei fatti, e sintetizzati in precedenza nel § 2.1.1, cui si rimanda per economia di esposizione.
3.1.2. Le conclusioni della sentenza impugnata in ordine alla ricostruzione dei fatti (capi 34.1, 34.2 e 34.3) sono correttamente motivate.
La  Corte  d’appello,  infatti,  richiama  in  modo  preciso  le  conversazioni intercettate e le interpreta alla luce degli accertamenti di polizia giudiziaria sulla base  di  accettabili  massime  di  esperienza,  dando  inoltre  puntuale  e  non irragionevole risposta alle obiezioni ed ai rilievi della difesa.
Le censure formulate nel ricorso, pertanto, si presentano come riproposizione di doglianze alle quali ha già correttamente risposto la Corte d’appello, ed anzi si confrontano  solo  con  alcuni  degli  elementi  istruttori  valorizzati  nella  sentenza impugnata per affermare la penale responsabilità di NOME COGNOME. È utile aggiungere, anche in relazione al ricorso di NOME COGNOME, che la sentenza impugnata,  quando,  a  pag.  3,  rappresenta l’equivocità  delle  con versazioni
intercettate non  si riferisce alla generalità dei dialoghi, ma  effettua tale precisazione per spiegare perché per alcune contestazioni il giudice di primo grado aveva pronunciato sentenza di assoluzione (si tratta di statuizioni non impugnate dal Pubblico Ministero).
3.2.    Prive  di  specificità  e  comunque  manifestamente  infondate  sono  le censure  formulate  nel  secondo  motivo,  che  criticano  la  determinazione  degli aumenti di pena, deducendo che sono stati calcolati in modo indifferenziato.
La Corte d’appello, infatti, ha già osservato che gli aumenti di pena, fissati in sei mesi per ciascuno degli episodi ritenuti satelliti, è da reputare proporzionata alla gravità dei fatti, siccome relativi a quantitativi consistenti di droga, trattati nell’ambito  di  traffici  organizzati  e  finalizzati  a  soddisfare  le  richieste  non  di consumatori, ma di un altro spacciatore.
NOME COGNOME è stato condannato per il reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 73, comma 1, e 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, perché avrebbe: 1) delegato a NOME COGNOME la consegna a NOME COGNOME di 19 grammi di cocaina, il 4 novembre 2019 (capo 38.1); 2) delegato a NOME COGNOME la consegna di un quantitativo non determinato di sostanza stupefacente, il 17 novembre 2019 (capo 38.2); 3) ceduto a NOME COGNOME 5 panetti di hashish del peso complessivo di 500 grammi, il 22 novembre 2019 (capo 38.8); 4) consegnato a NOME COGNOME, per il tramite di NOME COGNOME, un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente, il 7 dicembre 2019 (capo 38.10); 5) ceduto a NOME COGNOME un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente, il 13 dicembre 2019 (capo 38.12); 6) acquistato un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente, il 17 dicembre 2019 (capo 38.14); 7) ceduto a NOME COGNOME 20 panetti di hashish al prezzo di 270,00 euro ciascuno, il 19 dicembre 2019 (capo 38.16); 8) consegnato a terzi un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente, il 21 dicembre 2019 (capo 38.18); 9) ceduto a NOME COGNOME un quantitativo imprecisato di sostanza stupefacente, il 13 dicembre 2019 (capo 38.19); 10) consegnato a NOME COGNOME, avvalendosi di NOME COGNOME, 15 panetti di hashish, il 3 gennaio 2020 (capo 38.21). Per i precisati reati, gli è stata irrogata la pena di quattro anni, dieci mesi e venti giorni di reclusione e di euro 22.000,00 euro di multa, quale aumento a titolo di continuazione rispetto ad altro reato, ritenuto più grave, già accertato con sentenza irrevocabile. Gli sono state applicate la recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale e l’aggravante di cui all’art. 112, primo comma, n. 2, cod. pen., mentre gli sono state negate le circostanze attenuanti generiche.
4.1.  Diverse  da  quelle  consentite  in  sede  di  legittimità,  o  comunque manifestamente infondate, e pressoché totalmente prive di  specificità,  sono  le
censure esposte nel primo motivo, le quali contestano l’affermazione di responsabilità per i reati ritenuti accertati, deducendo che la Corte d’appello si è limitata ad una acritica recezione della sentenza di primo grado.
Occorre premettere che la Corte d’appello ha precisato come i motivi di gravame presentati nell’interesse di NOME COGNOME, almeno per quanto concerne l’affermazione di responsabilit à, abbiano riguardato non tutti, ma solo alcuni di reati per i quali è stata pronunciata condanna in primo grado. Precisamente, il Tribunale ha dichiarato la penale responsabilità di COGNOME per i reati di cui ai capi 38.1, 38.2, 38.8, 38.10, 38.12, 38.14, 38.16, 38.18, 38.19 e 38.21. L’appello, invece, ha contestato la dichiarazione di colpevolezza solo con riguardo ai capi 38.2, 38.10, 38.12, 38.16 e 38.21. Né il ricorso ha criticato questa indicazione del la Corte d’appello in ordine alla delimitazione delle censure.
Ciò posto, poi, la sentenza impugnata offre una puntuale indicazione degli elementi posti a fondamento dell’affermazione di responsabilità di NOME COGNOME per i reati di cui ai capi 38.2, 38.10, 38.12, 38.16 e 38.21, ed espone in modo congruo le ragioni per cui ritiene detti elementi idonei a supportare una dichiarazione di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio (cfr. pagg. 19-24). Inoltre, del tutto priva di significato è l’affermazione secondo cui la sentenza impugnata, in particolare con riguardo ai reati di cui ai capi 38.2, 38.16 e 38.21, si sarebbe limitata ad una acritica recezione delle motivazioni esposte in primo grado. Invero, il vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, let t. e) , cod. proc. pen., può essere integrato o da una risposta ai motivi di appello che sia manifestamente illogica o contraddittoria oppure da un’omessa risposta; ma, nella specie, il ricorso non spiega con precisi riferimenti, come necessario a norma del l’art. 581, comma 1, lett. d) , cod. proc. pen., perché la sentenza impugnata avrebbe fornito ai motivi di appello una risposta manifestamente illogica o contraddittoria ovvero avrebbe omesso di rispondere agli stessi.
4.2.    Prive  di  specificità  e  comunque  manifestamente  infondate  sono  le censure formulate nel secondo motivo, che criticano l’applicazione della circostanza  aggravante  di  aver  coordinato  e  diretto  l’attività  delittuosa  del concorrente NOME COGNOME e il diniego delle circostanze attenuanti generiche.
4.2.1. Per quanto concerne la circostanza aggravante, l a Corte d’appello ha precisato che, con riguardo ai reati di cui ai capi 38.1, 38.2, 38.10 e 38.21, è emerso come NOME COGNOME abbia agito in prima persona nella fase preparatoria e nelle trattive per le cessioni di droga e si sia servito, poi, per l’effettuazione delle consegne dello stupefacente, di NOME COGNOME quale corriere, e che, quindi, almeno in relazione a questi fatti, deve ritenersi che NOME COGNOME abbi a «diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato», così come richiede l’art. 112, primo comma, n. 2), cod. pen .
E questa motivazione è immune da vizi. Invero, ai fini dell ‘applicazione dell a circostanza aggravante prevista dall’art. 112, comma primo, n. 2), cod. pen., infatti, per un verso, come più volte precisato dalla giurisprudenza, l’attività di direzione si caratterizza proprio per lo svolgimento e l’esternazione di attività preparatorie (cfr., per tutte, Sez. 5, n. 32422 del 08/04/2019, Bonalumi, Rv. 276923 -01, e Sez. 1, n. 2645 del 07/06/2011, dep. 2012, Carlino, Rv. 251664 -01). Mentre, sotto altro profilo, è sufficiente che i concorrenti siano in numero di due persone, in quanto la dizione “persone” indicata dalla norma include anche il dirigente, promotore od organizzatore dell’attività dei concorrenti nel reato (così Sez. 1, n. 2181 del 13/12/1994, dep. 1995, Graziano, Rv. 200416 -01).
4.2.2. Per quanto attiene al diniego delle circostanze attenuanti generiche, poi, la sentenza impugnata osserva che non vi è nessun elemento favorevole all’imputato, che il comportamento processuale del medesimo non si è concretizzato in alcuna forma di effettiva collaborazione, che i fatti contestati sono gravi, e che l’attuale ricorrente annovera una pluralità di precedenti penali. Il ricorso, dal canto suo, si limita ad invocare del tutto assertivamente il buon comportamento processuale dell’imputato e la lontananza di quasi tutti i precedenti penali.
 Alla  dichiarazione  di  inammissibilità  dei  ricorsi  segue  la  condanna  dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità -al versamento a favore della  cassa  delle  ammende,  a  carico  di  ciascuno  di  essi,  della  somma  di  euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara  inammissibili  i  ricorsi  e  condanna  i  ricorrenti  al  pagamento  delle spese  processuali  e  della  somma  di  euro  tremila  in  favore  della  cassa  delle ammende.
Così deciso il 23/01/2025.