Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 24318 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 24318 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nata a Palermo il 16/8/1977
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 16/12/1977
COGNOME NOME nata a Carini il 11/2/1995
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 13/4/1995
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 6/2/1993
avverso la sentenza del 30/1/2024 della Corte d’appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità di tutti i ricorsi; udita per Bondì l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito per COGNOME l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito per COGNOME l’avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito per COGNOME e COGNOME l’avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento di entrambi i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30 gennaio 2024 la Corte d’appello di Palermo, provvedendo sulle impugnazioni proposte dagli imputati nei confronti della sentenza del 10 marzo 2022 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, con la quale, tra gli altri, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati dichiarati responsabili del reato associativo ex art. 74 d.P.R. 309/90 di cui al capo 1), nonché di due reati fine di coltivazione di stupefacenti di cui ai capi 2), COGNOME, COGNOME, COGNOME e anche NOME COGNOME, e 3), COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, e di due reati di illecita detenzione di armi ex art. 2 e 7 I. n. 895 del 1967, di cui ai capi 5), COGNOME, e 6), COGNOME ha assolto NOME COGNOME dal reato fine di cui al capo 2) per non aver commesso il fatto e ha ridotto la pena inflittale; ha ridotto le pene inflitte a COGNOME e COGNOME; ha revocato la pena accessoria dell’interdizione legale applicata a COGNOME, COGNOME e COGNOME; ha sostituito nei confronti degli stessi l’interdizione perpetua dai pubblici uffici con l’interdizione temporanea, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo ha lamentato la violazione di disposizioni di legge penale e un vizio della motivazione, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento alla conferma della propria responsabilità in ordine ai delitti in materia di stupefacenti di cui ai capi 1) e 3).
La partecipazione al sodalizio di cui al capo 1) era, infatti, stata giustificata solamente con un generico riferimento alla piantagione di marijuana di cui al capo 3), senza esplicitare il contenuto del contributo della ricorrente Bondì al sodalizio e omettendo di considerare che la ricorrente era a conoscenza dell’esistenza della suddetta piantagione solamente per i suoi legami familiari con altri imputati, non essendovi altre prove della sua partecipazione alla coltivazione o gestione di detta piantagione, con la conseguenza che la sua condotta doveva essere qualificata come connivenza non punibile, posto che non aveva neppure le chiavi del luogo in cui venivano coltivate le piante di marijuana.
Ha sottolineato, a sostegno della affermazione della contraddittorietà e illogicità della motivazione, il riconoscimento in proprio favore delle circostanze attenuanti generiche, che era stato giustificato con il minimo contributo dalla stessa apportato alla realizzazione delle condotte, che, se correttamente inteso, avrebbe dovuto indurre ad escluderne la responsabilità, dovendo le condotte essere qualificate come mera connivenza non punibile.
2.2. Analoghi rilievi, di violazione di disposizioni di legge penale e carenza e illogicità della motivazione, sono stati sollevati con riferimento al reato in materia di armi di cui al capo 7), in quanto la dichiarazione di responsabilità della ricorrente era stata fondata esclusivamente su una conversazione intercettata in data 2 novembre 2018 (nel corso della quale la ricorrente si sarebbe ripromessa di consegnare un’arma completa di munizioni a tale Vincenzo, in vista di una successiva vendita), in assenza di elementi circa l’effettiva disponibilità di un’arma da parte della ricorrente, l’illiceità della sua detenzione da parte della ricorrente medesima e l’idoneità offensiva della stessa.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione anche NOME COGNOME mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a tre motivi.
3.1. Con il primo motivo ha lamentato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di disposizioni di legge penale e un vizio della motivazione con riferimento alla partecipazione al sodalizio ex art. 74 d.P.R. 309/90 quale promotore e organizzatore.
Ha esposto che, a seguito della disposizione nel giudizio connesso nei confronti di altri coimputati di perizia trascrittiva delle conversazioni intercettate, la Corte d’appello aveva disposto analogo adempimento istruttorio anche nel giudizio a suo carico, e gli esiti della perizia disposta in grado di appello avevano smentito le trascrizioni compiute dalla polizia giudiziaria, in quanto ad alcune frasi ritenute indizianti era stato attribuito un significato diverso. In particolare, i riferimento, in una conversazione tra il ricorrente e la COGNOME all’interno del carcere, al numero 105, ritenuto dalla Corte d’appello riferibile alle 104 piantine di marijuana rinvenute nell’appartamento di INDIRIZZO appartenente al sodalizio, era da interpretarsi come riferito a una somma di denaro, di 150 euro, posto che nella trascrizione eseguita dal perito nominato dalla Corte d’appello vi era, appunto, il riferimento a tale diverso numero e alla consegna di “150” a tale Enzo, incompatibile con il riferimento a piante di marijuana. Ciò, però, non era stato adeguatamente considerato dalla Corte d’appello, che a sostegno della conferma della partecipazione del ricorrente alla suddetta associazione aveva illogicamente considerato un’altra conversazione, in data 5 ottobre 2018, tra altri soggetti (COGNOME e COGNOME NOME, avente a oggetto la ricettazione di quadri). Altrettanto illogica sarebbe la considerazione della conversazione captata in data 17 ottobre 2018, tra il ricorrente e la medesima COGNOME, di cui non era stata spiegata la concludenza rispetto alle contestazioni di cui ai capi 1), 2) e 3), come pure di altri colloqui tra gli stessi soggetti il 22 ottobre 2018 e il 19 novembre 2018, non essendo state indicate le ragioni per cui le istruzioni impartire alla Pistone in ordine alla riscossione di crediti siano dimostrative della partecipazione del ricorrente alla associazione di cui al capo 1).
Ha sottolineato anche l’errata considerazione delle dichiarazioni di COGNOME, che aveva dichiarato di non sapere se COGNOME fosse coinvolto nella coltivazione di stupefacenti e di aver chiamato lui stesso i Carabinieri per consentirgli di sequestrare la piantagione di cui al capo 2), nonché la realizzazione di due soli reati fine a breve distanza di tempo uno dall’altro, con la conseguente insufficienza degli elementi di fatto considerati per poter affermare l’esistenza di una associazione a delinquere finalizzata alla realizzazione di un numero indeterminato di reati in materia di stupefacenti, oltre che la partecipazione alla stessa del ricorrente, posto che quando l’associazione avrebbe operato egli era detenuto.
3.2. In secondo luogo, ha formulato analoghi rilievi di violazioni di legge penale e di illogicità della motivazione con riferimento alla conferma della affermazione di responsabilità in relazione alle due contestazioni di illecita coltivazione di stupefacenti di cui ai capi 2) e 3), in quanto anche a tale riguardo, a seguito della nuova trascrizione degli esiti delle intercettazioni disposta dalla Corte d’appello e al diverso significato attribuito ad alcune conversazioni intercettate, ritenute indizianti dal primo giudice, gli elementi di prova a proprio carico risultavano insufficienti ed erano stati, nuovamente, valutati in modo illogico dalla Corte d’appello.
In particolare, con riferimento alla conferma della affermazione di responsabilità in ordine al delitto di cui al capo 3), ha evidenziato che la perizia trascrittiva disposta dalla Corte d’appello aveva consentito di escludere che nella conversazione in carcere tra il ricorrente e la COGNOME fosse stato pronunciato il termine “erba”, ritenuto indiziante dal primo giudice, cosicché la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui aveva giustificato la conferma della dichiarazione di responsabilità del ricorrente anche per tale reato, risultava insufficiente e manifestamente illogica, essendo fondata solamente sul generico contenuto della restante parte della conversazione intercettata in carcere il 13 ottobre 2018 tra il ricorrente e la medesima COGNOME.
3.3. Infine, con un terzo motivo, ha lamentato analoghi vizi di violazione di legge penale e processuale e l’illogicità della motivazione con riferimento al reato in materia di armi di cui al capo 5), che era stata fondata esclusivamente sul contenuto equivoco di una conversazione del 13 ottobre 2018 che era stata intercettata, ed era stata giustificata con considerazioni illogiche, tra cui la disponibilità della parte del sodalizio di un’arma e la presenza della stessa nella piantagione, essendo stata definitivamente esclusa la configurabilità della circostanza aggravante della disponibilità di armi da parte della associazione.
Anche NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a due motivi.
4.1. Con il primo motivo ha denunciato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 192, 530, 533 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. e l’illogicità della motivazione, con riferimento alla conferma della dichiarazione di responsabilità in ordine alla propria partecipazione al sodalizio ex art. 74 d.P.R. 309/90 di cui al capo 1), che era stata desunta dal contenuto delle captazioni ambientali dei colloqui in carcere con NOME COGNOME.
Ha esposto anch’essa, analogamente a COGNOME, che i risultati di tali captazioni erano state valutate dal primo giudice solamente sulla base delle trascrizioni eseguite dalla polizia giudiziaria e che la Corte d’appello non aveva adeguatamente considerato gli esiti della perizia fonica disposta proprio per superare le imprecisioni presenti nelle trascrizioni eseguite dalla polizia giudiziaria, in quanto molti dialoghi erano stati trascritti in modo differente, tale da escludere la responsabilità della ricorrente. In particolare, il riferimento, in una conversazione tra la ricorrente e COGNOME all’interno del carcere, al numero 105, ritenuto riferibile alle 104 piantine di marijuana rinvenute nel suddetto appartamento di INDIRIZZO era da interpretarsi come relativo a una somma di denaro, dell’ammontare di 150 euro, posto che nella trascrizione eseguita dal perito nominato dalla Corte d’appello vi era, appunto, il riferimento a tale diverso numero e alla consegna di “150” a tale Enzo, incompatibile con il riferimento a piante di marijuana. Tale dato, però, non era stato adeguatamente considerato dalla Corte d’appello, che a sostegno della conferma della partecipazione della ricorrente alla suddetta associazione aveva illogicamente considerato un’altra conversazione, in data 5 ottobre 2018, tra altri soggetti. Altrettanto illogica sarebbe la considerazione di un’altra conversazione captata in data 17 ottobre 2018, tra COGNOME e la ricorrente, di cui non era stata spiegata la concludenza, come pure di altri colloqui tra gli stessi soggetti il 17 ottobre 2018 e il 22 ottobre 2018, non essendo state indicate le ragioni per cui le istruzioni impartire alla Pistone in ordine alla riscossione di crediti siano dimostrative della partecipazione alla associazione o, comunque, della partecipazione ai reati in materia di stupefacenti contestati ai capi 2) e 3). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.2. Con il secondo motivo ha sollevato analoghi rilievi, denunciando i medesimi vizi di violazione di legge processuale e di illogicità della motivazione, con riferimento alla conferma della dichiarazione di responsabilità della ricorrente per il reato fine ex art. 73 d.P.R. 309/90 di cui al capo 3), in quanto anche riguardo a tale contestazione la perizia fonica disposta dalla Corte d’appello aveva eliminato tutti gli elementi di prova che il primo giudice aveva ritenuto essenziali per l’affermazione di responsabilità in ordine a tale reato, in quanto l’unico elemento indiziario, costituito dalla conversazione in carcere del 13 ottobre 2018 tra la ricorrente e COGNOME era stato sovvertito dalla suddetta perizia fonica, nella quale era stato escluso che in tale conversazione vi sia il riferimento al termine “erba”, posto che il riferimento al recupero di alcune cose non poteva essere correlato alle
piante di stupefacenti, tutte sequestrate dalla polizia giudiziaria il 13 ottobre 2018, con la conseguente insufficienza e illogicità della motivazione della sentenza impugnata anche su tale punto.
Anche NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione nei confronti della medesima sentenza, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a un unico motivo, con il quale ha lamentato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 125 e 546 cod. proc. pen., a causa della insufficienza della motivazione e della mancata considerazione delle proprie allegazioni difensive e dei propri motivi d’appello, con i quali era stata contestata l’assenza di prova della partecipazione alla attività di coltivazione e
spaccio di sostanze stupefacenti, non essendo state eseguite registrazioni o fotografie di tali attività, con la conseguente qualificabilità della propria condotta come connivenza non punibile,- come sostenuto nell’atto d’appello ma non considerato dalla Corte territoriale, in quanto, seppur a conoscenza dell’attività illecita, non vi aveva fornito alcun apporto concorsuale, giacché dalle conversazioni telefoniche intercettate che lo riguardavano emergerebbe solamente che era stato messo al corrente della attività illecita, senza alcun coinvolgimento attivo nella stessa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili, essendo tutti riproduttivi dei corrispondenti atti di appello, privi di considerazione di tutte le risultanze istruttorie e di autentico confronto critico con il complesso degli argomenti contenuti nella motivazione della sentenza impugnata, oltre che volti a conseguire una non consentita rilettura e riconsiderazione delle risultanze istruttorie.
In premessa, in relazione a tutti i ricorsi, è necessario rammentare che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260 – 01; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, COGNOME, Rv. 250362 – 01; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623 – 01).
Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970 – 01; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575 – 01; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non mass.; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non mass.; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non mass.; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099 – 01; Sez. 2, n. 7380 . del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716 – 01).
Inoltre, è opportuno ribadire che il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti in sede di impugnazione e motivatamente respinti da parte del giudice del gravame deve ritenersi inammissibile, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità
delle doglianze che, solo apparentemente, denunciano un errore logico o giuridico determinato (in termini v. Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970 – 01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME e altri, Rv. 260608 – 01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838 – 01; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708 – 01).
Va, infine, rammentato, trattandosi di questione comune a tutti i ricorsi, che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01, conf., ex plurimis e da ultimo, Sez. 1, n. 25939 del 29/04/2024. L., Rv. 286599 – 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01).
3. Tanto premesso, osserva il Collegio che entrambi i motivi del ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME dichiarata responsabile del reato associativo ex art. 74 d.P.R. 309/90 di cui al capo 1), del reato fine ex art. 73 d.P.R. 309/90 di cui al capo 3) e del reato in materia di armi di cui al capo 7), sono inammissibili.
Con entrambi tali motivi, infatti, si censura, peraltro in modo del tutto generico e assertivo, richiamando principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità senza indicarne la rilevanza rispetto alla vicenda in esame, alle risultanze istruttorie, alle valutazioni compiute dai giudici di merito e agli argomenti svolti nella sentenza impugnata, l’apprezzamento del contenuto delle conversazioni intercettate, proponendone una lettura alternativa, sia quanto ai reati in materia di stupefacenti, sia a proposito di quello di cui al capo 7) in materia di armi, da contrapporre a quella dei giudici di merito, che, però, è immune da vizi logici e, come ricordato, non è suscettibile di rivisitazioni sul piano dell’apprezzamento delle prove e delle valutazioni di merito, nel giudizio di legittimità.
La Corte territoriale ha, infatti, adeguatamente evidenziato gli elementi di prova ritenuti, in modo logico, dimostrativi della responsabilità in ordine a tutti e tre i reati ascritti alla COGNOME, elementi di cui quest’ultima ha riproposto, come fatto già con l’atto d’appello, una generica rilettura e riconsiderazione.
Quanto al reato associativo di cui al capo 1) e al reato fine di cui al capo 3) la Corte d’appello ha sottolineato l’attivismo della COGNOME dopo l’arresto del marito, NOME COGNOME, l’11 ottobre 2018, quando si premurò di avvisare immediatamente COGNOME e NOME COGNOME di non recarsi “a pescare” perché “NOME sta male”, oltre che di recarsi immediatamente a Palermo, assieme a NOME COGNOME e alla propria figlia, proprio per incontrare NOME COGNOME (il quale le avrebbe poi riferito di essere già stato avvertito “per stasera pescare niente”).
Nell’escludere la configurabilità della prospettata connivenza non punibile in relazione alla contestazione di cui al capo 3), prospettazione ribadita senza significativi elementi di novità critica con il ricorso per cassazione, la Corte d’appello ha richiamato ulteriori contenuti delle conversazioni intercettate, dimostrativi della disponibilità da parte della ricorrente delle chiavi di accesso all’appartamento di INDIRIZZO in Carini nel quale era stata realizzata la piantagione, della sua preoccupazione per le iniziative da adottare dopo il sequestro, dell’aver essa stessa provveduto al pagamento del canone di locazione di tale appartamento, della sua preoccupazione per possibili controlli di polizia di tale appartamento, confermando, in modo logico, sulla base di detti elementi, la partecipazione della ricorrente a tale coltivazione, della quale la stessa non era solamente informata, come sostenuto sia nell’atto d’appello sia nel ricorso, ma pienamente partecipe, collaborando in modo attivo (tra l’altro pagando il relativo canone di locazione) alla gestione dell’appartamento nel quale la piantagione era stata realizzata, di cui aveva anche le chiavi di ingresso.
La partecipazione al sodalizio di cui al capo 1) è stata tratta, oltre che dall’attivazione della ricorrente a seguito dell’arresto del marito e del sequestro della piantagione di cui al capo 3), dalla piena consapevolezza della Bondì dei ruoli degli altri associati, in particolare di COGNOME e NOME COGNOME; dalla sua conoscenza della piantagione realizzata nell’appartamento di INDIRIZZO in Carini (non oggetto di contestazione); dal contenuto delle conversazioni intrattenute con NOME COGNOME nel corso delle quali la COGNOME aveva dichiarato (come del resto già riferito dal marito COGNOME) di aver macinato ingenti quantitativi di cannabis ricavati da una prima piantagione, in Carini, INDIRIZZO dalle conversazioni in carcere con il marito, nelle quali si discute delle spettanze in ordine a cinque chilogrammi di cannabis da dividere tra tutti gli associati; dalla risalenza nel tempo delle condotte, non limitate ai soli reati fine di cui ai capi 2) e 3), e, dunque, della stabilità del vincolo associativo.
La conferma della dichiarazione di responsabilità per la detenzione di un’arma e delle relative munizioni di cui al capo 7), che avrebbe dovuto essere venduta per conto della ricorrente a tale Vincenzo al prezzo di 500,00 euro, è stata ritenuta, anche a questo proposito in modo logico, dimostrata dal contenuto inequivoco delle conversazioni intercettate tra la ricorrente e l’incaricato di tale vendita, dimostrative della consapevolezza della Bandì delle condizioni di funzionalità dell’arma, dotata solo di due proiettili, conversazioni nel corso delle quali la COGNOME aveva anche preso accordi per la consegna dell’arma al suo interlocutore al fine della successiva dazione all’acquirente.
Si tratta, in relazione a tutte e tre le contestazioni, di motivazione idonea a giustificare la conferma della dichiarazione di responsabilità per tutti e tre i reati, essendo fondata su una analisi e una valutazione delle risultanze istruttorie, in
particolare del contenuto delle conversazioni intercettate, oltre che degli altri elementi di prova, pienamente logica, anche alla luce della univoca valenza dimostrativa del contenuto di tali conversazioni per come riportato nella motivazione della sentenza impugnata, che la ricorrente ha censurato in modo generico, riproponendo le medesime censure già sollevate con l’atto d’appello e, soprattutto, sul piano della interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate e dell’apprezzamento delle prove, dunque, come ricordato in premessa, in modo non consentito nel giudizio di legittimità.
4. Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME dichiarato responsabile dei reati in materia di stupefacenti di cui ai capi 1), 2) e 3), e del reato in materia di armi di cui al capo 5), è inammissibile, per essere volte le censure con esso formulate a conseguire una indebita rivisitazione delle risultanze istruttorie.
Ferma l’esistenza del sodalizio di cui al capo 1), la Corte d’appello, nel ribadire, all’esito delle nuove trascrizioni delle conversazioni intercettate disposta nel giudizio di secondo grado con le forme della perizia, la responsabilità del ricorrente per tutti i reati ascrittigli, ha sottolineato, in accordo con il primo giudice, il ruol direttivo del sodalizio svolto dal ricorrente, che forniva dal carcere, per il tramite della compagna COGNOME, direttive al fratello NOME sulla suddivisione tra gli associati dei proventi delle attività, sulla destinazione delle forniture, sul recupero dei crediti. In particolare, è stata sottolineata l’univoca portata dimostrativa delle conversazioni del 13 e del 17 ottobre 2018 tra il ricorrente e la compagna COGNOME, successivamente al sequestro della piantagione di INDIRIZZO in Carini, dalle quali si desume la piena consapevolezza del ricorrente della realizzazione di detta piantagione e la sua veste di capo e organizzatore di tale attività e, più in generale, del sodalizio, nonché di quella del 6 febbraio 2019 (relativa all’arma di cui al capo 5), e anche di quella della medesima Pistone con la Bondì del 19 ottobre 2018 (nel corso della quale la prima aveva riferito le richieste del ricorrente), evidenziando come il contenuto delle stesse sia, sostanzialmente e quanto alle parti riportate nella motivazione, rimasto immutato anche all’esito della perizia disposta in appello. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La Corte territoriale ha anche considerato l’eccezione difensiva circa la mancanza di stabilità della associazione e anche di un programma criminoso indeterminato, fondata sul rilievo dell’accertamento di due soli reati fine, disattendendola in modo logico sulla base del rilievo che le due piantagioni di stupefacenti realizzate dal sodalizio, di cui ai capi 2) e 3), erano il risultato di pregressi investimenti, lunghi preparativi, puntuale organizzazione e sicuri canali di sbocco, costituendo, dunque, una attività frutto di programmata organizzazione (anche perché la piantagione di INDIRIZZO era la seconda ivi realizzata),
sottolineando anche l’esistenza di ulteriori piantagioni (una in INDIRIZZO sempre a Carini e un’altra nel cosiddetto “villino a mare”).
Sono state richiamate anche le dichiarazioni rese da NOME COGNOME circa il ruolo direzionale e di finanziatori del sodalizio ricoperto dai fratelli NOME e NOME COGNOME.
Quanto al reato fine di cui al capo 2) la Corte d’appello, pur escludendo, a seguito di quanto emerso dalla perizia trascrittiva, che il riferimento nella conversazione tra il ricorrente e la Pistone del 3 ottobre 2018 al numero 150 (anziché 105 come annotato nei brogliacci redatti dalla polizia giudiziaria) fosse riferibile al numero di piante di cannabis rinvenute nella piantagione di INDIRIZZO in Carini (pari, appunto, a 104), in ragione della incompatibilità tra il numero citato e le piante rinvenute, ha egualmente ritenuto coinvolto il ricorrente nella realizzazione di tale piantagione, sulla base delle dichiarazioni accusatorie di NOME COGNOME e del contenuto delle conversazioni tra lo stesso COGNOME e NOME COGNOME
La responsabilità in ordine al reato fine di cui al capo 3) è stata ribadita alla luce del contenuto delle conversazioni intercorse tra la COGNOME e il ricorrente subito dopo il sequestro di tale piantagione, allorquando la COGNOME aveva informato il compagno del sequestro e anche del recupero di una parte della attrezzatura utilizzata per la coltivazione, sfuggita al sequestro.
Anche la responsabilità in ordine al delitto in materia di armi di cui al capo 5) è stata confermata sulla base di una interpretazione razionale del contenuto delle conversazioni intercettate, dalle quali sono emerse non solo la piena consapevolezza del ricorrente COGNOME dell’esistenza di tale arma, ma anche il fatto che lo stesso impartiva direttive a proposito della destinazione di tale arma, ossia a chi cederla, dunque la piena disponibilità della stessa da parte del ricorrente COGNOME.
Si tratta, in relazione a tutti e quattro i reati ascritti a NOME COGNOME, di considerazioni logiche e idonee a giustificare la conferma della affermazione di responsabilità, anche a seguito delle rettifiche del contenuto delle conversazioni intercettate conseguenti a quanto emerso dalla perizia trascrittiva disposta in appello, che il ricorrente ha censurato senza considerare tutte le risultanze istruttorie, che sono state censurate in modo isolato e senza considerare il complessivo quadro probatorio che da esse emerge, e, soprattutto, sul piano della lettura degli elementi di prova, in particolare del contenuto delle conversazioni intercettate, di cui è stato proposto un diverso apprezzamento, nonostante la non manifesta illogicità di quello della Corte territoriale, dunque, come osservato in premessa, in modo non consentito nel giudizio di legittimità.
5. Entrambi i motivi cui è stato affidato il ricorso di NOME COGNOME dichiarata responsabile del reato associativo ex art. 74 d.P.R. 309/90 di cui al capo 1) e del reato fine di coltivazione di stupefacenti di cui al capo 3), mediante il quale è stata lamentata l’insufficienza e la illogicità della motivazione, sia con riferimento alle prove della partecipazione alla associazione di cui al capo 1), sia a proposito della affermazione di responsabilità in ordine al reato fine di cui al capo 3), esaminabili congiuntamente in considerazione della loro sovrapponibilità, essendo entrambe volte a sindacare la valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dai giudici di merito, sono inammissibili, sia a causa della loro genericità, essendo privi di confronto con tutte le risultanze istruttorie (posto che si considerano solo quelle oggetto di diversa valutazione a seguito della perizia fonica disposta dalla Corte d’appello) e con il complesso della motivazione della sentenza impugnata (di cui sono state considerate solo alcune parti); sia perché sono entrambi volti a censurare l’apprezzamento, la lettura e la valutazione delle risultanze istruttorie, proponendone una non consentita rivisitazione, onde conseguirne una diversa lettura, da contrapporre a quella della Corte d’appello, che, però, è idonea a giustificare la conferma della affermazione di responsabilità anche a seguito della perizia trascrittiva disposta in grado d’appello ed è immune da vizi logici, come tale non suscettibile di rivisitazione sul piano delle valutazioni di merito.
La Corte territoriale, infatti, nell’illustrare il ruolo svolto dalla COGNOME, ne h sottolineato la funzione, già evidenziata nella sentenza del Tribunale . di Palermo, di tramite tra il compagno detenuto, NOME COGNOME e gli altri sodali, e ha evidenziato i compiti, dalla stessa svolti in autonomia per conto del sodalizio, di riscossione dei crediti per forniture di stupefacenti e l’attivazione per recuperare l’attrezzatura non sequestrata presso la piantagione di INDIRIZZO in Carini (di cui provvedeva a informare il compagno), desumibili, tra l’altro, dal contenuto delle conversazioni intercettate, tra la stessa COGNOME e NOME COGNOME, nonché con altri, oltre che dal sequestro nella abitazione della ricorrente medesima di buste custodite in una cassaforte contenenti elenchi di nomi, soprannomi e cifre e denaro contante, in ordine ai quali non è stata fornita alcuna spiegazione da parte della ricorrente.
Quanto al coinvolgimento della ricorrente nel reato di coltivazione di cannabis di cui al capo 3), la Corte territoriale lo ha ribadito sulla base di quanto emergente dal contenuto delle conversazioni intercettate tra la stessa ricorrente e il suddetto NOME COGNOME ritenute dimostrative del pieno coinvolgimento della COGNOME anche in tale reato, posto che la stessa provvide a informare il compagno del recupero nella piantagione sequestrata di alcune delle cose che vi si trovavano, sottolineando di averlo fatto assieme agli altri concorrenti nella attività di coltivazione di detta piantagione.
Si tratta, anche a questo proposito, di argomenti sufficienti a giustificare l’affermazione di responsabilità ribadita dalla Corte d’appello, che la ricorrente, come notato, ha censurato considerando solo alcuni degli elementi di prova, dunque in modo generico, e proponendone una rivisitazione e una rilettura, ossia, come già osservato, in modo non consentito nel giudizio di legittimità.
6. Il ricorso di NOME COGNOME, dichiarato responsabile del reato associativo ex art. 74 d.P.R. 309/90 di cui al capo 1) e dei reati fine di coltivazione di stupefacenti di cui al capi 2) e 3), mediante il quale è stata contestata l’adeguatezza della motivazione nella valutazione degli elementi di prova, con particolare riferimento al reato associativo di cui al capo 1) e al reato fine di cui al capo 3), è inammissibile, sia a causa della sua genericità, intrinseca ed estrinseca, essendo privo di analisi di tutti gli elementi di prova considerati dai giudici di merito e di autentico confronto critico con la motivazione del provvedimento impugnato, di cui sono state isolate alcune parti per contestare la valenza dimostrativa degli elementi di prova considerati; sia perché anch’esso è volto, in modo non consentito nel giudizio di legittimità, a censurare l’apprezzamento e la valutazione delle prove, di cui è stata proposta una rivisitazione allo scopo di conseguirne una lettura alternativa, da contrapporre a quella dei giudici di merito, che, però, è concorde e immune da vizi logici, come tale non suscettibile di riconsiderazione sul piano delle valutazioni di merito nel giudizio di legittimità.
La Corte d’appello di Palermo, infatti, ha ribadito, in accordo con il primo giudice, la partecipazione del ricorrente al sodalizio di cui al capo 1) e il suo concorso nei due reati fine di cui ai capi 2) e 3) sottolineando quanto già esposto a proposito della partecipazione della Bondì alla coltivazione illecita di cui al capo 3), ossia l’immediato avviso al Bellomonte, subito dopo l’arresto di NOME COGNOME e il sequestro della piantagione di INDIRIZZO a Carini, di non recarsi in tale piantagione (avviso di cui la COGNOME discorre anche nella successiva conversazione telefonica con NOME COGNOME), oltre che l’assenza di contestazioni da parte del ricorrente in ordine al reato di cui al capo 2), nonché la disponibilità fornita dallo stesso COGNOME nel recuperare l’attrezzatura utilizzata per la piantagione e i semini, non riferibili alla sola piantagione di cui al capo 2) e dimostrativi del pieno coinvolgimento di COGNOME anche nella coltivazione di cui al capo 3), oltre che del suo inserimento nel sodalizio criminale di cui al capo 1), ritenendo tale complesso di elementi, unitamente all’inequivoco contenuto delle conversazioni intercettate tra il ricorrente, COGNOME e COGNOME, dimostrativo del coinvolgimento di COGNOME nelle scelte logistiche del sodalizio.
Si tratta di motivazione idonea, stante l’univoca valenza dimostrativa degli elementi di prova considerati, e non certamente illogica, essendo stati considerati detti elementi in modo razionale, ossia nel segno della loro concludenza rispetto
alla prospettiva del coinvolgimento nella coltivazione di cui al capo 3) e dell’inserimento nel sodalizio di cui al capo 1), alle cui scelte decisionali il ricorrente ha dimostrato di essere partecipe, motivazione che è stata censurata senza considerarla nel suo complesso e, soprattutto, sul piano dell’apprezzamento degli elementi di prova, di cui è stata proposta una lettura alternativa, non consentita nel giudizio di legittimità.
7. Il ricorso proposto da NOME COGNOME dichiarato responsabile del reato fine di coltivazione di stupefacenti di cui al capo 2), mediante il quale è stata lamentata la mancata considerazione della propria prospettazione difensiva circa la mancanza di qualsiasi apporto concorsuale alla realizzazione di tale reato, cosicché la condotta ascrittagli avrebbe dovuto essere qualificata come connivenza non punibile, è anch’esso inammissibile, a causa della sua genericità, sia intrinseca, sia estrinseca, consistendo detta censura nella mera affermazione della assenza di un apporto causale rilevante, disgiunta da qualsiasi analisi della condotta, delle risultanze istruttorie e anche di confronto, tantomeno critico, con la motivazione della sentenza impugnata, cosicché esso risulta inidoneo a costituire pertinente strumento di critica argomentata alla decisione impugnata.
Quest’ultima, in ogni caso, ha adeguatamente giustificato la conferma della dichiarazione di responsabilità di Lucchese, sottolineando la sua presenza all’interno dell’immobile di INDIRIZZO Carini, nel quale era stata realizzata la piantagione di cannabis di cui al capo 2), dalla quale il ricorrente era stato visto uscire in automobile assieme ad altre tre persone (tra cui NOME COGNOME e NOME COGNOME), automobile nella quale vi era un fortissimo odore di marijuana e si trovavano le chiavi dell’immobile, e richiamando il contenuto delle conversazioni intercettate successivamente all’arresto e al sequestro, dimostrative del pieno coinvolgimento del ricorrente nella attività illecita di coltivazione di stupefacenti ascrittagli sub 2), avendo lo stesso lamentato di essere stato “aspettato” dalla polizia giudiziaria e criticando la scelta del luogo dove realizzare la piantagione, anche perché in tali conversazioni si fa riferimento al compenso percepito dal ricorrente COGNOME e da COGNOME per la fornitura di “semini”.
Si tratta, anche a questo proposito, di motivazione idonea e logica, essendo stati indicati in modo chiaro gli elementi di prova di cui è stata spiegata la portata e che sono stati ritenuti dimostrativi del coinvolgimento del ricorrente nella suddetta coltivazione illecita, motivazione che è stata criticata in modo generico e, soprattutto, esclusivamente sul piano della lettura degli elementi di prova, dunque, come già ricordato a proposito degli altri ricorsi, in modo non consentito in questa sede di legittimità.
8. In conclusione tutti i ricorsi debbono essere dichiarati inammissibili, cagione della’ loro genericità e del loro contenuto non consentito in questa sede d
legittimità.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc pen, l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma
in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 18/3/2025