Ricorso Inammissibile per Stupefacenti: La Cassazione Fa Chiarezza
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato il caso di un ricorso inammissibile stupefacenti, fornendo importanti chiarimenti sui limiti quantitativi per l’uso personale e sulle regole procedurali che governano i ricorsi. La decisione sottolinea il rigore con cui la Suprema Corte valuta i motivi di impugnazione, specialmente quando questi si rivelano meramente ripetitivi di argomentazioni già esaminate e respinte nei precedenti gradi di giudizio.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990. Dopo la conferma della condanna da parte della Corte d’Appello, l’imputato ha presentato ricorso per Cassazione, basando la sua difesa su tre motivi principali, tutti ritenuti infondati dalla Suprema Corte.
I Motivi del Ricorso e la Decisione della Corte
L’analisi della Cassazione si è concentrata sulla manifesta infondatezza e sulla natura ripetitiva delle doglianze sollevate dal ricorrente. Vediamo nel dettaglio come ogni motivo è stato smontato.
Il Primo Motivo del ricorso inammissibile stupefacenti: l’errata interpretazione sui limiti di THC
Il ricorrente sosteneva che la quantità di sostanza stupefacente detenuta non superasse la soglia massima consentita per l’uso personale. Tuttavia, la sua argomentazione si basava su un presupposto errato: il limite di 5 grammi. La Corte ha ribadito che il riferimento normativo corretto, secondo il D.M. del 24 aprile 2006, non è il peso lordo della sostanza, ma la quantità di principio attivo (THC). Tale limite è fissato in 500 mg, una soglia che nel caso di specie era stata ampiamente superata. La Corte ha quindi qualificato il motivo come meramente ripetitivo e manifestamente infondato.
Il Secondo Motivo: La pretesa violazione della correlazione tra accusa e sentenza
Il secondo motivo lamentava una presunta violazione del principio di correlazione tra l’accusa formulata e la sentenza di condanna. Anche in questo caso, la Cassazione ha respinto la doglianza, chiarendo che tale principio deve essere valutato in relazione al fatto illecito contestato e non agli elementi di prova utilizzati per dimostrarlo. Non vi è alcun obbligo per l’accusa di contestare preventivamente ogni singolo elemento probatorio che verrà poi utilizzato nel giudizio.
Il Terzo Motivo: La richiesta di rinnovazione della prova
Infine, il ricorrente aveva richiesto l'”esibizione” delle banconote sequestrate come nuova prova. La Corte ha dichiarato anche questo motivo inammissibile, spiegando che l’esibizione di un corpo del reato non costituisce un mezzo di prova che richiede una rinnovazione del dibattimento. Soprattutto in un procedimento celebrato con il rito abbreviato, la rinnovazione dell’istruttoria è uno strumento eccezionale, ammissibile solo in caso di assoluta necessità, condizione non riscontrata nel caso in esame.
Le Motivazioni della Cassazione
La decisione della Corte di Cassazione si fonda su principi consolidati della procedura penale. L’ordinanza ribadisce che un ricorso per Cassazione non può essere una semplice riproposizione delle stesse argomentazioni già valutate e respinte dai giudici di merito. È necessario che i motivi di ricorso si confrontino criticamente con le motivazioni della sentenza impugnata, evidenziando vizi logici o violazioni di legge specifiche.
In questo caso, il ricorso è stato giudicato meramente ripetitivo e basato su interpretazioni errate della normativa, come quella sul limite quantitativo del THC. La manifesta infondatezza delle doglianze ha portato inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza offre spunti pratici rilevanti. In primo luogo, conferma che la valutazione della destinazione della sostanza stupefacente non si basa solo sulla quantità, che è solo uno degli indici, ma sul corretto parametro del principio attivo. In secondo luogo, evidenzia l’importanza di formulare ricorsi in Cassazione con argomentazioni nuove e pertinenti, che non si limitino a ripetere quanto già detto. Infine, riafferma la natura eccezionale della rinnovazione probatoria nel giudizio d’appello, specialmente se derivante da un rito abbreviato, dove la scelta processuale implica l’accettazione del giudizio basato sugli atti di indagine.
Qual è il limite di THC per uso personale secondo la Cassazione in questo caso?
La Corte chiarisce che il limite normativo da considerare non è il peso della sostanza (erroneamente indicato in 5 grammi dal ricorrente), ma la quantità di principio attivo (THC), che è fissata in 500 milligrammi.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente per due ragioni: era meramente ripetitivo di argomentazioni già analizzate e respinte nei precedenti gradi di giudizio ed era manifestamente infondato, basandosi su un’errata interpretazione della legge, come nel caso del limite di THC.
È possibile chiedere di esaminare nuove prove, come delle banconote sequestrate, in un ricorso che deriva da un giudizio abbreviato?
No. La Corte ha stabilito che la richiesta di ‘esibizione’ delle banconote non è un mezzo di prova che giustifichi una rinnovazione del dibattimento. Inoltre, nel contesto di un giudizio abbreviato, la rinnovazione delle prove in appello è uno strumento eccezionale, ammesso solo in casi di ‘assoluta necessità’, condizione che non ricorreva nel caso specifico.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 758 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 758 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MILANO il 27/07/1971
avverso la sentenza del 31/03/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il primo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME condannato alle pene di legge per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990, con cui il medesi deduce la violazione della norma incriminatrice e del d.m. 24 aprile 2006, nonché il difetto motivazione sul punto, per essere stata affermata l’illecita detenzione dello stupefacente oggett di contestazione benché la quantità non superasse quella massima detenibile, è inammissibile perché meramente ripetitivo di doglianza – quella sulla detenzione a fini personali – g adeguatamente analizzata e disattesa con doppia pronuncia conforme dalle sentenze di merito, con le cui non illogiche argomentazioni il ricorrente in alcun modo si confronta, ed è comunque manifestamente infondata posto che la quantità massima detenibile, il cui superamento rappresenta soltanto uno degli indici da utilizzarsi per valutare la lecita detenzione, nel cas specie è certamente superata per il THC, essendo il limite normativo non già di 5 gr., come erroneamente allega il ricorrente, ma di 500 mg.;
Considerato che il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, dovendo il principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui si lamenta la violazione essere valutato c riguardo al fatto illecito oggetto di imputazione e non già agli elementi di prova utilizzat giudizio, rispetto ai quali non v’è ovviamente alcun obbligo di contestazione nella formulazion dell’accusa;
Rilevato che è parimenti inammissibile per manifesta infondatezza l’ultimo motivo di ricorso, posto che la “esibizione” delle banconote in sequestro – di cui il giudice dispone e che qualsiasi momento può verificare – non è un mezzo di prova rispetto al quale può richiedersi (e disporsi) la rinnovazione dibattimentale, che, soprattutto nel giudizio abbreviato nella spec celebrato, è peraltro strumento eccezionale potendosi farvi ricorso soltanto nel caso di assolut necessità, nel caso in esame non ricorrente alla luce della non illogica motivazion sull’affermazione della penale responsabilità;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile e rilevato che alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere de spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della tassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della ( Lassa delle ammende.
Così deciso il 1° dicembre 2023.