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Ricorso inammissibile spaccio: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio di stupefacenti e resistenza a pubblico ufficiale. La Corte ha ritenuto che i motivi del ricorso fossero generici e ripetitivi, confermando la valutazione dei giudici di merito sulla natura professionale dell’attività di spaccio e sulla sussistenza della violenza fisica contro gli agenti. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile per Spaccio: la Cassazione Conferma la Condanna

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso di ricorso inammissibile spaccio e resistenza a pubblico ufficiale, fornendo importanti chiarimenti sui criteri di valutazione della lieve entità del fatto e sulla specificità dei motivi di ricorso. La decisione sottolinea come non sia sufficiente riproporre censure già esaminate nei gradi di merito, specialmente quando la condotta dell’imputato denota professionalità e organizzazione.

I Fatti del Caso e la Decisione della Corte d’Appello

Il caso ha origine da una sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello di Bologna per i reati di spaccio di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 73, comma 1, del d.P.R. 309/1990, e di resistenza a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 337 del codice penale.

L’imputato, ritenendo ingiusta la condanna, ha proposto ricorso per Cassazione, articolando due principali motivi di doglianza:

1. Errata qualificazione giuridica del reato di spaccio: Secondo la difesa, il fatto avrebbe dovuto essere inquadrato nella fattispecie di lieve entità (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990).
2. Insussistenza del reato di resistenza: La difesa sosteneva la mancanza di un evento lesivo nei confronti degli agenti intervenuti, chiedendo l’assoluzione per questo capo d’imputazione.

Analisi del ricorso inammissibile spaccio da parte della Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato entrambi i motivi di ricorso, giungendo a una declaratoria di inammissibilità per entrambi. La decisione si fonda su argomentazioni precise che meritano un’analisi approfondita.

La Mancata Riqualificazione del Fatto in Lieve Entità

Riguardo al primo motivo, la Cassazione ha evidenziato come le censure proposte fossero meramente riproduttive di argomentazioni già adeguatamente vagliate e respinte dai giudici di merito. La Corte territoriale aveva correttamente escluso la fattispecie della lieve entità valorizzando due elementi cruciali:

* L’inserimento dell’imputato in un’attività di spaccio organizzata e professionale.
* Le rilevanti quantità di dosi in suo possesso.

Questi fattori, secondo i giudici, indicavano una condotta non occasionale o di modesta portata, incompatibile con la qualificazione di “lieve entità”, che presuppone una minima offensività del fatto.

La Genericità del Motivo sulla Resistenza a Pubblico Ufficiale

Anche il secondo motivo di ricorso è stato giudicato inammissibile, ma per una ragione diversa: la mancanza di specificità. La Corte ha rilevato che il ricorrente non si era confrontato adeguatamente con le motivazioni, corrette e non illogiche, della sentenza impugnata. La Corte d’Appello aveva infatti chiaramente evidenziato la sussistenza di una condotta attiva di violenza fisica posta in essere dall’imputato nei confronti degli agenti. Di fronte a tale accertamento, la semplice affermazione della mancanza di un “evento lesivo” è stata considerata un’argomentazione generica e insufficiente a scalfire la logicità della decisione di merito.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha motivato la declaratoria di inammissibilità sulla base di principi consolidati in tema di ricorso per legittimità. Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché le censure sollevate non erano in grado di evidenziare vizi di legittimità (come la violazione di legge o il vizio di motivazione), ma si limitavano a riproporre una diversa lettura delle prove, già correttamente valutate nei precedenti gradi di giudizio.

In particolare, la Corte ha ribadito che per contestare una valutazione di merito, il ricorrente deve dimostrare l’illogicità manifesta o la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, non potendosi limitare a contrapporre la propria versione dei fatti. In questo caso, le motivazioni della Corte d’Appello erano state ritenute logiche e coerenti con le prove acquisite.

Conclusioni

L’ordinanza in esame conferma due principi fondamentali. Primo, la qualificazione di un fatto di spaccio come di “lieve entità” dipende da una valutazione complessiva che include non solo la quantità di stupefacente, ma anche il contesto operativo, come la professionalità e l’organizzazione dell’attività. Secondo, un ricorso in Cassazione deve essere specifico e puntuale, confrontandosi criticamente con le argomentazioni della sentenza impugnata, pena la sua inammissibilità. La decisione ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a conferma della definitività della condanna.

Perché il ricorso sulla qualificazione del reato di spaccio è stato respinto?
La Corte ha ritenuto che il motivo fosse una semplice riproposizione di censure già esaminate e respinte. I giudici di merito avevano correttamente escluso la lieve entità sulla base dell’inserimento dell’imputato in un’attività di spaccio organizzata e professionale e della rilevante quantità di dosi detenute.

Per quale motivo è stato dichiarato inammissibile il motivo relativo alla resistenza a pubblico ufficiale?
Il motivo è stato giudicato privo di specificità, in quanto non si confrontava con le argomentazioni della Corte territoriale. Quest’ultima aveva accertato una condotta attiva di violenza fisica da parte dell’imputato contro gli agenti, rendendo generica e irrilevante la censura sulla mancanza di un evento lesivo.

Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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