Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30672 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30672 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato in Cina il 10/06/1994;
NOME COGNOME nato in Cina il 25/12/1989,
avverso la sentenza del 20/06/2024 della Corte d’appello di Firenze visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Firenze in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Prato del 9/05/2023, condannava NOME COGNOME alla pena di anni 4 e mesi 2 di reclusione ed euro 20.000,00 di multa, e NOME alla pena di anni 4 di reclusione ed euro 18.000,00 di multa, in ordine al delitto di cui all’articolo 73, comma 1, d.P.R. 309/1990.
Avverso tale sentenza gli imputati hanno presentato ricorso per cassazione.
2.1. Con un primo motivo lamenta violazione degli artt. 125, 192 c.p.p., 73 d.P.R. 309/1990, in riferimento alla condanna di NOME Ke per la cessione dei 60 grammi di « keta mina».
2.2. Con un secondo motivo, lamentano violazione dell’articolo 73, comma 5, c.p.p., in riferimento alla cessione dei 60 grammi di «ketamina» ascritta a Chen Ke.
2.3. Con un terzo motivo lamentano violazione dell’articolo 62-bis cod. pen.
3. I ricorsi sono inammissibili.
3.1. Il primo motivo è inammissibile in quanto, sotto l’ombrello della violazione di legge e del vizio di motivazione sollecita a questa Corte una rivalutazione del compendio probatorio evidentemente preclusa in sede di legittimità e propone, in ogni caso, censure motivazionali che parimenti non possono trovare ingresso in questa sede, consistendo nella differente comparazione delle risultanze istruttorie effettuate concordemente dai due giudici del merito (vedi in particolare pagg. 7-12 della sentenza impugnata).
Ed infatti, il giudice di legittimità non può rivalutare le fonti di prova, in quan tale attività è rimessa esclusivamente alla competenza dei giudici di merito. Pertanto, il ricorso per cassazione è inammissibile quando si fonda su motivi che postulano una non consentita rivalutazione delle prove testimoniali, in quanto ciò esula dalle attribuzioni del giudice di legittimità, il quale deve limitarsi a verificare la corrette giuridica e la logicità della motivazione adottata dai giudici di merito (Sez. 6, n. 43139 del 19/09/2019, Sessa, n.m.).
3.2. Il secondo motivo costituisce una inammissibile reiterazione di analoga censura già formulata in grado di appello e motivatamente disattesa dai secondi giudici. Già la sentenza di primo grado aveva escluso il comma 5 dell’articolo 73 d.P.R. 309/1990 in ragione del quantitativo di sostanza, della qualità della stessa (principio attivo attorno al 55%, da cui erano ricavabili 98 dosi singole), delle circostanze di tempo e di luogo in cui si è svolta l’azione delittuosa e della moltitudine di bustine trovate indosso all’imputato, atte al confezionamento di ulteriori dosi di stupefacente, circostanza che consentiva di escludere l’occasionalità della condotta. La sentenza impugnata rinnova tali argomentazioni a pagina 12, aggiungendo che la disponibilità presso l’abitazione di 50 bustine a pressione e la disponibilità di una autovettura per allontanarsi dal luogo di spaccio denotano professionalità e capacità criminale nella gestione di attività di narcotraffico.
Tale motivazione fa buon governo dei principi espressi da questa Corte nella sua massima composizione, che ha in primo luogo evidenziato (Sez. U, Sentenza n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911-01) che la fattispecie in esame è configurabile «solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dal disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio», successivamente confermando (Sez. U, n.51063 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076) che l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti da disposizione.
Va quindi ribadito che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217).
3.3. Quanto alle attenuanti generiche, la Corte territoriale, a pagina 14, ha motivato ampiamente il diniego in modo non manifestamente illogico, ritenendo di non poter ravvisare positivi elementi di valutazione per il loro riconoscimento.
In particolare, ha ritenuto: che l’offerta reale al RAGIONE_SOCIALE e il versamento di 50 euro alla comunità di San Patrignano sono irrisori rispetto alla marcata gravità del fatto; che la documentazione attestante l’attività lavorativa costituisse non una attenuante, ma semmai una aggravante, posto che neppure un guadagno fisso ha disincentivato l’imputato dal commettere il reato; che l’asserito atteggiamento resipiscente si scontra con la condotta degli imputati, volta a sminuire il ruolo di NOME COGNOME
La sentenza fa buon governo del principio secondo cui le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale «concessione» del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena” (cfr., Sez. 2, n. 14307 del 14.3.2017, COGNOME; Sez. 2, n. 30228 del 5.6.2014, COGNOME); il loro riconoscimento non costituisce, pertanto, un diritto dell’imputato, conseguente
all’assenza di elementi negativi, ma richiede elementi di segno positivo (v.
ex multis sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 5, n. 43952 del
13/04/2017, COGNOME n.m.); inoltre, stante la ratio
della disposizione di cui all’art.
62
-bis cod. pen., al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione
circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (sez. 2
n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/5/2016, Rv. 268475;
sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201).
4. Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità dei ricorsi.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere
che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso 1’11 aprile 2025.