Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 28702 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 28702 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 10/06/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME (CUI CODICE_FISCALE) nato il 26/06/1987 NOME COGNOME (CUI CODICE_FISCALE) nato il 17/08/1989
avverso la sentenza del 21/11/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 21 novembre 2024 la Corte di appello di Ancona ha confermato la pronuncia del Tribunale di Ascoli Piceno del 15 maggio 2023 con cui NOME ed NOME erano stati condannati alla pena di anni uno, mesi sei di reclusione ed euro 3.600,00 di multa ciascuno in ordine al reato di cui agli artt. 81, 110 cod. pen. e 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Avverso tale sentenza gli imputati hanno proposto, a mezzo del loro difensore, due distinti atti di ricorso per cassazione.
NOME ha dedotto due motivi di ricorso, con il primo dei quali ha eccepito violazione di legge e vizio di motivazione per mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra le condotte delittuose ascrittegli, mentre con la seconda censura ha eccepito violazione di legge e vizio di motivazione per omessa concessione in suo favore della circostanza attenuante prevista dall’art. 62 n. 4 cod. pen.
NOME ha lamentato, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione per erroneo mancato riconoscimento dell’attenuante della speciale tenuità del danno, di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen.
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, in quanto proposti con motivi non deducibili in questa sede di legittimità.
Deve essere osservato, infatti, come essi, lungi dal confrontarsi con la congrua e logica motivazione resa dalla Corte territoriale in replica alle analoghe doglianze eccepite con gli atti di appello – nella quale erano state diffusamente esplicate sia le ragioni di mancato riconoscimento dell’istituto della continuazione tra le condotte di cessione e detenzione di sostanza stupefacente contestate al Bessas (cfr. pp. 2 e s. della sentenza impugnata) che di mancata applicazione ai ricorrenti dell’attenuante prevista dall’art. 62 n. 4 cod. pen. (pp. 4 e ss.) reiterino le medesime considerazioni critiche espresse nel precedente atto impugnatorio, proposto avverso la sentenza di primo grado.
Per come reiteratamente chiarito da questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584-01), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione,
cioè, è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano i
dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
Risulta di chiara evidenza, pertanto, che se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, per ciò
solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento).
E’ inammissibile, quindi, il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo
grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una
presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n.
27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del
18/07/2014, COGNOME Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME
Rv. 243838-01).
All’inammissibilità dei ricorsi segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 10 giugno 2025
Il Consigliere estensore