Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34971 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34971 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/10/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a MONTEBELLUNA ZANCHETTA NOME nato il DATA_NASCITA a IESOLO avverso la sentenza in data 25/06/2024 della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi ;
letta la nota dell’AVV_NOTAIO che, nell’interesse di COGNOME NOME, si è riportato ai motivi d’impugnazione e ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
a seguito di trattazione in camera di consiglio, senza la presenza delle parti in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli articoli 610, comma 5, e 611, comma 1bis e seguenti del codice di procedura penale.
RITENUTO IN FATTO
1. NOME COGNOME e NOME COGNOME, per il tramite dei rispettivi procuratori speciali e con separati ricorsi, impugnano la sentenza in data 25/06/2024 della Corte di appello di Venezia, che ha confermato la sentenza in data 03/11/2020 del G.u.p. del Tribunale di Venezia, che aveva condannato COGNOME per il reato di riciclaggio e COGNOME per le plurime truffe contestate al capo B).
Deducono:
COGNOME NOME.
2.1. ‘Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ‘.
Il ricorrente -richiamando il primo motivo di appello- sostiene che la sentenza impugnata è affetta dal vizio di violazione di legge nella parte in cui la Corte di appello non ha assolto l’imputato.
A sostegno dell’assunto vengono preliminarmente ripercorsi i fatti processuali e le argomentazioni che hanno condotto la corte di appello a confermare la sentenza di primo grado.
Il ricorrente, quindi, dichiara di non concordare con le conclusioni raggiunte dai giudici, soprattutto in punto di valutazione della versione dei fatti offerta dall’imputato a propria discolpa che, secondo la difesa, era provata dalla documentazione prodotta in sede di interrogatorio.
A sostegno dell’assunto vengono richiamate le dichiarazioni rese da ll’imputato e illustrati i documenti che, nella prospettiva difensiva, confermavano quanto da lui dichiarato , così dovendosi ritenere che l’imputato non avesse consapevolezza della provenienza delittuosa del denaro transitato sul suo conto corrente, con il conseguente venire meno del dolo richiesto per configurare il delitto di riciclaggio.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata anche in relazione al trattamento sanzionatorio.
A tale riguardo premette che, con il secondo motivo di appello, aveva osservato che -pur a fronte di una pena base prossima al minimo edittale- gli aumenti per la continuazione risultavano eccessivi e non motivati. Si duole della pedissequa adesione della corte di appello alla tesi del giudice di primo grado e del rigetto del motivo senza la considerazione di quanto evidenziato con l ‘impugnazione.
La difesa, infine, richiamando il terzo motivo di appello, censura la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha condannato l’imputato a risarcire il danno subito dalle parti civili, ignorando le deduzioni difensive e aderendo apoditticamente alle motivazioni del giudice di primo grado.
3. ZANCHETTA NOME.
3.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al capo 9) e alle truffe contestate al capo B) ai nn. 1, 3, 5, 9, 13, 16, 18, 19, 21, 24, 25, 26, 30, 31, 32, 34, 35, 42 e 44 in assenza di riconoscimento certo dell’imputato quale autore e concorrente nei fatti contestati, con conseguente annullamento della sentenza impugnata.
La sentenza impugnata viene censurata nella parte in cui ha confermato la condanna di COGNOME per tutte le truffe contestategli, nonostante la sua mancata identificazione ‘ certa e scevra di dubbi ‘ con la persona fisica presente all’interno dell’autosalone con la quale le persone offese avrebbero trattato per l’acquisto delle autovetture.
Secondo il ricorrente, la motivazione della sentenza impugnata è illogica e contraddetta dalle emergenze processuali oltre che da quanto dedotto con il primo motivo di appello, con conseguente violazione degli artt. 189, 192 e 533 cod. proc. pen..
Si specifica che la corte di appello non ha considerato tutte le difformità e le contraddizioni registrate in sede di individuazione fotografica, così come evidenziate con il gravame.
A sostegno dell’assunto vengono riassunti i contenuti e le argomentazioni del primo motivo di appello e le lacune e le contraddizioni in cui è incorsa la corte di appello nel disattenderli.
Il ricorrente evidenzia come l’individuazione fotografica sia un atto investigativo inaffidabile, privo di efficacia dimostrativa assoluta e rimarca come i giudici di merito non abbiano puntualmente motivato su ogni singolo riconoscimento effettuato da ogni persona offesa.
Viene contestata anche l’affidabilità e l’efficacia probatoria delle identificazioni fotografiche effettuate da COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME.
3.2. Violazione di legge in relazione alle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte di appello ha negato le circostanze attenuanti generiche sul rilievo dell’assenza di elementi positivamente valutabili.
Si denuncia, quindi, la mancata considerazione di quanto evidenziato con il secondo motivo di appello, valutabile a favore dell’imputato, ossia il corretto e collaborativo comportamento processuale e il contesto soggettivo positivo a lui riconducibile.
Si denuncia l’incongruità della motivazione resa per negare le circostanze attenuanti generiche, anche in violazione della funzione rieducativa della pena, che non può essere ostacolata dalla mancata confessione resa dall’imputato.
3.3. Violazione di legge in relazione alla misura della pena irrogata.
Si denuncia il vizio di omessa motivazione quanto alla irrogazione di una pena severa, fondata sull’individuazione di una pena base superiore al minimo edittale. Si denuncia, altresì, la mancata considerazione del contegno processuale dell’imputato e delle doglianze difensive esposte con l’atto di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi di COGNOME e di COGNOME sono entrambi inammissibili, perché si risolvono nella mera riproposizione dei motivi di appello e si risolvono nella prospettazione di una rilettura delle emergenze processuali alternativa a quella ritenuta dai giudici di merito, in punto di responsabilità, di riconoscibilità di circostanze attenuanti e di determinazione della pena.
1.1. La corte di appello ha richiamato la sentenza di primo grado, osservando che il t ribunale, all’esito del dibattimento, a veva ricostruito l’esistenza di un articolato meccanismo fraudolento posto in essere attraverso la società RAGIONE_SOCIALE di Chioggia. Secondo i giudici di merito, è risultato provato che presso la concessionaria venivano pubblicizzati ed esposti autoveicoli -in parte di grossa cilindrata e di marchi prestigiosi -in realtà non disponibili per la vendita, in quanto acquisiti soltanto in forza di contratti di noleggio a breve termine. I clienti, attirati dalle condizioni particolarmente vantaggiose e dalle elevate valutazioni offerte per i veicoli usati in permuta, venivano indotti a stipulare contratti di acquisto e a versare somme consistenti, senza tuttavia ottenere la consegna delle autovetture.
Secondo i giudici, la ricostruzione dei flussi finanziari ha mostrato che le somme versate confluivano su una pluralità di conti correnti riconducibili agli imputati, per poi essere rapidamente distratte mediante prelievi in contanti o per mezzo di trasferimenti verso ulteriori rapporti bancari.
Il tribunale ha escluso la configurabilità del reato di associazione per delinquere, ritenendo non provato un vincolo stabile e una struttura organizzata tra gli imputati; ha invece affermato la sussistenza del reato di truffa aggravata a carico di COGNOME e quello di riciclaggio a carico di COGNOME NOME.
Quanto a NOME COGNOME, i giudici della doppia sentenza conforme lo hanno individuato quale principale referente operativo della concessionaria, con ruolo determinante nella gestione delle trattative commerciali con i clienti. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito era COGNOME a curare direttamente i rapporti con gli acquirenti, presentando le autovetture come immediatamente disponibili e sollecitando la stipula dei contratti e il versamento degli acconti.
Elementi a suo carico sono stati individuati nelle plurime testimonianze delle persone offese, nelle ricevute di pagamento da lui sottoscritte e nella documentazione bancaria attestante la disponibilità delle somme da lui direttamente riscosse o gestite.
Le difese, che hanno richiamato la natura temporanea dell’attività e la mancanza di un vantaggio personale stabile, sono state ritenute non decisive dal giudice di primo grado, poiché non idonee a smentire la serialità delle condotte né la sua presenza costante e operativa nella concessionaria.
Quanto a COGNOME NOME, i giudici di merito lo collocano sul versante finanziario, ritenendolo responsabile del reato di riciclaggio, attraverso la gestione dei conti, il trasferimento di somme di denaro, l’esecuzione di operazioni destinate a ostacolare la tracciabilità.
Secondo i giudici COGNOME ebbe un ruolo diretto nella gestione dei flussi finanziari provenienti dai clienti truffati, movimentando somme ingenti attraverso conti a lui riferibili, provvedendo a trasferirle su rapporti bancari ulteriori e disponendone mediante operazioni atte a ostacolarne la tracciabilità.
A suo carico sono stati valorizzati gli accertamenti bancari che evidenziavano la ricezione di fondi di provenienza illecita, i prelievi e i bonifici verso terzi, nonché la carenza di giustificazioni plausibili circa la reale provenienza del denaro.
Le deduzioni difensive, che hanno attribuito tali operazioni ad attività lecite o a rapporti estranei ai fatti contestati, sono state considerate generiche e prive di riscontro oggettivo, e quindi non idonee a scalfire il quadro accusatorio.
1.2. Con l’atto di appello COGNOME NOME contestava la sentenza di primo grado, deducendo di avere rivestito presso la società ‘RAGIONE_SOCIALE un ruolo meramente marginale e subordinato, senza diretta gestione del denaro né degli accordi contrattuali, e di essersi limitato a sporadici interventi nella vendita di autovetture.
Sosteneva, inoltre, l’inattendibilità delle individuazioni operate a suo carico dalle persone offese, sottolineando le difformità nelle descrizioni fisiche (capigliatura, presunto tatuaggio al polso, tratti somatici), le percentuali variabili di riconoscim ento e l’uso del soprannome ‘NOME‘ o ‘NOME‘, che sarebbe stato riferibile anche ad altri soggetti. Censurava, altresì, le modalità dei riconoscimenti fotografici eseguiti nella fase delle indagini preliminari, assumendone la natura meramente investigativa e il rischio di suggestione derivante dalla pubblicazione di sue immagini sui giornali.
Con riferimento ad alcuni episodi, deduceva di non avere avuto contatti diretti con le persone offese e di essere stato confuso con altri.
Con ulteriori motivi invocava il riconoscimento delle attenuanti generiche, lamentava l’eccessività dell’aumento per la continuazione, contestava l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod. pen. e la quantificazione delle provvisionali in favore delle parti civili.
La Corte di appello rigettava le doglianze, rilevando come le dichiarazioni delle persone offese, pur con fisiologiche oscillazioni su elementi secondari, avessero fornito una convergente e univoca attribuzione all’imputato del ruolo di venditore nell’autosalone di Chioggia, identificato anche attraverso l’uso costante del soprannome ‘NOME‘. Osservava che i riconoscimenti fotografici, pur eseguiti in
fase investigativa, erano stati confermati in sede dibattimentale e trovavano riscontro nel complessivo materiale probatorio, sicché non potevano ritenersi inattendibili o viziati da suggestione. Riteneva, inoltre, non decisive le difformità evidenziate da ll’appellante, che non intaccavano l’attendibilità complessiva delle identificazioni. Quanto al trattamento sanzionatorio, negava le attenuanti generiche in ragione della gravità e serialità delle condotte e della mancanza di iniziative risarcitorie, giudi cava proporzionato l’aumento di pena operato a titolo di continuazione, confermava la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod. pen., avuto riguardo al rilevante danno arrecato a ciascuna delle persone offese, e riteneva congrua la liquidazione delle provvisionali.
1.4. Con atto di appello l’imputato COGNOME censurava la sentenza di primo grado deducendo, in primo luogo, l’erroneità della valutazione delle dichiarazioni difensive, reputate non credibili dal Tribunale, ed insisteva per l’accoglimento della propria versione alternativa circa la provenienza lecita delle somme ricevute.
Con ulteriore motivo, l’ odierno ricorrente contestava la qualificazione giuridica della condotta, assumendo che la stessa si sarebbe dovuta inquadrare quale mera operazione neutra e non già come riciclaggio; eccepiva, inoltre, la sproporzione della pena inflitta e l’eccessività dell’aumento per la continuazione.
L’appellante, infine, negava la sussistenza di un concreto danno risarcibile in favore della parte civile, insistendo per l’assoluzione anche sotto il profilo civilistico.
La Corte d’appello rigettava integralmente le doglianze. Quanto al primo motivo, osservava che la versione alternativa proposta dall’imputato non risultava credibile, atteso il carattere anomalo delle operazioni bancarie (tra cui la restituzione, senza apparente giustificazione, della somma di euro 12.000), la fittizia intestazione di rapporti a terzi (in specie ad NOME), nonché l’assenza di qualsiasi documentazione attestante l’effettiva prestazione di servizi a fronte dei pagamenti ricevuti. Veniva pertanto ritenuta corretta la valutazione del Tribunale in ordine alla provenienza illecita delle somme.
In ordine al secondo motivo, la Corte territoriale evidenziava che le operazioni poste in essere integravano compiutamente la fattispecie di riciclaggio, escludendo qualsivoglia ipotesi di neutralità dell’attività; giudicava inoltre proporzionata la pena i rrogata, congruamente motivata in relazione ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., e immune da censure l’applicazione della continuazione.
Quanto al profilo civilistico, la Corte d’appello confermava la condanna generica al risarcimento, ritenendo sussistente il danno cagionato alla persona offesa.
Il confronto tra gli atti di appello di COGNOME e di COGNOME e i rispettivi ricorsi porta a rilevare come questi ultimi si risolvano nella mera reiterazione di quelli, sostanziandosi nella ripresentazione in sede di legittimità delle medesime argomentazioni di merito affrontate e risolte dalla corte di appello con motivazione
puntuale e giuridicamente corretta, in gran parte trascurata dai ricorrenti che, di fatto, non si confrontano con le argomentazioni della sentenza impugnata, complessivamente e unitariamente considerata.
Da qui molteplici ragioni di inammissibilità.
2.1. Anzitutto le impugnazioni così strutturate si presentano afflitti dal vizio di aspecificità estrinseca, che si configura quando -come nel caso dei ricorsi in esame- manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato o soltanto formalmente evidenziarle senza realmente confrontarsi con esse poiché in tal caso i motivi omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 4, n. 19634 del 14/3/2024, COGNOME, Rv. 286468; Sez. 2, n. 42046 del 17/7/2019, COGNOME, Rv. 277710; Sez. 2, n. 11951 del 29/1/2014, Lavorato, Rv. 259425; Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, COGNOME, Rv. 255568; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, COGNOME, Rv. 240109; Sez. 5, n. 15897 del 09/01/2025, COGNOME, in motivazione).
2.2. Da questo primo rilievo discende un’ulteriore causa d’inammissibilità delle impugnazioni, dovendosi ribadire che sono inammissibili i ricorsi per Cassazione «fondati su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso. (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710 -01).
2.3. Infine, non può che osservarsi come tutti i motivi rispettivamente dedotti da COGNOME e COGNOME in punto di affermazione della responsabilità, di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, di determinazione della pena e in ordine alle statuizioni civili si risolvano in una valutazione delle risultanze processuali alternativa a quella ritenuta dai giudici di merito e, in quanto tali, non sono scrutinabili in sede di legittimità, atteso che il compito demandato dal legislatore alla Corte di cassazione per quanto qui d’interesse – non è quello di stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti ovvero quello di condividerne la giustificazione. Il compito del giudice di legittimità è quello di verificare la conformità della sentenza impugnata alla legge sostanziale e a quella processuale, cui si aggiunge il controllo sulla motivazione che, però, è restrittivamente limitato alle ipotesi tassative della carenza, della manifesta illogicità e della contraddittorietà.
Tutti vizi che non si rinvengono né vengono realmente dedotti con i ricorsi in esame, dal che discende la loro inammissibilità.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del
procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 02/10/2025
Il Consigliere est. Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME