Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46392 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46392 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/06/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 04/06/2024 la Corte di appello di Salerno confermava la sentenza del GUP del Tribunale di Salerno del 15/11/2023, che aveva condannato – previa concessione delle circostanze attenuanti generiche NOME COGNOME alla pena di mesi 2 di reclusione e 400 euro di multa in ordine al reato di cui all’articolo 2 I. 638/1983, condizionalmente sospesa.
Avverso tale sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione, lamentando, con un primo motivo, violazione dell’articolo 131-bis cod. pen., ritenendo che erroneamente la Corte di appello non abbia riconosciuto la non abitualità della condotta.
Con un secondo motivo, lamenta violazione dell’articolo 58 I. 689/1981, ritenendo illegittimo il diniego di accogliere la richiesta di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria.
In data 11 ottobre 2024 l’AVV_NOTAIO, per l’imputato, depositava note difensive in cui chiedeva di rivalutare la proposta inammissibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il ricorso si limita a riproporre pedissequamente le medesime doglianze già proposte con i motivi di appello e motivatamente disattese dal giudice del gravame.
E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217)
La funzione tipica dell’impugnazione, d’altro canto, è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale
(cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (testualmente Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv 254584 e Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
Se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, quindi, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato (sempre, da ultimo, Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
Quanto al primo motivo, in particolare, la sentenza impugnata motiva in modo preciso sulla circostanza che deve escludersi la sussistenza dell'”indicerequisito” della non abitualità della condotta alla luce del fatto che il ricorrente è attualmente imputato del reato di cui all’articolo 37 I. 689/1981 e condannato per bancarotta.
Tale motivazione appare conforme al dictum delle Sezioni Unite della Corte, le quali hanno precisato che in presenza di più reati della stessa indole ex art. 101 c.p., il comportamento deve ritenersi abituale laddove il soggetto abbia commesso – anche in tempi successivi a quello per il quale si procede – almeno due illeciti (oltre a quello oggetto del giudizio) che si trovino al cospetto del giudice, il quale dunque è in grado di valutarne l’esistenza (Sez. U, n. 18891 del 27/01/2022, COGNOME, Rv. 283064 – 01).
Tale motivazione appare conforme ai dicta di questa Corte, secondo cui il presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. del comportamento abituale ricorre quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016 16, Tushaj, Rv. 266591).
A tal fine è sufficiente che «gli illeciti si trovino al cospetto del giudice che, dunque, è in grado di valutarne l’esistenza», in quanto il rilievo dell’accertamento in ordine all’esistenza dell’illecito implicato dalla dichiarazione di non punibilità è solo quello di costituire un «reato» che, sommato agli altri della stessa indole richiesti dalla legge nei termini di cui si è detto, dà luogo alla abitualità del comportamento (Sez. 6, n. 6551 del 09/01/2020, COGNOME, Rv. 278347 – 01), non essendo quindi necessario che l’accertamento giudiziale sia divenuto definitivo.
Il ricorso, che con tale dato non si confronta in modo realmente critico, difetta quindi della necessaria specificità.
4. Quanto al secondo motivo, Questa Corte ha già sul punto avuto modo di chiarire che la sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, che nell’esercizio del potere di sostituzione, deve tenere conto dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., e può rigettare la richiesta nel caso in cui, in base ad elementi di fatto, sia possibile esprimere un giudizio sulla solvibilità del reo, con prognosi negativa in ordine alla capacità di adempiere (Sez. 2, n. 15927 del 20/02/2024, Cisse, Rv. 286318 – 01 Sez. 5, n. 44402 del 10/10/2022, dep. 22/11/2022, Rv. 283954). Nel rimarcare come l’applicazione della pena, ivi comprese le pene sostitutive, e la scelta di quella più idonea a garantire la funzione social-preventiva nel caso concreto, compete al giudice di merito, alle cui valutazioni discrezionali è rimessa anche la considerazione delle condizioni personali e sociali del reo, deve dunque ritenersi, che il rigetto della sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria, laddove motivato in modo logico in applicazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p., sfugge alle censure in sede di legittimità (v. anche Sez. 4, n. 48574 del 07/11/2013, Rv. 258092).
Nel caso concreto, la Corte territoriale ha dato conto nella propria decisione delle ragioni alla base della prognosi negativa di futuro adempimento, richiamando la circostanza che l’imputato è attualmente imputato del reato di cui all’articolo 37 I. 689/1981 e condannato per bancarotta, elementi che consentono di inferire un quasi certo inadempimento dell’obbligazione pecuniaria.
Se è vero, infatti, che il d.lgs. n. 150/2022 è intervenuto sulla legge 689/81 con l’evidente obiettivo di estendere l’ambito applicativo delle sanzioni sostitutive (che ha trasformato in pene sostitutive); è pur vero che, anche nel testo attualmente vigente, l’art. 58 della legge n. 689/81 richiede al giudice -che deve valutare se applicare una pena sostitutiva di tenere conto «dei criteri indicati dall’art. 133 del codice penale».
La valutazione così compiuta – doverosa ex art. 58 legge 689/81 – è stata congruamente e logicamente motivata e la doglianza è manifestamente infondata.
Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 18 ottobre 2024.