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Ricorso inammissibile se reitera i motivi d’appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, condannato nei primi due gradi di giudizio, poiché i motivi presentati erano una mera ripetizione di quelli già respinti dalla Corte d’Appello. La decisione sottolinea che un ricorso inammissibile è tale quando manca una critica argomentata e specifica alla sentenza impugnata. La Corte ha inoltre confermato la correttezza del diniego della causa di non punibilità per tenuità del fatto, data la condotta abituale del reo, e della conversione della pena, a causa di una prognosi negativa sulla sua capacità di adempiere.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Cassazione Boccia la Semplice Ripetizione dei Motivi d’Appello

Presentare un ricorso per Cassazione richiede precisione e una critica puntuale alla sentenza impugnata. Una recente ordinanza della Suprema Corte ribadisce un principio fondamentale: un ricorso inammissibile è tale se si limita a riproporre le stesse doglianze già respinte in appello, senza confrontarsi specificamente con le motivazioni del giudice precedente. Questo caso offre spunti cruciali sulla tecnica di redazione degli atti di impugnazione e sulla nozione di condotta abituale ai fini della non punibilità.

I Fatti di Causa

Un imputato, condannato in primo grado dal GUP del Tribunale per un reato previsto dalla legge 638/1983, vedeva confermata la sua pena (due mesi di reclusione e 400 euro di multa, con sospensione condizionale) dalla Corte di Appello. Non rassegnato, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, affidandosi a due motivi principali:
1. La violazione dell’art. 131-bis c.p., sostenendo che la Corte d’Appello avesse erroneamente negato la natura non abituale della sua condotta, impedendo così l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
2. La violazione dell’art. 58 della legge 689/1981, ritenendo illegittimo il rifiuto di convertire la pena detentiva in una pena pecuniaria.

Il Ricorso Inammissibile: La Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha stroncato sul nascere le speranze del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. La ragione è netta e procedurale: l’atto di impugnazione non assolveva alla sua funzione tipica, ovvero quella di una critica argomentata e specifica contro il provvedimento impugnato. Invece, si limitava a una ‘pedissequa reiterazione’ delle stesse questioni sollevate in appello e già motivatamente disattese dalla Corte territoriale. Secondo gli Ermellini, un ricorso così formulato ignora di fatto la sentenza che intende ‘attaccare’, venendo meno alla sua unica funzione.

La Nozione di Condotta Abituale come Ostacolo al 131-bis

Sul primo motivo, la Corte ha ritenuto corretta la valutazione dei giudici di merito. La non abitualità della condotta, requisito per l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., era stata esclusa alla luce di altri procedimenti a carico dell’imputato: un’altra imputazione per un reato della stessa indole e una condanna per bancarotta. Citando le Sezioni Unite, la Corte ha ricordato che la condotta è ‘abituale’ quando l’autore, anche in tempi successivi, ha commesso almeno due illeciti oltre a quello in giudizio. Non è necessario che questi siano stati accertati con sentenza definitiva; è sufficiente che il giudice del procedimento in corso sia in grado di valutarne l’esistenza.

La Discrezionalità del Giudice sulla Conversione della Pena

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La sostituzione di una pena detentiva breve con una pecuniaria è una scelta discrezionale del giudice, basata sui criteri dell’art. 133 c.p. La Corte d’Appello aveva negato la conversione formulando una prognosi negativa sulla capacità del reo di adempiere al pagamento. Tale prognosi era logicamente fondata sugli stessi elementi che escludevano la tenuità del fatto (l’altra imputazione e la condanna per bancarotta), indicativi di una situazione economica e personale che rendeva probabile un futuro inadempimento. La valutazione, essendo congruamente motivata, sfugge al sindacato di legittimità.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Cassazione si concentrano sul difetto strutturale del ricorso. L’impugnazione deve instaurare un dialogo critico con la sentenza di secondo grado, indicando specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che ne giustificano la riforma. Riproporre semplicemente le stesse argomentazioni, senza analizzare e contestare il ragionamento seguito dalla Corte d’Appello per respingerle, trasforma il ricorso in un atto apparente, privo della specificità richiesta a pena di inammissibilità dagli artt. 581 e 591 c.p.p. La Corte, in sostanza, non può riesaminare questioni già decise se il ricorrente non spiega perché la decisione precedente era errata.

Conclusioni

Questa ordinanza è un monito importante per la difesa tecnica: la redazione di un ricorso per Cassazione non può essere una mera formalità o la copia di un atto precedente. È necessario un confronto puntuale e critico con la sentenza impugnata, pena la dichiarazione di un ricorso inammissibile. La decisione riafferma inoltre principi consolidati sia sulla valutazione della condotta abituale, che può basarsi anche su illeciti non ancora definitivi, sia sulla vasta discrezionalità del giudice di merito nel concedere o negare le pene sostitutive, purché la sua decisione sia logicamente motivata.

Quando un ricorso per cassazione viene considerato inammissibile?
Un ricorso per cassazione è inammissibile quando si limita a riproporre pedissequamente le stesse doglianze già presentate e respinte in appello, senza formulare una critica specifica e argomentata contro le motivazioni della sentenza impugnata. Deve esserci un confronto puntuale con la decisione che si contesta.

Come si valuta la ‘condotta abituale’ per escludere la non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.)?
La condotta si considera abituale quando l’autore ha commesso almeno due illeciti (oltre a quello per cui si procede), anche se commessi in tempi successivi e non ancora accertati con sentenza definitiva. È sufficiente che il giudice sia in grado di valutarne l’esistenza al momento della decisione.

Perché un giudice può rifiutare la conversione di una pena detentiva in pena pecuniaria?
Un giudice può rifiutare la conversione basando la sua decisione discrezionale sui criteri dell’art. 133 c.p. Se, in base a elementi di fatto (come altre imputazioni o condanne), esprime una prognosi negativa sulla capacità del reo di pagare la pena pecuniaria, il diniego è legittimo, purché motivato in modo logico e congruente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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