Ricorso inammissibile: quando l’appello non supera il vaglio della Cassazione
Presentare un ricorso in Cassazione è l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma non tutte le doglianze possono essere esaminate nel merito. Un’ordinanza recente della Suprema Corte chiarisce i confini entro cui un’impugnazione può essere valutata, definendo un ricorso inammissibile quando i motivi sono proceduralmente infondati o vertono su questioni di fatto. Analizziamo una decisione che offre spunti cruciali sul funzionamento del rito cartolare e sui limiti del sindacato di legittimità sulla determinazione della pena.
I Fatti di Causa
Un imputato, condannato in primo grado e in appello per violazioni della normativa sulle misure di prevenzione, decideva di presentare ricorso per cassazione. I motivi alla base dell’impugnazione erano due:
1. Un vizio procedurale: il ricorrente sosteneva che la mancata notifica dell’atto di citazione, mentre era detenuto all’estero, gli avesse impedito di comparire in giudizio, configurando una violazione del suo diritto di difesa.
2. Un vizio di motivazione: si lamentava della congruità della pena inflitta, ritenendola il frutto di una valutazione contraddittoria da parte dei giudici di merito.
La Corte di Appello aveva confermato la sentenza di primo grado, spingendo la difesa a rivolgersi alla Suprema Corte per ottenere l’annullamento della decisione.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile in ogni sua parte. I giudici hanno respinto entrambi i motivi, ritenendoli manifestamente infondati. La decisione ha comportato non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una sanzione di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: Analisi dei Motivi di Ricorso Inammissibile
La Corte ha fornito una spiegazione chiara e lineare per la sua decisione, analizzando separatamente i due motivi di ricorso.
L’insussistenza del legittimo impedimento nel rito cartolare
Sul primo punto, la Cassazione ha chiarito che nel cosiddetto ‘rito cartolare non partecipato’, disciplinato dall’art. 598-bis del codice di procedura penale, il procedimento si svolge interamente sulla base degli atti scritti, senza la presenza fisica delle parti. In questo contesto, l’imputato non ha un diritto di assistere all’udienza. Di conseguenza, non può nemmeno far valere un eventuale impedimento a comparire. La Corte ha inoltre sottolineato che il ricorrente non aveva contestato la regolare notifica degli avvisi al suo difensore di fiducia, il che garantiva la piena conoscenza del procedimento e il rispetto del diritto di difesa.
La discrezionalità del giudice nella dosimetria della pena
Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. I giudici supremi hanno ribadito un principio consolidato: la determinazione della pena (la cosiddetta ‘dosimetria’) rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale valutazione non è sindacabile in sede di Cassazione se la motivazione è logica, congrua e coerente con i parametri stabiliti dall’art. 133 del codice penale. Il ricorso, secondo la Corte, era ‘fortemente aspecifico e meramente assertivo’, limitandosi a sollecitare una nuova valutazione di elementi fattuali già esaminati nei precedenti gradi di giudizio, un’operazione preclusa alla Corte di Cassazione, che è giudice di legittimità e non di merito.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche. In primo luogo, evidenzia come le peculiarità procedurali dei diversi riti processuali incidano sui diritti delle parti. Nel rito cartolare, la difesa si esercita per iscritto, e l’assenza fisica non costituisce una violazione procedurale. In secondo luogo, ribadisce che il ricorso per cassazione non è una terza istanza di merito. Per contestare la determinazione della pena, non è sufficiente dissentire dalla valutazione del giudice, ma è necessario dimostrare un vizio logico o una palese irragionevolezza nella motivazione della sentenza, evitando di proporre motivi generici che si traducono in un ricorso inammissibile.
È possibile far valere un legittimo impedimento a comparire in un procedimento con rito cartolare?
No, secondo la Corte, nel rito cartolare non partecipato l’imputato non ha diritto di assistere fisicamente all’udienza, motivo per cui non è legittimato a far valere un eventuale impedimento a comparire.
È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa dal giudice di merito?
No, se la contestazione si limita a richiedere una nuova valutazione di elementi di fatto. La determinazione della pena è un potere discrezionale del giudice di merito e può essere censurata in Cassazione solo se la motivazione è illogica, contraddittoria o viola la legge.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, la cui entità è determinata dalla Corte tenendo conto dei profili di colpa nella proposizione del ricorso.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20640 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20640 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GALLARATE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/09/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, ricorre per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, emessa dalla Corte di appello di Milano, che ha confermato la sentenza del Giudice monocratico del Tribunale di Busto Arsizio, che lo aveva ritenuto responsabile di plurime ipotesi ex art. 75, comma 2, d.lgs. 06 settembre 2011, n. 159 e – riconosciute le circostanze attenuanti generiche, computate con il criterio della equivalenza rispetto alla contestata recidiva – lo aveva condannato alla pena di anni uno, mesi sei e giorni dieci di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; il ricorrente deduce – con il primo motivo – violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) e lett. e) cod proc. pen., in ragione della mancata notifica dell’atto di citazione all’imputato detenuto all’estero, con conseguente mancata valutazione della sussistenza di un legittimo impedimento a comparire, mentre con il secondo motivo si duole del vizio di contraddittorietà della motivazione della decisione impugnata, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., in relazione alla dosimetria del trattamento sanzionatorio.
Il primo motivo è inammissibile, per contrarietà al dato testuale che disciplina la materia. Nel rito cartolare non partecipato ex art. 598-bis cod. proc. pen., infatti, l’imputato non ha diritto di assistere, ragion per cui non è legittimat a far valere un eventuale impedimento; il ricorrente, comunque, non contesta l’avvenuta ricezione degli avvisi presso il difensore di fiducia.
Il secondo motivo è parimenti inammissibile, in quanto fortemente aspecifico e meramente assertivo, oltre che interamente versato in fatto. Deve, invero, osservarsi che la valutazione attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito – laddove questo risulti esercitato congruamente, logicamente ed anche in coerenza con il principio di diritto secondo il quale l’onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente l’esame di tutti i parametri fissati dall’art. 133 cod. pen. – si sottrae alle censure c reclamino una rivalutazione in fatto di elementi già oggetto di valutazione, ovvero la valorizzazione di dati che si assumano essere stati indebitamente pretermessi, nell’apprezzamento del giudice impugnato.
Segue ex lege alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non potendosi escludere profili di colpa, anche alla sanzione in favore della cassa delle ammende (Corte cost. n. 186 del 2000) che si ritiene equo quantificare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 9 maggio 2024.