Ricorso Inammissibile: Quando Ripetere i Motivi d’Appello è Controproducente
Un ricorso inammissibile è l’esito che ogni avvocato teme e che ogni assistito spera di evitare. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di come la semplice riproposizione dei motivi già discussi in appello possa condurre a questa conclusione, chiudendo di fatto le porte a una revisione del giudizio. Analizziamo insieme il caso e le sue importanti implicazioni pratiche per la strategia difensiva.
Il Contesto del Ricorso
Il caso trae origine da una condanna emessa dalla Corte d’Appello per reati legati agli stupefacenti. L’imputato, non soddisfatto della decisione, ha proposto ricorso per Cassazione, affidandolo a due distinti motivi. Il primo mirava a ottenere una riqualificazione del reato nell’ipotesi più lieve, mentre il secondo lamentava la mancata sostituzione della pena detentiva con misure alternative. Entrambi, come vedremo, si sono scontrati con i rigidi paletti di ammissibilità del giudizio di legittimità.
I Motivi del Ricorso e la Decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha esaminato separatamente i due motivi, giungendo per entrambi a una declaratoria di inammissibilità, seppur per ragioni diverse.
Primo Motivo: La Qualificazione del Reato e il ricorso inammissibile
L’imputato sosteneva che i giudici di merito avessero errato nel non qualificare il fatto come di ‘lieve entità’ ai sensi dell’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti. La Cassazione ha ritenuto questo motivo non deducibile, etichettandolo come una ‘pedissequa reiterazione’ delle argomentazioni già presentate in appello. La Corte ha sottolineato che il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito, ma un controllo sulla legittimità della decisione impugnata. Pertanto, non basta ripetere le stesse doglianze, ma è necessario formulare una critica argomentata e specifica contro le ragioni esposte nella sentenza d’appello. In questo caso, i giudici di secondo grado avevano già spiegato, con motivazione logica, perché l’ampio contesto e la quantità non irrilevante di stupefacente escludevano l’ipotesi della lieve entità.
Secondo Motivo: La Mancata Sostituzione della Pena
Il secondo motivo di doglianza riguardava la presunta assenza di motivazione sulla mancata sostituzione della pena detentiva breve con misure come la semilibertà o la detenzione domiciliare. Anche su questo punto, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, questa volta per ‘carenza di interesse’. La legge, infatti, consente tale sostituzione solo per pene detentive entro il limite massimo di quattro anni. Poiché la pena inflitta all’imputato era superiore, la sostituzione era giuridicamente impossibile. Di conseguenza, l’imputato non aveva alcun interesse giuridicamente apprezzabile a contestare la motivazione su un punto che, in ogni caso, non avrebbe potuto trovare accoglimento.
Le Motivazioni della Corte
La decisione della Cassazione si fonda su due pilastri fondamentali del processo penale. In primo luogo, il principio di specificità dei motivi di ricorso: non è sufficiente lamentare un errore, ma occorre indicare con precisione in cosa consista la violazione di legge o il vizio di motivazione della sentenza impugnata. Riproporre le stesse argomentazioni del grado precedente equivale a non svolgere questa funzione critica, rendendo il motivo solo apparente e quindi inammissibile.
In secondo luogo, il principio dell’interesse ad agire. Un’impugnazione è ammissibile solo se il suo potenziale accoglimento può portare un concreto vantaggio al ricorrente. Se la richiesta è, in partenza, legalmente infondata (come la sostituzione di una pena superiore ai limiti di legge), discutere sulla motivazione diventa un esercizio sterile, privo di interesse giuridico e, pertanto, inammissibile.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per la pratica forense. Dimostra che il successo di un ricorso in Cassazione dipende non solo dalla fondatezza delle proprie ragioni, ma anche e soprattutto dalla capacità di presentarle in modo tecnicamente corretto. Evitare la mera ripetizione dei motivi d’appello e verificare attentamente la sussistenza di un interesse concreto sono passaggi cruciali per superare il vaglio di ammissibilità. La Corte Suprema ribadisce il suo ruolo di giudice della legittimità, non dei fatti, e sanziona con l’inammissibilità e la condanna alle spese (in questo caso, 3.000 euro alla Cassa delle ammende) i ricorsi che non rispettano queste regole fondamentali.
Perché il primo motivo di ricorso è stato dichiarato inammissibile?
È stato ritenuto una ‘pedissequa reiterazione’, ovvero una semplice ripetizione dei motivi già presentati e respinti in appello, senza una critica specifica e argomentata contro la motivazione della sentenza impugnata.
Cosa significa che un motivo di ricorso è inammissibile per ‘carenza di interesse’?
Significa che, anche se il motivo venisse accolto, il ricorrente non ne otterrebbe alcun vantaggio pratico o giuridico. Nel caso specifico, la legge non permetteva la sostituzione della pena richiesta, rendendo inutile qualsiasi discussione sulla motivazione del diniego.
Quando un reato connesso a stupefacenti non può essere qualificato di ‘lieve entità’?
Secondo la valutazione dei giudici di merito, confermata dalla Cassazione, il reato non può essere considerato di lieve entità quando il contesto generale e la quantità di sostanza stupefacente coinvolta sono giudicati ‘non irrilevanti’.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4216 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4216 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a SAN SEVERO il 10/12/1985
avverso la sentenza del 10/05/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME ritenuto che il primo motivo di ricorso che contesta la correttezza della motivazione in relazione alla mancata qualificazione giuridica del fatto nell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma 5 D.P.R. 390/1990, è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
osservato che con motivazione congrua e priva di illogicità la Corte d’appello ha correttamente ritenuto che considerato l’ampio contesto nel quale le condotte contestate erano maturate presupponendo una quantità di stupefacente non irrilevante non potesse configurarsi la diversa ipotesi di lieve entità;
ritenuto che il secondo motivo di ricorso che contesta l’assenza di motivazione in relazione alla mancata sostituzione della pena detentiva breve nella pena sostitutiva della semilibertà e detenzione domiciliare è inammissibile per carenza di interesse in quanto la pena complessivamente inflitta non consente la sostituzione, invero l’art. 53 I. 689/1981 stabilisce che “il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, quando ritiene di dover determinare la durata della pena detentiva entro il limite di quattro anni, può sostituire tale pena con quella della semilibertà o della detenzione domiciliare”;
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2024
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