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Ricorso inammissibile: reiterazione dei motivi d’appello

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile in materia di stupefacenti. La decisione si fonda su due principi: la non ammissibilità della mera riproposizione dei motivi d’appello e la carenza di interesse ad agire quando la richiesta non è supportata dalla legge, come nel caso della sostituzione della pena detentiva. L’ordinanza conferma che la qualificazione di ‘lieve entità’ del reato va esclusa in presenza di quantitativi non irrilevanti.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando Ripetere i Motivi d’Appello è Controproducente

Un ricorso inammissibile è l’esito che ogni avvocato teme e che ogni assistito spera di evitare. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di come la semplice riproposizione dei motivi già discussi in appello possa condurre a questa conclusione, chiudendo di fatto le porte a una revisione del giudizio. Analizziamo insieme il caso e le sue importanti implicazioni pratiche per la strategia difensiva.

Il Contesto del Ricorso

Il caso trae origine da una condanna emessa dalla Corte d’Appello per reati legati agli stupefacenti. L’imputato, non soddisfatto della decisione, ha proposto ricorso per Cassazione, affidandolo a due distinti motivi. Il primo mirava a ottenere una riqualificazione del reato nell’ipotesi più lieve, mentre il secondo lamentava la mancata sostituzione della pena detentiva con misure alternative. Entrambi, come vedremo, si sono scontrati con i rigidi paletti di ammissibilità del giudizio di legittimità.

I Motivi del Ricorso e la Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato separatamente i due motivi, giungendo per entrambi a una declaratoria di inammissibilità, seppur per ragioni diverse.

Primo Motivo: La Qualificazione del Reato e il ricorso inammissibile

L’imputato sosteneva che i giudici di merito avessero errato nel non qualificare il fatto come di ‘lieve entità’ ai sensi dell’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti. La Cassazione ha ritenuto questo motivo non deducibile, etichettandolo come una ‘pedissequa reiterazione’ delle argomentazioni già presentate in appello. La Corte ha sottolineato che il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito, ma un controllo sulla legittimità della decisione impugnata. Pertanto, non basta ripetere le stesse doglianze, ma è necessario formulare una critica argomentata e specifica contro le ragioni esposte nella sentenza d’appello. In questo caso, i giudici di secondo grado avevano già spiegato, con motivazione logica, perché l’ampio contesto e la quantità non irrilevante di stupefacente escludevano l’ipotesi della lieve entità.

Secondo Motivo: La Mancata Sostituzione della Pena

Il secondo motivo di doglianza riguardava la presunta assenza di motivazione sulla mancata sostituzione della pena detentiva breve con misure come la semilibertà o la detenzione domiciliare. Anche su questo punto, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, questa volta per ‘carenza di interesse’. La legge, infatti, consente tale sostituzione solo per pene detentive entro il limite massimo di quattro anni. Poiché la pena inflitta all’imputato era superiore, la sostituzione era giuridicamente impossibile. Di conseguenza, l’imputato non aveva alcun interesse giuridicamente apprezzabile a contestare la motivazione su un punto che, in ogni caso, non avrebbe potuto trovare accoglimento.

Le Motivazioni della Corte

La decisione della Cassazione si fonda su due pilastri fondamentali del processo penale. In primo luogo, il principio di specificità dei motivi di ricorso: non è sufficiente lamentare un errore, ma occorre indicare con precisione in cosa consista la violazione di legge o il vizio di motivazione della sentenza impugnata. Riproporre le stesse argomentazioni del grado precedente equivale a non svolgere questa funzione critica, rendendo il motivo solo apparente e quindi inammissibile.
In secondo luogo, il principio dell’interesse ad agire. Un’impugnazione è ammissibile solo se il suo potenziale accoglimento può portare un concreto vantaggio al ricorrente. Se la richiesta è, in partenza, legalmente infondata (come la sostituzione di una pena superiore ai limiti di legge), discutere sulla motivazione diventa un esercizio sterile, privo di interesse giuridico e, pertanto, inammissibile.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per la pratica forense. Dimostra che il successo di un ricorso in Cassazione dipende non solo dalla fondatezza delle proprie ragioni, ma anche e soprattutto dalla capacità di presentarle in modo tecnicamente corretto. Evitare la mera ripetizione dei motivi d’appello e verificare attentamente la sussistenza di un interesse concreto sono passaggi cruciali per superare il vaglio di ammissibilità. La Corte Suprema ribadisce il suo ruolo di giudice della legittimità, non dei fatti, e sanziona con l’inammissibilità e la condanna alle spese (in questo caso, 3.000 euro alla Cassa delle ammende) i ricorsi che non rispettano queste regole fondamentali.

Perché il primo motivo di ricorso è stato dichiarato inammissibile?
È stato ritenuto una ‘pedissequa reiterazione’, ovvero una semplice ripetizione dei motivi già presentati e respinti in appello, senza una critica specifica e argomentata contro la motivazione della sentenza impugnata.

Cosa significa che un motivo di ricorso è inammissibile per ‘carenza di interesse’?
Significa che, anche se il motivo venisse accolto, il ricorrente non ne otterrebbe alcun vantaggio pratico o giuridico. Nel caso specifico, la legge non permetteva la sostituzione della pena richiesta, rendendo inutile qualsiasi discussione sulla motivazione del diniego.

Quando un reato connesso a stupefacenti non può essere qualificato di ‘lieve entità’?
Secondo la valutazione dei giudici di merito, confermata dalla Cassazione, il reato non può essere considerato di lieve entità quando il contesto generale e la quantità di sostanza stupefacente coinvolta sono giudicati ‘non irrilevanti’.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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