Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13868 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13868 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/03/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a COGNOME il 12/09/1955 avverso la sentenza del 11/07/2024 della Corte d’appello di Reggio calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso riportandosi alla memoria depositata e chiedendo sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso; l’Avvocato NOME COGNOME in difesa di COGNOME NOME dopo dibattimento si riporta ai motivi di ricorso per l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME per il tramite dei propri procuratori speciali NOME COGNOME e NOME COGNOME con due separati ricorsi, impugna la sentenza in data 11/07/2024 della Corte di appello di Reggio Calabria che, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero e in riforma della sentenza in data 28/10/2014 del Tribunale di Palmi, lo ha condannato per il reato di ricettazione.
I ricorsi presentati separatamente dall’Avvocato COGNOME e dall’Avvocato COGNOME sono sovrapponibili, così che possono essere esaminati congiuntamente.
Si deduce:
1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 157 e 648 cod. pen..
Con il primo motivo d’impugnazione si sostiene che la corte di appello ha erroneamente ritenuto che non fosse maturata la prescrizione, facendo leva sulla contestazione della recidiva reiterata, specifica e infra-quinquennale.
Secondo i ricorrenti occorre considerare che il reato Ł stato commesso il 28/05/2007 e che l’ultimo atto interruttivo coincideva con la sentenza di primo grado, pronunciata il 28/10/2014, così che -pur applicando la normativa piø sfavorevole- il reato doveva considerarsi prescritto alla data del
28/05/2022, mentre la sentenza impugnata Ł stata pronunciata in data 11/07/2024.
Aggiunge che la normativa sulla prescrizione ha natura sostanziale, così che va applicata la norma piø favorevole al reo, ai sensi dell’art. 2 cod. pen., in assenza di rinuncia alla stessa.
1.2. Viene, quindi, sviluppato un secondo profilo, mirato al contenuto della sentenza, al cui riguardo si deduce l’omissione della motivazione e il travisamento, a cagione della frammentazione della valutazione dei plurimi elementi a discarico evidenziati dalla difesa.
Secondo i ricorrenti, la corte di appello ha sovvertito la sentenza assolutoria senza superare il ragionevole dubbio ritenuto dal giudice di primo grado, con particolare riferimento all’apparenza dell’autenticità dell’assegno e alla sussistenza dell’elemento psicologico.
A sostegno dell’assunto si denuncia l’inidoneità probatoria degli elementi ritenuti a carico dell’imputato, quali i tratti calligrafici e i differenti inchiostri, a fronte dei rapporti di lavoro intercorsi tra Fossari e Mangeruga. Parimenti ininfluenti sarebbero l’eccedenza della somma portata dall’assegno rispetto al valore del bene restituito, mancando la consapevolezza della provenienza illecita del titolo. Si evidenzia, infine, l’irrilevanza, sotto il profilo dell’elemento psicologico, della mancata apposizione della firma di girata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ø inammissibile perchØ aspecifico, perchØ manifestamente infondato e perchØ propone questioni non scrutinabili in sede di legittimità.
1.1. Il profilo di aspecificità attiene alla dedotta applicazione dell’art. 2 cod. pen., al cui riguardo i ricorrenti non spiegano quali sarebbero le norme piø favorevoli al caso concreto che si sarebbero succedute tra la data di commissione dei fatti (28/05/2007) e la pronuncia della sentenza di appello (11/07/2024), ove si consideri che la riforma della disciplina della prescrizione introdotta dalla c.d. legge Cirielli Ł entrata in vigore in data 08/12/2005, così che non si può argomentare circa l’astratta applicabilità della normativa antecedente, rispetto a un fatto commesso dopo la sua entrata in vigore e, perciò, ricadente in pieno sotto la sua egida.
1.2. La manifesta infondatezza attiene al calcolo della prescrizione, visto che esso viene effettuato trascurando di considerare il prolungamento del tempo necessario alla maturazione della fattispecie estintiva, dovuto alla contestazione della recidiva di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen., ritenuta sussistente e applicata dalla corte di appello.
Infatti, in presenza di una recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale, a norma dell”art. 99, comma quarto, cod. pen., il massimo edittale stabilito per la ricettazione (otto anni di reclusione) va aumentato di due terzi, così pervenendosi alla pena edittale massima di dodici anni di reclusione, cui occorre fare riferimento ai sensi dell’art. 157 cod. pen..
Inoltre, l’art. 161, comma secondo, cod. pen., sempre in presenza della recidiva in questione, stabilisce che gli atti interruttivi comportano un aumento di due terzi del tempo necessario alla prescrizione.
Tanto importa che, in presenza di atti interruttivi (e al netto di cause di sospensione), il tempo necessario per la maturazione della prescrizione del reato di ricettazione Ł pari a venti anni che, nel caso in esame, andranno a scadere in data 08/05/2027, al netto delle eventuali cause di sospensione.
Da ciò la manifesta infondatezza del motivo.
1.3. Per quanto riguarda, infine, le doglianze esposte in punto di affermazione della responsabilità, sarebbe sufficiente osservare come esse siano prive d’intitolazione, la qual cosa le rende di per sØ inammissibili, non essendo compito del giudice di legittimità quello di estrapolare
dalla narrativa il vizio lamentato e la sua collocabilità fra quelli scrutinabili in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 606, comma 1, cod. proc. pen..
1.3.1. Pur lasciando in disparte tale preliminare e assorbente rilievo, non può che osservarsi come la sentenza impugnata venga censurata, sulla base di una lettura delle emergenze istruttorie alternativa a quella ritenuta dalla corte di appello; una lettura che si concretizza nella svalutazione degli elementi ritenuti a carico dell’imputato e dalla enfatizzazione di taluni elementi che si ritengono a discarico dello stesso.
Da ciò l’ulteriore ragione di inammissibilità, atteso che le questioni dedotte si risolvono in una valutazione delle risultanze processuali alternativa a quella ritenuta dai giudici di merito e, in quanto tale, non sono scrutinabili in sede di legittimità, atteso che il compito demandato dal legislatore alla Corte di cassazione -per quanto qui d’interesse- non Ł quello di stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti ovvero quello di condividerne la giustificazione. Il compito del giudice di legittimità Ł quello di verificare la conformità della sentenza impugnata alla legge sostanziale e a quella processuale, cui si aggiunge il controllo sulla motivazione che, però, Ł restrittivamente limitato alle ipotesi tassative della carenza, della manifesta illogicità e della contraddittorietà. Con l’ulteriore precisazione che la carenza va identificata con la mancanza della motivazione per difetto grafico o per la sua apparenza; che l’illogicità deve essere manifesta -ossia individuabile con immediatezza- e sostanzialmente identificabile nella violazione delle massime di esperienza o delle leggi scientifiche, così configurandosi quando la motivazione sia disancorata da criteri oggettivi di valutazione, e trascenda in valutazioni soggettive e congetturali, insuscettibili di verifica empirica; la contraddittorietà si configura quando la motivazione si mostri in contrasto -in termini di inconciliabilità assoluta- con atti processuali specificamente indicati dalla parte e che rispetto alla struttura argomentativa abbiano natura portante, tale che dalla loro eliminazione deriva l’implosione della struttura argomentativa impugnata.
1.3.2. Nulla di tutto ciò si rinviene nel motivo in esame, visto che la Corte di appello ha fatto ricorso a una motivazione adeguata, logica e non contraddittoria, fondata sulle dichiarazioni testimoniali rese dalla persona offesa, del riconoscimento personale effettuato in udienza, della testimonianza di COGNOME, dell’esame dell’assegno oggetto materiale del reato, oltre che sulla valutazione delle dichiarazioni rese dallo stesso imputato.
1.3.3. Inoltre, deve ricordarsi che, a fronte di una motivazione logica e non contraddittoria, va ricordato che la regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio” rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva -assente nel caso di specie- della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, COGNOME Rv. 270108 – 01; Sez. 4, n. 2132 del 12/01/2021, Maggio, Rv. 280245 – 01).
Da qui l’inammissibilità anche dell’eccepita violazione del principio di ragionevole dubbio.
Quanto esposto porta alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma, equitativamente liquidata, di euro mille, in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella proposizione del ricorso.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/03/2025.
Il Presidente NOME COGNOME