Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione Conferma la Condanna per Droga e Recidiva
L’ordinanza in esame offre un chiaro esempio di come la Corte di Cassazione gestisce un ricorso inammissibile, specialmente in contesti di reati legati agli stupefacenti aggravati da recidiva. La decisione sottolinea l’importanza di presentare motivi di ricorso che non siano una semplice riproposizione delle argomentazioni già valutate e respinte nei gradi di giudizio precedenti. Analizziamo insieme i dettagli del caso e le ragioni che hanno portato alla conferma della condanna.
I Fatti del Processo
Il percorso giudiziario ha inizio con una condanna emessa dal Tribunale di Prato nel 2022. L’imputato viene riconosciuto colpevole del reato di traffico di sostanze stupefacenti, previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990, e condannato a una pena di due anni, otto mesi e venti giorni di reclusione, oltre a una multa di 23.000 euro e al pagamento delle spese processuali.
La sentenza viene successivamente confermata nel 2024 dalla Corte di Appello di Firenze. Nonostante la conferma, l’imputato, tramite il suo difensore, decide di presentare ricorso alla Corte di Cassazione, sperando in una riforma della decisione.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
Il ricorso si fondava su tre principali censure:
1. Violazione di legge sull’aggravante della recidiva: Si contestava la conferma dell’aggravante della recidiva specifica infraquinquennale (art. 99 c.p.), sostenendo che non fosse stata applicata correttamente.
2. Vizio di motivazione sulla pena: Si lamentava che la Corte d’Appello non avesse motivato in modo adeguato l’entità della pena inflitta.
3. Vizio di motivazione sull’espulsione: Si criticava la decisione di disporre l’espulsione dell’imputato dal territorio nazionale a pena espiata, come previsto dall’art. 86 del d.P.R. 309/1990.
Le Motivazioni della Cassazione sul Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, senza entrare nel merito delle questioni sollevate. La ragione fondamentale risiede nel fatto che i motivi proposti non erano idonei per un giudizio di legittimità. Essi, infatti, si limitavano a reiterare le stesse critiche già espresse nell’atto d’appello, senza confrontarsi criticamente con la motivazione logica e congrua fornita dalla Corte territoriale.
In altre parole, l’imputato non ha evidenziato vizi di legge o di logica nella sentenza d’appello, ma ha semplicemente ripresentato le sue doglianze, che erano già state esaminate e respinte.
Analisi sulla Recidiva e la Pericolosità Sociale
Pur dichiarando l’inammissibilità, la Cassazione ha implicitamente confermato la correttezza del ragionamento della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva giustificato adeguatamente sia il trattamento sanzionatorio che la misura dell’espulsione.
– Sulla recidiva: La Corte d’Appello aveva sottolineato come l’imputato, già condannato per reati simili nel 2014, avesse commesso nuovi reati di traffico di stupefacenti nel 2017 e nel 2018. Questo comportamento dimostrava una chiara “mancanza di resipiscenza”, ovvero l’incapacità di ravvedersi, giustificando pienamente il riconoscimento dell’aggravante.
– Sull’espulsione: La misura espulsiva era stata motivata sulla base della “spiccata pericolosità sociale” del soggetto. Tale pericolosità era desumibile dal suo modus vivendi e dall’assenza di un’attività lavorativa lecita. Questi elementi indicavano che lo spaccio era la sua unica fonte di sostentamento, un fattore che la legge considera rilevante per disporre l’allontanamento dal territorio nazionale.
Conclusioni: Le Implicazioni della Decisione
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del processo penale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono riesaminare i fatti. Per ottenere un esame nel merito, è necessario formulare censure specifiche contro la sentenza impugnata, evidenziandone i vizi logici o le violazioni di legge. Una mera riproposizione dei motivi d’appello conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità.
Inoltre, il caso conferma come la valutazione della personalità dell’imputato, la sua storia criminale e la sua condotta di vita siano elementi centrali per determinare non solo la pena, ma anche l’applicazione di misure accessorie come l’espulsione, soprattutto in materia di stupefacenti.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano una semplice reiterazione delle critiche già sollevate e respinte nel giudizio d’appello, senza confrontarsi adeguatamente con la motivazione logica e congrua della Corte territoriale.
Come è stata giustificata l’aggravante della recidiva?
La Corte ha ritenuto giustificata l’aggravante della recidiva poiché l’imputato, già condannato per traffico di stupefacenti nel 2014, aveva commesso reati analoghi nel 2017 e nel 2018, dimostrando una chiara mancanza di ravvedimento.
Quali elementi sono stati decisivi per ordinare l’espulsione dal territorio nazionale?
L’ordine di espulsione è stato basato sulla spiccata pericolosità sociale dell’imputato, desunta dal suo stile di vita (modus vivendi) e dall’assenza di un’attività lavorativa lecita, indicando che lo spaccio di droga era la sua unica fonte di sostentamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 25284 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 25284 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME (CUI CODICE_FISCALE) nato il 17/06/1987
avverso la sentenza del 04/10/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza del 4 ottobre 2024 la Corte di appello di Firenze ha confermato la pronuncia del Tribunale di Prato del 2 marzo 2022 con cui NOME COGNOME era stato condannato alla pena di anni due, mesi otto, giorni 20, di reclusione ed euro 23000,00 di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali, in ordine al reato di cui all’art.73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo tre motivi: violazione di legge con riferimento all’art.99 cod. pen., per la conferma dell’applicazione della contestata aggravante della recidiva specifica infraquinquennale; vizio di motivazione in relazione alla pena inflitta; vizio di motivazione rispetto all’art.86 d.P.R. 309/1990 con riferimento alla disposta espulsione dell’imputato dal territorio nazionale a pena espiata.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto per motivi non consentiti in sede di legittimità, poiché essi, lungi dal confrontarsi con la congrua e logica motivazione resa dalla Corte territoriale in ordine alle ragioni di riconoscimento della penale responsabilità dell’imputato, di fatto reiterano le medesime considerazioni critiche espresse nell’atto d’appello e vagliate dalla Corte territoriale.
I motivi prospettati risultano non consentiti anche rispetto al trattamento punitivo, in quanto sorretto da sufficiente e non illogica motivazione, e da un adeguato esame delle deduzioni difensive. La Corte di appello di Firenze, invero, ha ragionevolmente indicato che la pena comminata risulta congrua guardando alla personalità dell’imputato: rispetto alla recidiva specifica infraquinquennale, invero, la Corte ha sottolineato che l’appellante, pur risultando già condannato nel 2014 per traffico illecito di sostanze stupefacenti, ha dimostrato una mancanza di resipiscenza commettendo analogo reato nel 2017 e nel 2018 (pag. 3 della sent. impugnata); ancora, con riguardo la disposta espulsione, la Corte ha valorizzato la spiccata pericolosità sociale del soggetto desumibile dal suo modus vivendi e l’assenza di un’attività lavorativa lecita, indice che l’attività di spaccio sia l’uni modalità sostentamento (pag. 5 della sent. impugnata).
All’inammissibilità del ricorso per questi motivi segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro
3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero
(Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa de
ammende.
Così è deciso il 10 giugno 2025.
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