Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 869 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 869 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato il 26/02/1979
avverso la sentenza del 26/02/2024 della Corte d’appello di Firenze
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME
considerato che il primo motivo di ricorso, con cui si richiede l’applicazione della circostanza attenuante della lieve entità del fatto con riferimento al reato ex art. 628, secondo comma, cod. pen., ascritto all’odierno ricorrente, in base all’intervenuta pronuncia n. 86 del 2024 della Corte costituzionale, è manifestamente infondato, poiché nel caso di specie, alla luce di quanto ricostruito e accertato dai giudici di merito, appare ictu ()cui/ come non possa ravvisarsi la lieve entità nel contegno posto in essere dal ricorrente, in particolare, a fronte sia del significativo valore (oltre duemila euro) di quanto era stato da lui sottratto, si delle lesioni da lui cagionate a una delle persone offese;
che, inoltre, più precisamente deve sottolinearsi come il ricorrente, nella rubrica del suddetto motivo di ricorso, ha fatto riferimento alla causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., non oggetto della già menzionata sentenza della Corte costituzionale, e in ogni caso non applicabile al reato de quo, poiché trattasi di reato la cui cornice edittale non rientra nei limiti edittali prev
dall’art. 131-bis cod. pen. ai fini della sua operatività, neppure nella sua nuova formulazione a seguito dell’intervento del d.lgs. del 10 ottobre 2022, n. 150;
ritenuto che il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di rapina impropria consumata e alla mancata riqualificazione del fatto nella fattispecie della tentata rapina impropria o in quella del tentato furto in concorso con il reato di lesioni, non risulta connotato dai requisiti richiesti, a pena di inammissibilità de ricorso, dall’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., poiché fondato su profili di censura che si risolvono nella reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, facendo corretta applicazione di principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità (si vedano, in particolare, pagg. 4 e 5 dell’impugnata sentenza), dovendosi gli stessi considerare non caratterizzati da un effettivo confronto con le ragioni poste a base della ritenuta integrazione, da parte del ricorrente, del delitto lui attribuito, e, dunque, no specifici ma soltanto apparenti, omettendo di assolvere la tipica funzione di una concreta critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che, inoltre, pur lamentando un vizio di travisamento della prova nella rubrica del suddetto motivo, il ricorrente in realtà si è limitato a esplicare argomentazioni a sostegno della richiesta derubricazione del delitto di rapina lui attribuito, nei termini sopra specificati, non indicando, come invece è necessario ai fini della deducibilità di tale vizio, con puntualità e pertinenza censoria, l’oggetto chiaro e definito di tale travisamento in cui sarebbero incorsi i giudici di merito, in modo da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola risultanza processuale e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto;
osservato che il terzo motivo di ricorso, con cui si evocano presunti difetti motivazionali in ordine all’affermazione della responsabilità per il reato di lesioni aggravate ascritto all’odierno ricorrente, senza precisare, se non in termini del tutto vaghi, quali sarebbero effettivamente le doglianze avanzate con i motivi d’appello trascurate dalla Corte territoriale, e censurando invero null’altro che una decisione errata, in quanto fondata su una valutazione sbagliata del materiale probatorio, prospettando così una differente lettura e un diverso giudizio di rilevanza e attendibilità delle fonti di prova (in particolare, delle dichiarazio testimoniali), che esulano invece dal sindacato di questa Corte, concernendo il controllo di legittimità il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione, atteso che l’apprezzamento delle risultanze processuali è riservato al giudice di merito, il quale, nel caso di specie, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, disattendendo le doglianze prospettate con l’atto di appello, ha adeguatamente esplicato le ragioni di fatto e di diritto poste a base del suo
convincimento in ordine alla piena integrazione del reato de quo ad opera del ricorrente (si vedano, in particolare, le pagg. 3 e 4 dell’impugnata sentenza);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ìn favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2024.