Ricorso Inammissibile: Quando la Querela Fa la Differenza
Nel complesso mondo della giustizia penale, i dettagli procedurali possono determinare l’esito di un intero processo. Un recente caso esaminato dalla Corte di Cassazione offre un chiaro esempio di come la corretta qualificazione di un atto, in questo caso una querela, possa rendere un ricorso inammissibile e confermare una condanna. L’ordinanza in esame chiarisce un punto fondamentale riguardante le condizioni di procedibilità a seguito delle recenti riforme legislative, sottolineando le conseguenze per chi presenta un’impugnazione palesemente infondata.
I Fatti del Caso
Una persona era stata condannata in secondo grado dalla Corte di Appello per il reato di tentato furto aggravato. La Corte territoriale, pur riformando parzialmente la decisione di primo grado, aveva confermato la responsabilità penale dell’imputata, seppur con una pena più mite. Contro questa sentenza, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, basando la sua argomentazione su un unico motivo: il difetto della condizione di procedibilità. Secondo la tesi difensiva, a seguito della cosiddetta Riforma Cartabia (D.Lgs. n. 150/2022), per quel tipo di reato sarebbe stata necessaria una querela che, a suo dire, non era mai stata presentata.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha rigettato completamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una constatazione fattuale e giuridica molto chiara: l’atto presentato dalla persona offesa non era una semplice denuncia, ma una vera e propria querela. I giudici hanno sottolineato come dal verbale di ricezione della querela orale risultasse in modo inequivocabile la volontà della vittima di ottenere la punizione dei responsabili. Questa manifestazione di volontà è l’elemento che qualifica l’atto come querela, soddisfacendo pienamente la condizione di procedibilità richiesta dalla legge.
L’analisi del ricorso inammissibile e le sue conseguenze
La Corte non si è limitata a dichiarare l’inammissibilità. Ha anche evidenziato la colpa dell’imputata nel proporre un’impugnazione basata su un presupposto errato e facilmente verificabile. Questa ‘colpa nell’impugnazione’ ha portato alla condanna della ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Corte sono concise ma estremamente nette. Il punto centrale è la distinzione tra l’atto di ‘denuncia’ e quello di ‘querela’. Mentre la denuncia è una mera segnalazione di un fatto-reato, la querela contiene un elemento aggiuntivo e fondamentale: la richiesta esplicita che si proceda penalmente per punire il colpevole.
Differenza tra Denuncia e Querela: Il Punto Cruciale
Nel caso specifico, la difesa ha tentato di far leva su un cavillo procedurale introdotto da una nuova legge, sostenendo che mancasse l’atto necessario per procedere. Tuttavia, la Corte ha smontato questa tesi andando al cuore dell’atto originario. Esaminando il verbale del 2016, è emerso che la persona offesa aveva ‘chiesto espressamente la punizione dei responsabili del fatto’. Questa frase è stata considerata sufficiente per qualificare l’atto come querela, rendendo il motivo di ricorso manifestamente infondato.
La Colpa Grave nell’Impugnazione e le Conseguenze
La condanna al pagamento della somma in favore della Cassa delle ammende non è una sanzione automatica. Essa viene irrogata quando il ricorso non è solo infondato, ma ‘manifestamente’ tale, al punto da rivelare una negligenza o una colpa grave nel proporlo. In questo caso, secondo la Corte, l’errore della difesa era così evidente da integrare i profili di colpa che giustificano tale sanzione economica, come stabilito da consolidata giurisprudenza costituzionale e di legittimità.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: le impugnazioni non possono basarsi su interpretazioni pretestuose o su una lettura superficiale degli atti processuali. La distinzione tra denuncia e querela, e soprattutto l’accertamento della volontà punitiva della vittima, rimane un elemento cruciale per la procedibilità di molti reati. La decisione serve da monito: un ricorso inammissibile perché palesemente infondato non solo non porta ad alcun risultato utile per l’imputato, ma comporta anche significative conseguenze economiche, aggravando la sua posizione.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo presentato, ovvero la presunta mancanza della condizione di procedibilità, è stato ritenuto manifestamente infondato. La Corte ha verificato che la persona offesa aveva sporto una valida querela, chiedendo espressamente la punizione dei colpevoli.
Qual è la differenza fondamentale tra denuncia e querela evidenziata in questa ordinanza?
La differenza cruciale è la manifestazione di volontà. Mentre la denuncia è una semplice notizia di reato, la querela contiene la richiesta esplicita della persona offesa di procedere penalmente per punire il responsabile. In questo caso, tale richiesta era presente e ha reso l’azione penale procedibile.
Quali sono le conseguenze economiche per chi presenta un ricorso inammissibile con colpa?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile e si ravvisa una colpa nella sua presentazione (perché manifestamente infondato), la legge prevede la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4681 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4681 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/02/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Catania che, in riforma della prima decisione, ne ha affermato la responsabilità per il del di tentato furto aggravato (artt. 56, 624, 625, comma 1, n. 2, cod. pen.) e ha rideterminato in mitius il trattamento sanzionatorio;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con il quale è stato dedotto il difetto della condi di procedibilità prescritta a seguito della novella ex decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, è manifestamente infondato in quanto – contrariamente a quanto assunto dalla difesa – la persona offesa non ha sporto denuncia bensì querela (chiedendo espressamente la punizione dei responsabili del fatto: cfr. verbale di ricezione di querela orale del 25 giugno 2016);
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna dell ricorrente ex art. 616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuali nonché ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr. C cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 – 01 al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 gennaio 2024
Il Consigliere estensore
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Il Presidente