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Ricorso inammissibile: querela e procedibilità

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile avverso una condanna per tentato furto aggravato. L’imputata sosteneva mancasse la condizione di procedibilità per via di una recente riforma, ma la Corte ha chiarito che la vittima aveva sporto una valida querela, manifestando la volontà di punire il colpevole, e non una semplice denuncia. Di conseguenza, il ricorso è stato giudicato manifestamente infondato, con condanna dell’imputata al pagamento delle spese e di un’ammenda.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Querela Fa la Differenza

Nel complesso mondo della giustizia penale, i dettagli procedurali possono determinare l’esito di un intero processo. Un recente caso esaminato dalla Corte di Cassazione offre un chiaro esempio di come la corretta qualificazione di un atto, in questo caso una querela, possa rendere un ricorso inammissibile e confermare una condanna. L’ordinanza in esame chiarisce un punto fondamentale riguardante le condizioni di procedibilità a seguito delle recenti riforme legislative, sottolineando le conseguenze per chi presenta un’impugnazione palesemente infondata.

I Fatti del Caso

Una persona era stata condannata in secondo grado dalla Corte di Appello per il reato di tentato furto aggravato. La Corte territoriale, pur riformando parzialmente la decisione di primo grado, aveva confermato la responsabilità penale dell’imputata, seppur con una pena più mite. Contro questa sentenza, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, basando la sua argomentazione su un unico motivo: il difetto della condizione di procedibilità. Secondo la tesi difensiva, a seguito della cosiddetta Riforma Cartabia (D.Lgs. n. 150/2022), per quel tipo di reato sarebbe stata necessaria una querela che, a suo dire, non era mai stata presentata.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato completamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una constatazione fattuale e giuridica molto chiara: l’atto presentato dalla persona offesa non era una semplice denuncia, ma una vera e propria querela. I giudici hanno sottolineato come dal verbale di ricezione della querela orale risultasse in modo inequivocabile la volontà della vittima di ottenere la punizione dei responsabili. Questa manifestazione di volontà è l’elemento che qualifica l’atto come querela, soddisfacendo pienamente la condizione di procedibilità richiesta dalla legge.

L’analisi del ricorso inammissibile e le sue conseguenze

La Corte non si è limitata a dichiarare l’inammissibilità. Ha anche evidenziato la colpa dell’imputata nel proporre un’impugnazione basata su un presupposto errato e facilmente verificabile. Questa ‘colpa nell’impugnazione’ ha portato alla condanna della ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte sono concise ma estremamente nette. Il punto centrale è la distinzione tra l’atto di ‘denuncia’ e quello di ‘querela’. Mentre la denuncia è una mera segnalazione di un fatto-reato, la querela contiene un elemento aggiuntivo e fondamentale: la richiesta esplicita che si proceda penalmente per punire il colpevole.

Differenza tra Denuncia e Querela: Il Punto Cruciale

Nel caso specifico, la difesa ha tentato di far leva su un cavillo procedurale introdotto da una nuova legge, sostenendo che mancasse l’atto necessario per procedere. Tuttavia, la Corte ha smontato questa tesi andando al cuore dell’atto originario. Esaminando il verbale del 2016, è emerso che la persona offesa aveva ‘chiesto espressamente la punizione dei responsabili del fatto’. Questa frase è stata considerata sufficiente per qualificare l’atto come querela, rendendo il motivo di ricorso manifestamente infondato.

La Colpa Grave nell’Impugnazione e le Conseguenze

La condanna al pagamento della somma in favore della Cassa delle ammende non è una sanzione automatica. Essa viene irrogata quando il ricorso non è solo infondato, ma ‘manifestamente’ tale, al punto da rivelare una negligenza o una colpa grave nel proporlo. In questo caso, secondo la Corte, l’errore della difesa era così evidente da integrare i profili di colpa che giustificano tale sanzione economica, come stabilito da consolidata giurisprudenza costituzionale e di legittimità.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: le impugnazioni non possono basarsi su interpretazioni pretestuose o su una lettura superficiale degli atti processuali. La distinzione tra denuncia e querela, e soprattutto l’accertamento della volontà punitiva della vittima, rimane un elemento cruciale per la procedibilità di molti reati. La decisione serve da monito: un ricorso inammissibile perché palesemente infondato non solo non porta ad alcun risultato utile per l’imputato, ma comporta anche significative conseguenze economiche, aggravando la sua posizione.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo presentato, ovvero la presunta mancanza della condizione di procedibilità, è stato ritenuto manifestamente infondato. La Corte ha verificato che la persona offesa aveva sporto una valida querela, chiedendo espressamente la punizione dei colpevoli.

Qual è la differenza fondamentale tra denuncia e querela evidenziata in questa ordinanza?
La differenza cruciale è la manifestazione di volontà. Mentre la denuncia è una semplice notizia di reato, la querela contiene la richiesta esplicita della persona offesa di procedere penalmente per punire il responsabile. In questo caso, tale richiesta era presente e ha reso l’azione penale procedibile.

Quali sono le conseguenze economiche per chi presenta un ricorso inammissibile con colpa?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile e si ravvisa una colpa nella sua presentazione (perché manifestamente infondato), la legge prevede la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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