Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18614 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18614 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/04/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 15/02/1984 in TUNISIA avverso la sentenza in data 07/10/2024 della CORTE DI APPELLO DI BOLO-
GNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’ annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché il reato è estinto per difetto di querela;
letta la nota dell’Avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 07/10/2024 della Corte di appello di Bologna che, in riforma della sentenza in data 12/09/2023 del Tribunale di Piacenza, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti, ha rideterminato la pena inflitta per il delitto di danneggiamento aggravato.
Deduce:
1.1. Violazione di legge sostanziale e processuale, per sopravvenuta improcedibilità del reato per difetto di querela.
Il ricorrente premette che il giudice di primo grado ha riqualificato il fatto contestato all’imputato, riconducendolo all’ipotesi prevista dal combinato disposto degli artt. 635, comma secondo, n. 1 e 625, comma primo, n. 7 cod. pen., così escludendo l’ipotesi originariamente contestata, siccome prevista dall’art. 635, comma secondo, n. 3 cod. pen..
Osserva, dunque, che l’art. 1, comma 1, lett. b) del decreto legislativo 19 marzo 2024, n. 31 (c.d. Riforma Cartabia), in vigore dal 04/04/2024, ha disposto la procedibilità a querela della persona offesa del reato di danneggiamento sulle cose previste dall’art. 625, comma primo, n. 7 cod. pen..
Precis a ulteriormente che la norma transitoria dell’art. 9 del medesimo decreto legislativo ha previsto che il nuovo regime di procedibilità si applica anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore.
Censura, dunque, la sentenza impugnata nella parte in cui non ha tenuto conto della sopravvenuta novella normativa e chiede che la sentenza impugnata sia annullata senza rinvio per difetto di querela.
1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 131 -bis cod. pen..
Il ricorrente si duole della mancata considerazione della memoria difensiva con cui si segnalava che l’imputato aveva provveduto a risarcire il danno provocato all’ Amministrazione penitenziaria. Aggiunge che la causa di esclusione della punibilità è stata negata con motivazione generica -nella parte in cui i giudici affermano che la condotta di NOME aveva intralciato la vita carceraria- e viziata dalla mancata valutazione della memoria difensiva -nella parte in cui i giudici affermano che la condotta di NOME ha comportato una spesa per l’amministrazione penitenziaria -.
Denuncia, quindi, il vizio di omessa motivazione in relazione alla memoria difensiva, con cui si documentava l’avvenuta riparazione del danno, con conseguente nullità della sentenza impugnata.
1.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla recidiva.
A tale proposito si osserva che la valutazione della sussistenza della recidiva non può fondarsi sulla mera ricognizione della sussistenza di precedenti penali, dovendosi spiegare le ragioni per cui il nuovo reato deve considerarsi indice di maggiore pericolosità.
Denuncia, quindi, il difetto di motivazione sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che l ‘odierno ricorrente è stato tratto a giudizio per avere danneggiato beni e suppellettili presenti nella cella dove si trovava detenuto presso la Casa Circondariale di Piacenza.
Sin dall’originario capo d’imputazione gli veniva contestata l’aggravante di cui all’art. 635, comma secondo, n. 1 cod. pen., in relazione all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., per aver commesso il fatto su oggetti esposti per necessità alla pubblica fede.
La circostanza aggravante così contestata è stata ritenuta sussistente dal tribunale, con le motivazioni esposte alle pagine 3 e 4 della sentenza di primo grado.
Ciò premesso, vanno preliminarmente esaminati il secondo e il terzo motivo d’impugnazione.
Entrambi sono inammissibili perché manifestamente infondati
Con essi il ricorrente denuncia il vizio di omessa motivazione sulla causa di esclusione della punibilità prevista da ll’art. 131 -bis cod. pen. e sulla recidiva ex art. 99, comma quarto, cod. pen..
Diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, la corte di appello ha affrontato entrambi i temi.
2.1. In relazione alla causa di esclusione della punibilità, la manifesta infondatezza dell’assunto emerge a mente di quanto già puntualizzato da questa Corte, che ha osservato che essa «non può essere applicata in caso di riconoscimento della recidiva reiterata specifica, elemento sintomatico della accentuata pericolosità sociale dell’imputato per l’elevato grado di colpevolezza che essa implica» (Sez. 5, n. 1489 del 19/10/2020, dep. 2021, Serra, Rv. 280250 -01).
A parte tale preliminare e assorbente rilievo, si vuole comunque precisare che i giudici, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, hanno escluso che il fatto fosse di particolare tenuità osservando che NOME aveva danneggiato beni quotidianamente necessari alla comunità carceraria, così intralciando il normale corso della vita carceraria e provocando un danno economico per l’Amministrazione penitenziaria, che aveva dovuto affrontare una spesa a causa della distruzione di molteplici e diversi beni.
Un tale argomentare dimostra come sia affatto recessiva la questione sollevata dalla difesa, ci rca l’asserita mancata valutazione della memoria difensiva con la quale si obiettava che NOME aveva risarcito i danni.
Obiezione, peraltro, dedotta in modo generico, in quanto non si specifica se vi sia stato un ristoro integrale del danno provocato all ‘Amministrazione penitenziaria, così risultando imperscrutabile la sua eventuale portata attenuatrice.
Peraltro, questa Corte, in ordine alla rilevanza delle condotte susseguenti al fatto delittuoso, ha avuto modo di puntualizzare che «ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, acquista rilievo, per effetto della novellazione dell’art. 131-bis cod. pen. ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. c), n. 1), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, anche la condotta dell’imputato successiva alla commissione del reato, che, tuttavia, non potrà, di per sé sola, rendere di particolare tenuità un’offesa che tale non era al momento del fatto, potendo essere valorizzata solo nell’ambito del giudizio complessivo sull’entità dell’offesa recata, da effettuarsi alla stregua dei parametri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen.» (Così, Sez. 3, n. 18029 del 04/04/2023, Hu, Rv. 284497 -01).
Tale valutazione complessiva è stata operata dalla corte di appello che, al suo esito, con motivazione adeguata, logica e non contraddittoria, ha ritenuto l’insussistenza dei requisiti richiesti per la causa di esclusione della punibilità che, per come già puntualizzato, risulta inconciliabile con la recidiva, contestata e ritenuta.
1.2. Proprio in relazione alla recidiva, la corte di appello ha spiegato che l’ultimo precedente risale a due anni prima di quello in giudizio e ha osservato che i precedenti penali gravanti sul ricorrente sono in materia di stupefacenti, immigrazione e lesioni, ossia per un reato connotato dalla violenza, così che un ulteriore reato violento -qual è il danneggiamento- dimostra un aggravamento della pericolosità di COGNOME, con conseguente sussistenza dell ‘aggravante .
La motivazione, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, è conforme ai principi della giurisprudenza di legittimità, secondo cui «la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’ arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice » (Sez. 2, n. 10988 del 07/12/2022, dep. 2023, Antignano, Rv. 284425 -01).
Dal che discende l’inammissibilità per manifesta infondatezza anche dell’ultimo motivo d’impugnazione e, con esso, del ricorso nella sua interezza.
L’inammissibilità del ricorso rende non scrutinabile la questione della procedibilità del reato, che il ricorrente avrebbe potuto sollevare davanti alla corte di appello, atteso che al momento della pronuncia della sentenza impugnata (07/10/2024) il diverso regime di procedibilità era già vigente, in quanto entrato in vigore sin dal 04/04/2024.
A tale conclusione si perviene applicando i principi enucleati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 40150 del 21/06/2018 (ric. COGNOME), dove è stato spiegato come l’inammissibilità del ricorso sia di ostacolo alla pronuncia di cause di
immediata declaratoria delle cause di proscioglimento e con le ragioni di improcedibilità, osservandosi, tra l’ altro che: « Una tradizione assolutamente coerente e lineare della giurisprudenza delle Sezioni Unite, utile a costruire una nuova dogmatica del rapporto tra presentazione di ricorso inammissibile e obbligo di immediata rilevazione delle cause di non punibilità, si è consolidata nella vigenza dell’attuale codice di rito, facendo leva sulla nuova ed istantanea modalità di presentazione del ricorso regolata dall’art. 581 cod. proc. pen., con la soppressione cioè dello iato possibile tra presentazione dell’atto e illustrazione dei motivi a sostegno. A partire da Sez. U, n. 21 del 11/11/1994, dep. 1995, COGNOME, Rv. 199903, per poi proseguire con Sez. U, n. 11493 del 26/06/1998, COGNOME, Rv. 211469, e Sez. U, n. 30 del 30 giugno 1999, Piepoli, Rv. 213981, nonché Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217266 e Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, COGNOME, Rv. 219531; concludendo da ultimo con Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, COGNOME, Rv. 231164 e Sez. U, n. 12602, 17/11/2015, COGNOME, Rv. 266818, la giurisprudenza di legittimità si è mossa nel solco di una ricostruzione della categoria della inammissibilità del ricorso – nell’ottica dei rapporti di questa con l’obbligo del giudice di rilevare in ogni stato e grado del processo le cause di non punibilità ai sensi dell’articolo 129 cod. proc. pen.- svincolata dallo schema delineato dall’articolo 648 cod. proc. pen.: uno schema, quest’ultimo, reputato idoneo soltanto a regolamentare il giudicato formale per dare avvio alla fase esecutiva. La giurisprudenza cui ci si richiama fa leva sulle norme che regolano le impugnazioni ed in particolare sugli artt. 581, 591, 606, comma 3, cod. proc. pen. -nei quali sono elencate le diverse tipologie di cause di inammissibilità, da considerarsi unitariamente- ritenendole capaci di supportare, tutte allo stesso modo, una pronuncia soltanto dichiarativa, con effetti esclusivamente processuali: quelle cause, in ragione della loro essenza che attiene sempre geneticamente all’atto, impediscono il passaggio alla fase successiva dell’impugnazione. La rigorosa tipizzazione delle modalità di ingresso nel giudizio di legittimità ha indotto a ritenere – nelle prime sentenze distinguendo fra le cause originarie e quelle sopravvenute di inammissibilità e poi progressivamente superando tale distinzione, fatta eccezione per la “rinuncia” che rimane da ascriversi alla seconda delle dette categorie ed è direttamente finalizzata alla formazione del giudicato formale- che la pronuncia di inammissibilità ha sempre natura dichiarativa ed è meramente ricognitiva della mancata instaurazione del giudizio di cassazione poiché rileva un vizio che affligge geneticamente l’atto. Tale constatazione si compendia nella rilevazione che la proposizione di un atto di impugnazione non consentito dà luogo alla formazione di un giudicato che attende di essere formalizzato con le modalità previste dall’articolo 648 cod. proc. pen. e, per distinguersi da questo, viene definito “sostanziale” ma che, ciò nondimeno, produce l’effetto di rendere giuridicamente indifferenti fatti processuali come l’integrazione di cause di non punibilità precedentemente non rilevate perché non dedotte oppure integrate successivamente al giudicato stesso. . E’, in definitiva, da escludersi che, in
presenza di ricorso inammissibile il procedimento sia “pendente”. . È anche da escludere che la sopravvenienza della procedibilità a querela e, ancor prima, la procedura finalizzata all’eventuale accertamento della improcedibilità per mancanza di querela a seguito dell’esito negativo della informativa data alla persona offesa, possano essere ritenute idonee ad operare come una ipotesi di abolitio criminis (e finalizzazione all’accertamento di abolitio criminis ), capace di prevalere sulla inammissibilità del ricorso».
La mancata corretta instaurazione del rapporto processuale, dunque, importa che non può essere verificata l’eventuale improcedibilità del reato per difetto di querela.
3.1. Va ulteriormente precisato che in relazione ai reati il cui regime di procedibilità sia mutato in forza della c.d. riforma Cartabia si registrano due orientamenti contrastanti.
Un primo orientamento (Rv. 285468 -01; Rv. 285467 -01; N. 2658 del 2023 Rv. 284155 – 01, N. 5223 del 2023 Rv. 284176 – 01, N. 11229 del 2023 Rv. 284542 – 01), sulla falsariga dei contenuti delle Sezioni Unite c.d. salatino, sopra riportata, afferma che nei giudizi pendenti in sede di legittimità, la sopravvenienza della procedibilità a querela per effetto dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, non opera quale ipotesi di “abolitio criminis”, capace di prevalere sull’inammissibilità del ricorso e di incidere sul cd. giudicato sostanziale.
Un secondo orientamento (Rv. 287031 -01; Rv. 286872 – 01) si discosta espressamente dai due precedenti, e afferma il principio opposto: «In tema di giudizio di legittimità, è ammissibile il ricorso che pone, con unico motivo, la questione della improcedibilità per difetto di querela di un reato per il quale tale forma di procedibilità sia stata introdotta successivamente alla sentenza impugnata. (Fattispecie in tema di reato di danneggiamento di cose esposte alla pubblica fede, divenuto procedibile ad iniziativa di parte per effetto dell’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31)».
I casi esaminati dai due orientamenti qui sinteticamente richiamati, però sono differenti rispetto a quello oggi in esame, in quanto si riferiscono entrambi all’ipotesi in cui la riforma sia entrata in vigore dopo la pronuncia della sentenza impugnata, così che il mutato regime di procedibilità non poteva essere dedotto e/o sollecitato alla corte di appello.
Nel caso oggi in esame, invece, -per come anticipatol’improcedibilità era già vigente al momento della pronuncia della sentenza impugnata, così che essa poteva essere fatta valere davanti alla corte di appello.
Va, dunque, ribadito che non è deducibile con ricorso per cassazione l’omessa motivazione del giudice di appello in ordine al mutato regime di procedibilità, ove la questione, già proponibile in quella sede, non sia stata prospettata in appello con i motivi aggiunti ovvero in sede di formulazione delle conclusioni.
Da quanto esposto discende la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16/04/2025