Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13116 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2   Num. 13116  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MUSILE DI PIAVE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/04/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito  il  Pubblico  Ministero,  in  persona  del  Sostituto  Procuratore  generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; Udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, la quale si è riportata ai motivi del ricorso, chiedendone l’accoglimento , facendo rilevare l’intervenuta prescrizione dei reati di cui ai capi nn. 1), 2), 3), 4), 13) e 14)
RITENUTO IN FATTO
 La  Corte  di  appello  di  Venezia,  con  sentenza  del  19  aprile  2024, confermava  la sentenza  di primo grado  che aveva  ritenuto COGNOME  NOME responsabile dei reati di truffa aggravata (art.640 co.2 n.2bis in relazione all’art. 61 n.5 cod. pen.) di cui ai capi 1), 3), 7), 11), 13) e di truffa di cui ai capi 2), 4), 14),  15)  e  16)  (si  trattava  di  forniture  e  posa  in  opera  di  box  doccia  con
versamento  di  acconti  da  parte  delle  persone  offese  e  lavori  mai  completati); avverso la sentenza ricorre per cassazione il difensore di COGNOME, eccependo:
1.1 tardività della querela per quanto riguardava i capi 2), 4), 14) e 16), circostanza che non era stata rilevata d’ufficio dalla Corte di appello, con conseguente carenza di motivazione; in merito alla contestazione, per gli altri capi di imputazione, dell’aggravante di cui all’art. 640 comma 2 n .2bis cod. pen., il difensore osserva che era stato considerato il mero dato dell’età della persona offesa, senza un vaglio o documentazione comprovante la compromissione della capacità della stessa; la disapplicazione della contestata aggravante avrebbe avuto come conseguenza la tardività delle querele per i reati di cui ai capi 1), 3) 7) e 11);
1.2 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia, con ben due ordinanze aveva ritenuto che la vicenda avesse carattere unicamente civilistico; ciò anche tenuto conto della circostanza che la RAGIONE_SOCIALE era stata travolta da difficoltà economiche, con conseguente impossibilità di portare a termine gli impegni lavorativi presi, situazione che aveva trovato conferma nelle dichiarazioni dei testi; il difensore osserva che la Corte di appello, ritenendo superflua l’audizione d el commercialista di COGNOME, aveva commesso una grave lesione del diritto di difesa, atteso che lo stesso avrebbe potuto documentare la reale situazione economica dell’impresa, i tentativi di risanamento della stessa e le motivazione che avevano costretto COGNOME alla chiusura; infine, doveva ritenersi insussistente il dolo, anche tenendo conto che COGNOME aveva provveduto al risarcimento delle persone offese -anche se non totalmente- e comunque aveva posto in essere un principio di esecuzione dei lavori affidati.
1.3 la Corte di appello non aveva motivato in ordine alla contestazione ed aumento di pena per la recidiva reiterata, rimandando de relato alle motivazioni del giudice di primo grado, ritenendole condivisibili; non era stato considerato che i precedenti penali del ricorrente erano molto datati, che la pena comminata era sempre stata esigua e non vi erano state altre condanne per truffa
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1 Relativamente al primo motivo di ricorso, si deve ribadire che ‘l a tardività della querela non può essere dedotta per la prima volta in sede di  legittimità, trattandosi di eccezione che comporta accertamenti di fatto devoluti al giudice di merito  e  che,  non  essendo  stati  richiesti  tempestivamente,  sono  preclusi  nei successivi gradi di giudizio ‘  (Sez.2, n. 8653 del 23/11/2022, dep. 28/02/2023, Papais,  Rv.  284438 -02):  per  verificare  quale  sia  stato  il  momento  il  cui  i
querelanti hanno avuto piena consapevolezza dell’illecito occorrerebbe, infatti, la prova di tale aspetto, ricerca non consentita in sede di legittimità.
Analogamente, quanto alle contestazioni sulle aggravanti della minorata difesa e della recidiva, le stesse sono inammissibili per non essere state proposte in appello: è infatti principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione pretese violazioni di legge sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione (vedi Sez. 5, Sentenza n. 28514 del 23/04/2013, Rv. 255577; Sez. 2, Sentenza n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316 -01), ai sensi di quanto previsto dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen., il mancato rilievo di tali aspetti nel merito, esclude, all’evidenza, anche qualsiasi onere argomentativo.
1.2 Quanto al secondo motivo di ricorso, si deve precisare la natura del sindacato di legittimità -principi che questa Corte ha più volte ribadito- a mente dei quali gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi probatori attengono interamente al merito e non sono censurabili nel giudizio di legittimità, a meno che risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa; ciò conduce alla valutazione di inammissibilità, in sede di legittimità, di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Non va infatti dimenticato che “…sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito” (cfr. Sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099).
La Corte di appello ha ritenuto, con un giudizio di merito non censurabile nella presente sede, che gli inadempimenti nelle forniture non erano contesati, che la tesi dell’imputato non era supportata da alcun documento, e che la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale appariva superflua alla luce delle testimonianze assunte (pag. 14 e 15 della sentenza impugnata), così applicando correttamente la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il giudice di appello che intende respingere una specifica richiesta di parte di rinnovazione del dibattimento ha l’obbligo di dare conto dell’assenza di decisività degli elementi già raccolti o ad inficiarne la loro valenza (Cass. sez. 5 n. 15606 del 03/12/2014, dep. 2015, Rv. 263259; Cass. sez. 6 n. 1249 del 26/09/2013, dep. 2014, Rv. 258758); la Corte di appello ha anche motivato sulla irrilevanza dei risarcimenti corrisposti
soltanto ad alcune delle persone offese ai fini dell’esclusione del dolo, ritenuto sussistente  in  base  alle  considerazioni  contenute  a  pag.15  della  sentenza impugnata;  su  tutti  tali  aspetti  si  deve  inoltre  rilevare  che  i  motivi  di  ricorso reiterano quanto già sostenuto con l’atto di appello, con conseguente inammissibilità degli stessi per la loro genericità, non essendovi alcun confronto con la motivazione della sentenza impugnata.
1.3  Il  motivo  relativo  alla  recidiva  è  inammissibile  per  non  essere  stato proposto in appello; si ribadisce a tal fine quanto esposto al punto n. 1.1.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile; l’acce rtamento di inammissibilità del ricorso esclude che possa rilevare, ai fini estintivi, il decorso del termine per la prescrizione, successivo alla sentenza di appello, mancando l’instaurazione di un valido giudizio di impugnazione. A i sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità -al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di € 3.000, 00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26/03/2025