Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10344 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10344 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a SCAFATI il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a POGGIOMARINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/04/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
COGNOME NOME e COGNOME NOME ricorrono, a mezzo del comune difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo violazione di legge e/o vizio motivazionale in relazione all’erronea applicazione degli artt. 40 e 41 cod. pen. in relazione agli artt. 113 e 590 cod. pen.
Chiedono, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi in questione non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono costituiti da mere doglianze in punto di fatto e riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata.
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
I ricorrenti, in concreto, non si confrontano adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità dei prevenuti, ed in particolare (cfr. pagg. 4-6 della sentenza impugnata) del fatto che i lavori effettuati nel cantiere erano difformi da quanto dichiarato in sede di SCIA, che non erano state adottate le minime misure di sicurezza in quanto era stato realizzato uno scavo in corrispondenza di un balcone pericolante, da che ne derivava che non doveva essere né previsto né consentito l’accesso degli operai in quella sede se non previa adozione di idonee misure di sicurezza, che mancavano.
In sentenza si dà conto della ritenuta attendibilità della persona offesa COGNOME e che, a riprova di un cantiere «in concreto realizzato in dispregio delle cautele minime, ove per di più il lavoratore, nemmeno informato del pericolo di crollo, era stato impegnato nell’esecuzione di lavori diversi da quelli previsti in contratto », non sono stati prodotti né il D.V.R. né il piano di sicurezza che pure la difesa assume essere stati regolarmente redatti dalle due imprese.
La Corte territoriale, infine, ha confutato motivatamente, ritenendoli privi di consistenza, gli argomenti difensivi della mancata individuazione della buca ove si trovava il lavoratore al momento del crollo e quelli che facevano leva sull’interruzione del nesso di causalità per via della presunta abnormità della condotta del lavoratore, in quanto la predisposizione di adeguate misure di sicurezza avrebbe impedito, con ragionevole probabilità, il verificarsi dell’evento occorso.
Né può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, COGNOME, Rv. 256463).
Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 21 febbraio 2024.