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Ricorso inammissibile: quando manca l’interesse ad agire

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato da un imputato il cui reato di ricettazione era già stato dichiarato prescritto dalla Corte d’Appello. L’unico motivo di ricorso si basava sulla presunta ‘abnormità’ di un provvedimento di un precedente processo. La Suprema Corte ha stabilito che, in assenza di un concreto interesse a ricorrere (dato che il reato era già estinto), l’impugnazione non poteva essere esaminata nel merito, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Cassazione Sottolinea l’Importanza dell’Interesse ad Agire

Quando un processo si conclude con una declaratoria di prescrizione, si potrebbe pensare che la vicenda sia definitivamente chiusa. Tuttavia, un imputato ha deciso di portare il caso fino in Cassazione, lamentando un vizio procedurale avvenuto in un procedimento precedente. La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 5745/2024, ha però respinto le sue ragioni, dichiarando il ricorso inammissibile per una ragione fondamentale: la mancanza di un concreto interesse ad agire. Questa decisione offre un’importante lezione sui requisiti essenziali per poter adire il giudice di legittimità.

I Fatti del Processo

La vicenda processuale è singolare. Un soggetto, precedentemente processato e assolto per il reato di appropriazione indebita, si è trovato al centro di un nuovo procedimento per ricettazione. Questo secondo processo era scaturito proprio dalla trasmissione degli atti al Pubblico Ministero disposta nel corso del primo giudizio.

Giunto dinanzi alla Corte d’Appello, il reato di ricettazione è stato dichiarato estinto per intervenuta prescrizione. Nonostante l’esito favorevole, che di fatto lo liberava da ogni accusa, l’imputato ha deciso di presentare ricorso in Cassazione.

Il Motivo del Ricorso: un Atto Abnorme?

L’unico motivo di doglianza sollevato dalla difesa riguardava la presunta ‘abnormità’ del provvedimento con cui, nel primo processo, era stata disposta la trasmissione degli atti per valutare il reato di ricettazione. Secondo il ricorrente, tale atto era anomalo e avrebbe potuto creare una preclusione processuale (il cosiddetto ne bis in idem o divieto di un secondo giudizio per lo stesso fatto), rendendo illegittimo il secondo procedimento sin dalla sua origine.

In sostanza, la difesa non contestava la prescrizione, ma mirava a far dichiarare l’illegittimità a monte dell’intero secondo processo, basandosi su un vizio procedurale.

La Decisione della Cassazione: Analisi del Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione ha stroncato sul nascere le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un pilastro del diritto processuale: la necessità di un ‘concreto interesse’ per poter impugnare una decisione. Anche se l’imputato lamentava un vizio procedurale, la Corte ha ritenuto che il suo motivo fosse puramente astratto e non supportato da alcun vantaggio pratico.

Le Motivazioni della Corte

I giudici di legittimità hanno sviluppato il loro ragionamento su due punti principali.

In primo luogo, il motivo è stato ritenuto ‘non consentito’ e ‘manifestamente infondato’. La Corte non ha ravvisato alcuna abnormità nell’atto del primo giudice, che rientra nelle normali dinamiche processuali.

In secondo luogo, e questo è il punto cruciale, il ricorso mancava di un interesse concreto. Il ricorrente non ha specificato quale vantaggio pratico avrebbe ottenuto da un’eventuale accoglimento della sua tesi. Dal momento che il reato era già stato dichiarato estinto per prescrizione, una pronuncia sull’asserita abnormità non avrebbe modificato in meglio la sua posizione giuridica. La prescrizione aveva già prodotto l’effetto più favorevole possibile. Senza la dimostrazione di un interesse reale, attuale e concreto, l’impugnazione si riduce a un mero esercizio teorico, che non può trovare accoglimento in sede di legittimità. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: non basta avere ragione su un punto di diritto per poter presentare un ricorso. È indispensabile dimostrare che l’accoglimento del ricorso porterebbe a un risultato pratico più vantaggioso per chi lo propone. Nel caso di specie, con il reato già estinto per prescrizione, non esisteva alcun risultato migliore da conseguire. La decisione serve da monito: le aule di giustizia, e in particolare la Suprema Corte, non sono sedi per dibattiti accademici, ma luoghi dove risolvere controversie concrete. Un ricorso inammissibile è la sanzione per chi dimentica questa regola basilare.

Quando un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Secondo questa ordinanza, un ricorso è inammissibile quando non è supportato da un ‘concreto interesse’, ovvero quando il ricorrente non è in grado di dimostrare quale vantaggio pratico e attuale deriverebbe dall’accoglimento della sua richiesta.

È sufficiente lamentare un presunto errore procedurale per ottenere l’annullamento di una sentenza?
No, non è sufficiente. Oltre a individuare un potenziale errore, il ricorrente deve spiegare perché ha interesse a farlo valere. Se, come in questo caso, il reato è già estinto per prescrizione, l’interesse a discutere di un vizio procedurale precedente viene meno, in quanto non porterebbe a un esito più favorevole.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo il rigetto del ricorso senza esame nel merito, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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