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Ricorso inammissibile: quando le scuse non bastano

Un imprenditore, condannato per reati fiscali tra cui l’occultamento di scritture contabili, presenta ricorso in Cassazione adducendo come scuse un furto e un attacco hacker. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, giudicando le giustificazioni dell’imputato manifestamente infondate e strumentali. La decisione conferma la condanna e comporta per il ricorrente il pagamento delle spese processuali e di una sanzione.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando le Scuse Non Bastano in Cassazione

Quando un ricorso in Cassazione viene definito ricorso inammissibile, significa che i motivi presentati sono talmente deboli da non superare neanche un primo esame di ammissibilità. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un esempio lampante di questa situazione, analizzando il caso di un imprenditore condannato per reati fiscali che ha tentato di giustificare le proprie mancanze con scuse poco credibili come un furto di documenti e un attacco hacker.

I Fatti del Caso: Dai Reati Fiscali al Ricorso in Cassazione

La vicenda giudiziaria inizia con la condanna di un imprenditore da parte del Tribunale per diversi reati tributari. In particolare, le accuse riguardavano la dichiarazione infedele (art. 4, D.Lgs. 74/2000) e l’occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10, D.Lgs. 74/2000).

La Corte d’Appello, in un secondo momento, ha parzialmente riformato la sentenza: pur dichiarando prescritto uno dei reati, ha confermato la responsabilità penale per le altre imputazioni, rideterminando la pena. Non soddisfatto della decisione, l’imprenditore ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando un vizio di motivazione da parte dei giudici di secondo grado.

L’Analisi della Corte sul Ricorso Inammissibile

Il ricorso dell’imprenditore si basava essenzialmente su due punti, entrambi ritenuti dalla Suprema Corte manifestamente infondati, portando così a una declaratoria di ricorso inammissibile.

La Giustificazione per l’Occultamento delle Scritture Contabili

Il primo motivo di ricorso contestava la sussistenza dell’elemento soggettivo (il dolo) per il reato di occultamento delle scritture contabili. L’imputato aveva addotto, a sua discolpa, una serie di circostanze esimenti: sosteneva di aver subito il furto della documentazione contabile e che, a causa di un attacco hacker al sito, non era stato in grado di recuperarne un duplicato.

La Cassazione ha respinto categoricamente questa linea difensiva. I giudici hanno evidenziato come la Corte d’Appello avesse già valutato tali giustificazioni, ritenendole inattendibili e, testualmente, “formalizzate ad arte per evitare una condanna”. In altre parole, le scuse sono state considerate un mero espediente per sottrarsi alla responsabilità penale, e non circostanze reali e provate.

La Conferma della Responsabilità per Dichiarazione Infedele

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla condanna per dichiarazione infedele, è stato giudicato infondato. La Corte territoriale aveva confermato la responsabilità dell’imputato sulla base degli elementi emersi nel processo di primo grado, elementi che non erano stati specificamente contestati con motivi puntuali nell’atto di appello. La motivazione della Corte d’Appello è stata quindi ritenuta adeguata e non omissiva, rendendo anche questa doglianza priva di fondamento.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi proposti non erano idonei a scalfire la logicità e la coerenza della sentenza impugnata. Le critiche mosse dall’imputato erano generiche e non individuavano specifici errori di diritto o vizi logici nel ragionamento dei giudici di merito. La valutazione delle prove, come la credibilità delle giustificazioni fornite, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità se la motivazione è, come in questo caso, esente da palesi illogicità.

Le Conclusioni

La declaratoria di inammissibilità ha conseguenze significative. Innanzitutto, la sentenza di condanna diventa definitiva. In secondo luogo, ai sensi dell’articolo 616 del codice di procedura penale, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 euro alla Cassa delle ammende. Questa sanzione viene applicata quando non emergono elementi per ritenere che il ricorrente abbia agito senza colpa nel determinare la causa di inammissibilità. La decisione ribadisce un principio fondamentale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio per rivalutare i fatti, ma uno strumento per controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione. Proporre un ricorso basato su argomenti palesemente infondati o su scuse non credibili non solo è inutile, ma comporta anche ulteriori costi.

Perché il ricorso dell’imprenditore è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati sono stati ritenuti manifestamente infondati. La Corte di Cassazione ha stabilito che le argomentazioni non individuavano vizi logici o giuridici nella sentenza d’appello e che le giustificazioni fornite (furto e hackeraggio) non erano credibili.

Quali giustificazioni ha fornito l’imputato per la mancanza dei documenti contabili e come le ha valutate la Corte?
L’imputato ha sostenuto che i documenti contabili fossero stati rubati e che un hackeraggio del sito gli avesse impedito di ottenerne un duplicato. La Corte ha ritenuto queste circostanze inattendibili e “formalizzate ad arte per evitare una condanna”, ovvero create appositamente per eludere la responsabilità penale.

Quali sono le conseguenze economiche per chi propone un ricorso inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata a 3.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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