Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22240 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22240 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME NOME a MILANO il DATA_NASCITA
NOME NOME a MONZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/10/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
NOME MANUALI
che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
lette le conclusioni del difensore di NOME COGNOME; procedimento a trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17 ottobre 2023 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma di quella emessa il 15 febbraio 2022 dal Tribunale di Pavia, ha riqualificato i reati ascritti agli imputati NOME e NOME COGNOME ai sens dell’art. 424 cod. pen. rideterminando la pena inflitta al primo in un anno e sette mesi di reclusione e quella inflitta alla seconda in otto mesi di reclusione.
Si procede per più delitti di incendio commessi a Robecco sul Naviglio, Magenta e Milano tra il 9 ottobre 2017 e il 10 novembre 2017 la cui responsabilità è stata ascritta agli imputati sulla base di riprese visive di telecamere di sorveglianza, acquisizioni di precedenti indagini e di tabulati telefonici, servizi di osservazione e controllo, intercettazioni ambientali risultanze di un GPS installato sull’automobile di NOME.
E’ stato assegNOME rilievo, inoltre, alle modalità (omogenee) di commissione dei reati, alla confessione dell’imputato NOME nel corso di una conversazione intercettata (limitatamente al capo C) della rubrica, non oggetto di impugnazione).
In particolare, la sentenza di appello, con riguardo ai plurimi incendi appiccati nella notte del 9 ottobre 2017 a sette automobili tra Robecco e Magenta, ha ritenuto la graniticità del quadro indiziario alla luce delle medesime modalità di realizzazione, in luoghi ravvicinati, dei reati.
La commissione degli stessi da parte di un soggetto che era a bordo di una Fiat Punto e la disponibilità di tale tipologia di veicolo da parte dell’imputato hanno costituito solo alcuni degli elementi indiziari.
Piuttosto, la Corte si è soffermata sull’ascrivibilità dell’utilizzazione d mezzo da parte di NOME fornendo una specifica motivazione sul punto, in uno con la localizzazione dell’utenza telefonica dell’imputato, la notte del 9 ottobre 2017, nelle vicinanze del luogo di commissione di alcuni degli incendi in contestazione.
Con riguardo al capo B) sono stati valorizzati elementi indiziari della medesima natura, oltre alle risultanze di videoriprese, alla presenza della Fiat Punto (e dell’imputato visto alla guida del veicolo) nei pressi del luogo dell’incendio.
Il capo D), ascritto a NOME e alla coimputata NOME, è stato ricostruito attraverso una conversazione intercettata nel corso della quale NOME ha dato le istruzioni alla donna per appiccare il fuoco e l’accertata presenza dei due nei pressi del luogo dell’incendio, come da risultanze relative alle celle agganciate dalle rispettive utenze cellulari.
La Corte di appello ha riformato la sentenza di primo grado limitatamente alla qualificazione giuridica operata ai sensi dell’art. 424 cod. pen., ossia danneggiamento seguito da incendio.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, per mezzo del proprio difensore AVV_NOTAIO, articolando due motivi.
2.1. Con il primo ha eccepito vizi di motivazione in ragione della mancata assoluzione dell’imputato per i delitti di cui ai capi A), B) e D) ai sensi dell’ar 530, comma 2, cod. proc. pen.
In particolare, con riferimento al capo A) non sarebbe stata raggiunta la prova dell’uso esclusivo della Fiat Punto da parte dell’imputato e del fatto che questi fosse alla guida del veicolo nei pressi dei luoghi in cui si sono verificati g incendi.
Anche dai tabulati sarebbero emersi elementi equivoci suscettibili di plausibili letture alternative.
Per il capo B) sarebbero stati valorizzati dati non univocamente interpretabili quali la presenza dell’imputato a Magenta la sera del 17 ottobre 2017 (giustificata per ragioni diverse da quelle ritenuta dai giudici di merito) l’individuazione della Fiat Punto.
Con riferimento al capo D) ha segnalato la genericità dei dati intercettativi e la possibile lettura degli stessi in termini alternativi rispetto a quanto operato i sentenza dalla Corte di appello.
2.2. Con il secondo motivo ha eccepito il difetto di motivazione con riguardo all’aumento della pena a titolo di continuazione.
L’aumento di 54 giorni per ogni singolo episodio di incendio non sarebbe stato assistito da adeguata giustificazione se si considera che i reati non hanno causato danni alle persone e sarebbe stato possibile, semmai, apprezzare l’esistenza di un disvalore penale sostanzialmente unitario, ossia una minore riprovevolezza complessiva dell’agente.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, per mezzo del proprio difensore NOME COGNOME, articolando due motivi.
3.1. Con il primo ha eccepito inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 424 cod. pen.
L’istruttoria ha fatto emergere la mancanza di volontà dell’imputata di partecipare al delitto a lei ascritto e l’assenza di alcun legame con il coimputato NOME.
Difetterebbe la prova del dolo specifico di danneggiare un bene altrui.
La presenza dei due imputati nel luogo di cui al capo D) sarebbe stata
giustificata dal fatto che NOME risiede in quella via; il che giustifica anche i da dei tabulati.
In ordine all’elemento oggettivo, è stato segnalato come da alcun dato sia possibile desumere che in occasione delle conversazioni intercettate i due imputati abbiano utilizzato la diavolina o abbiano preso parte ad un’attività illecita.
Peraltro, nel caso dell’incendio di cui al capo D), non sono state rinvenute sostanze infiammabili o acceleranti.
3.2. Con il secondo motivo è stato eccepito il difetto di motivazione con riguardo alla quantificazione della pena base infitta all’imputata.
Tanto più emerge il vizio, se si considera l’entità della pena inflitta al coimputato e l’incensuratezza della COGNOME.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi. Nell’interesse di NOME sono state depositate conclusioni scritte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
Quale premessa all’esame di entrambi i ricorsi va compiuto il preliminare richiamo ai principi costantemente affermati da questa Corte in punto di limiti alla deducibilità dei vizi di motivazione in sede di legittimità.
Deve, infatti, essere ricordato quanto affermato da Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 con la quale è stato enunciato il principio per cui «in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito».
Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965 hanno, altresì, chiarito che «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che
sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenz probatoria del singolo elemento».
Alla luce di tali coordinate, deve essere dichiarata l’inammissibilità del primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
Il tentativo operato dal ricorrente consiste, attraverso una lettura parcellizzata e atomistica degli elementi indiziari, di pervenire ad una diversa ricostruzione del fatto, pur a fronte di una valutazione priva di evidenzi vizi motivazionali operata dai giudici di merito.
Questi, con valutazione conforme, hanno valorizzato plurimi elementi convergenti rispetto all’affermazione della responsabilità dell’imputato richiamando circostanze fattuali quali (in relazione al capo A) i luoghi ravvicinati in cui sono avvenuti i fatti della notte del 9 ottobre 2017, la riconducibilità de fatto al conducente della Fiat Uno in uso all’imputato, gli spostamenti del suo cellulare attraverso l’acquisizione dei tabulati telefonici, le riprese del telecamere di vigilanza, la certezza dell’uso della vettura da parte dell’imputato attraverso l’analisi dei dati del GPS.
Rispetto al rilievo particolarmente significativo di tali elementi, la tes dell’utilizzazione da parte di altri soggetti dell’automobile è stata ritenut ipotetica.
Proprio su questo si concentra il ricorso segnalando l’erroneità del giudizio compiuto dalla Corte di appello attraverso la prospettazione di una lettura alternativa di un alibi indicato come meramente eventuale.
Parimenti rivalutativa la censura riferita al capo B) dell’imputazione, l’incendio, nella notte del 17 ottobre 2017, a Magenta.
Anche in questo caso la presenza dell’imputato nei pressi del luogo dell’incendio è stata accertata con un compendio indiziarlo costituito dalla localizzazione dell’automobile Fiat Punto, dell’utenza cellulare dell’imputato, delle riprese video di un distributore di carburante, dai movimenti della predetta automobile successivi all’incendio.
Il tentativo di sminuire la portata indiziaria di tali elementi mediante la mera affermazione che residuerebbe un «ragionevole dubbio» sull’ascrivibilità dell’azione a NOME, oltre che presentarsi in termini di estrema genericità, comporta una inevitabile sollecitazione alla rivalutazione del compendio indiziario che integra operazione preclusa in questa sede.
Infine, la censura riferita al delitto di cui al capo D), concentrandosi esclusivamente sul contenuto delle conversazioni captate tra NOME NOME NOME
coimputata COGNOME omette di considerare che, nel corso delle stesse, sono stati sentiti rumori di scoppi, sirene e il rumore di un’esplosione, oltre al fatto che tabulati hanno confermato la presenza dell’imputato (e della COGNOME) nei luoghi dell’esplosione (avendo i cellulari agganciato la cella che copriva il luogo dell’incendio).
L’insindacabile interpretazione offerta dalla Corte milanese esclude che possa essersi integrato un qualsiasi vizio manifesto del percorso motivazionale seguito dai giudici di merito.
La Corte di merito si è attenuta al costante principio affermato in punto di criterio di valutazione della prova indiziaria in base al quale «il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinse valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica), e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato al di là di og ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana» (fra le molte, la recente Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280605 – 02).
Inoltre, a proposito di criterio dell’«oltre ogni ragionevole dubbio», va ricordato, in primo luogo, che «in tema di giudizio di legittimità, l’introduzione nel disposo dell’art. 533 cod. proc. pen. del principio deiroltre ogni ragionevole dubbio” ad opera della legge 20 febbraio 2006, n. 46, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, sicché la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, segnalata dalla difesa, non integra un vizio di motivazione se sia stata oggetto di disamina da parte del giudice di merito» (Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 2024, Lombardi, Rv. 285801) e ribadito, in ogni caso, che «in sede di legittimità, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall’imputato che intenda far valere l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia inconfutabile e non rappresentativa soltanto di una ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare
riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili» (Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, Mannile, Rv. 278237).
Anche il secondo motivo proposto nell’interesse di NOME è inammissibile.
Nel determinare la pena e gli aumenti a titolo di continuazione, la Corte di appello ha fatto riferimento alla gravità delle condotte, all’intensità del dolo all loro reiterazione.
A fronte di tali elementi, la contestazione meramente confutativa di cui alle pagg. 4 e 5 del ricorso appare generica e, dunque, aspecifica.
Sul punto, va richiamato il principio per cui «la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione» (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142).
Il primo motivo proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile perché, anch’esso, rivalutativo.
La penale responsabilità dell’imputata in relazione al capo D) è stata argomentata sulla scorta del materiale istruttorio sopra illustrato a proposito della posizione del coimputato NOME e le censure della difesa si appuntano sul contenuto delle conversazioni captate nel corso delle intercettazioni trascurando di considerare altri elementi indiziari, analogamente a quanto fatto dalla difesa del coimputato.
Né possono essere sollevati dubbi di sorta sulla base delle rilevazioni di cui alla scheda di intervento dei RAGIONE_SOCIALE, tenuto conto che le risultanze delle conversazioni registrate sono state illustrate in termini limpidi (oltre che insindacabili in questa sede) dai giudici di merito.
Sul punto il passaggio trascritto a pag. 10 della motivazione (laddove si parla di qualcosa da accendere che emana un cattivo odore) ha un contenuto estremamente chiaro.
Richiamati gli arresti di questa Corte in materia di limiti al sindacato di legittimità sulla motivazione e sulla prova indiziaria, il motivo, al pari di quel redatto nell’interesse di NOME deve essere dichiarato inammissibile.
Il secondo motivo è parimenti inammissibile in quanto, ai fini della quantificazione della pena in misura superiore al minimo di sei mesi, i giudici di merito hanno valorizzato l’estensione delle fiamme ad altre vetture.
Si tratta di motivazione insindacabile e contrastata, ancora una volta, con una mera petizione di principio priva di alcun riferimento effettivo alla sentenza impugnata.
Anche in questo caso, richiamati i principi sopra riportati, il motivo deve essere dichiarato inammissibile.
Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi devono essere, pertanto, dichiarati inammissibili.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuale e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» al versamento della somma, equitativamente fissata in euro tremila, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17/04/2024