Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37169 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37169 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/10/2025
SETTIMA SEZIONE PENALE
NOME DI COGNOME
ha pronunciato la seguente
Sul ricorso proposto da
NOME, nata a Palermo il DATA_NASCITA, visti gli atti e la sentenza impugnata;
avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 16/12/2024 esaminati i motivi del ricorso; dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con sentenza del 16/12/2024, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del GIP del Tribunale di Palermo del 29/03/2023, che aveva condannato NOME alla pena di 2 anni di reclusione per i reati di cui agli artt. 8 d. lgs. 74/2000, 81 cpv.- cod. pen., concedeva all’imputata il beneficio della pena sospesa.
Avverso tale sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo lamenta violazione dell’articolo 606, lettere b) ed e), cod. proc. pen., per non avere la Corte di appello risposto al motivo di impugnazione sulla colpevolezza, limitandosi a richiamare la prima sentenza.
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione dell’articolo 606, lettere b) e c), cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 157 e 161 cod. pen., 17 d. lgs. 74/2000, per non avere dichiarato la prescrizione del reato.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione dell’articolo 133 cod. pen. per l’eccessività della pena inflitta.
Il ricorso Ł inammissibile.
3.1. Quanto al primo motivo, esso, a fronte di una doppia conforme affermazione di responsabilità si limita a riproporre pedissequamente in sede di legittimità doglianze già correttamente disattese, in fatto e diritto, dalla Corte territoriale e, prima di lei, dal Tribunale.
E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217) essere fondato su motivi che si
– Relatore –
Ord. n. sez. 15175/2025
CC – 31/10/2025
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello, puntualmente disattesi dalla Corte di merito (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217); inoltre, chiede di fatto a questa Corte una rivalutazione delle risultanze probatorie non consentita in questa sede, visto che la Corte territoriale (pagg. 5-8) e il primo giudice (pagg. 3-8) hanno concordemente ritenuto che le dichiarazioni dei titolari delle società utilizzatrici ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e ‘Anzalone’ riscontrassero le acquisizioni documentali e gli accertamenti bancari.
3.2. Il secondo motivo Ł manifestamente infondato in quanto il termine massimo di prescrizione, pari a 10 anni, va conteggiato dalla data dell’ultima fattura, che la sentenza gravata indica nel 22 dicembre 2014 e va, pertanto, a cadere, con il 22 dicembre 2024, ossia dopo la lettura del provvedimento in udienza il 16 dicembre 2024. Pertanto, in assenza di un valido rapporto di impugnazione, non può essere dichiarata da questa Corte la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello.
3.3. Il terzo e il quarto motivo sono manifestamente infondati in quanto contrastano con la consolidata giurisprudenza della Corte.
3.3.1. Quanto alle circostanze atipiche, la Corte territoriale, a pagina 14, ha motivato ampiamente il diniego in modo non manifestamente illogico, ritenendo di non poter ravvisare positivi elementi di valutazione per il loro riconoscimento.
La sentenza fa buon governo del principio consolidato secondo cui le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale «concessione» del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioŁ tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una piø incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena” (cfr., Sez. 2, n. 14307 del 14.3.2017, COGNOME; Sez. 2, n. 30228 del 5.6.2014, COGNOME); il loro riconoscimento non costituisce, pertanto, un diritto dell’imputato, conseguente all’assenza di elementi negativi, ma richiede elementi di segno positivo (v. ex multis sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, COGNOME Crescenzo, Rv. 281590; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, n.m.); pertanto, la coincisa motivazione, a mente dalla quale i giudici della Corte territoriale hanno confermato il diniego sulla base della ritenuta assenza di elementi di positiva valutazione, non potendosi considerare tale la mera incensuratezza dell’imputato, non appare irragionevole.
3.3.2. quanto alla dosimetria della pena, il Collegio rammenta che la graduazione del trattamento sanzionatorio, in generale, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen..
Per assolvere al relativo obbligo di motivazione, Ł sufficiente che il giudice dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento», come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale
Nel giudizio di cassazione Ł dunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del
30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.), come occorso nel caso in esame, in cui la pena Ł stata contenuta in prossimità del minimo edittale (anni due e mesi sei di reclusione, v. pag. 8 sentenza di primo grado).
Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonchØ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così Ł deciso, 31/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME