Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43812 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43812 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 03/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a COPERTINO il 23/10/1987
avverso la sentenza del 15/09/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 15 settembre 2023 la Corte di appello di Lecce ha confermato la pronuncia del G.U.P. del locale Tribunale del 18 novembre 2022 con cui NOME NOME era stato condannato, in esito a giudizio abbreviato, alla pena di anni quattro, mesi otto di reclusione ed euro 22.000,00 di multa in ordine al reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 73, comma 1, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, altresì disponendo la confisca del denaro e di quanto altro in sequestro.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con due distinti motivi: vizio di motivazione e violazione di legge, lamentando l’eccessiva entità del trattamento sanzionatorio inflittogli e la mancata concessione in suo favore delle circostanze attenuanti generiche; violazione degli artt. 85-bis D.P.R. n. 309 del 1990 e 240-bis cod. pen., oltre a motivazione illogica, per ‘insussistenza dei presupposti applicativi necessari ai fini della disposta confisca della somma di denaro rinvenuta in suo possesso.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in primo luogo considerato come, con riferimento all’introduttiva doglianza, la decisione impugnata risulti sorretta da conferente apparato argomentativo, di pieno rispetto della previsione normativa quanto all’effettuata determinazione del trattamento sanzionatorio.
Una specifica e dettagliata motivazione in merito ai criteri seguiti dal giudice nella determinazione della pena si richiede, infatti, solo nel caso in cui la sanzione sia quantificata in misura prossima al massimo edittale o comunque superiore alla media, risultando insindacabile, in quanto riservata al giudice di merito, la scelta implicitamente basata sui criteri di cui all’art. 133 cod. pen. di irrogare – come disposto nel caso di specie – una pena in misura media o prossima al minimo edittale (così, tra le altre: Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243-01; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, COGNOME, Rv. 25835601; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464-01; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197-01).
La motivazione resa dalla Corte di appello ben rappresenta e giustifica, poi, in punto di diritto, le ragioni per cui il giudice di secondo grado ha ritenuto di negare il riconoscimento del beneficio ex art. 62-bis cod. pen. all’imputato, esprimendo una motivazione priva di vizi logici e coerente con le emergenze processuali, in quanto tale insindacabile in sede di legittimità (Sez. 6, n. 42688
del 24/09/2008, COGNOME e altri, Rv. 242419-01), in particolar modo evidenziando la negativa personalità del Calabrese, come risultante dai numerosi precedenti penali, quasi tutti specifici, da cui risulta gravato (cfr. p. 5 della sentenza impugnata).
2.1. Con riguardo, poi, alla seconda censura, deve essere osservato come essa, lungi dal confrontarsi con la congrua e logica motivazione resa dalla Corte territoriale in replica all’analoga doglianza eccepita con l’atto di appello – nella quale erano state congruamente evidenziate le ragioni per cui la cospicua somma di denaro rinvenuta celata presso l’abitazione del prevenuto non potesse avere un’origine lecita, ma costituisse il provento dell’attività di spaccio da lui perpetrata (cfr. p. 6) – reiteri le medesime considerazioni critiche espresse nel precedente atto impugnatorio, proposto avverso la sentenza di primo grado.
Per come ripetutamente chiarito da questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584-01), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, cioè, è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Risulta di chiara evidenza, pertanto, che se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento).
E’ inammissibile, quindi, il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
All’inammissibilità del ricorsó segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 3 aprile 2024
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