Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26465 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26465 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CARBONIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/11/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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visti gli atti e la sentenza impugnata; dato avviso alle parti; esaminati i motivi del ricorso di COGNOME NOME e letta la memoria depositata dal difensore dell’imputato
OSSERVA
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso, afferenti alla condanna del ricorrente per i reati di cui agli artt. 337 e 582 cod. pen., sono inammissibili;
Considerato, invero, che le questioni oggetto del primo motivo risultano manifestamente infondate, dal momento che:
quanto al primo profilo, con cui si censura l’illegittimità dell’ordinanza di rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato all’audizione del teste a difesa, il relativo motivo risulta fin dall’origine infondato, poiché il ricorrente aveva richiesto – in subordine all’ammissione del rito condizionato – il giudizio abbreviato c.d. “secco” e, in ogni caso, non ha effettuato la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale al fine di ascoltare il teste. La sentenza impugnata ha quindi fatto buon governo del principio secondo cui «qualora l’imputato, a seguito del rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria, non riproponga tale richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (come previsto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 169 del 2003, dichiarativa della parziale incostituzionalità dell’art. 438, comma 6, cod. proc. pen.), ma chieda, invece, di definire il processo con giudizio abbreviato non condizionato, la mancata ammissione della prova cui era subordinata l’iniziale richiesta non può essere dedotta come motivo di gravame» (Sez. 1, n. 12818 del 14/02/2020, Bergmann, Rv. 279324 – 01);
quanto al profilo afferente all’omessa riunione dei procedimenti, la relativa richiesta era fin dall’origine infondata, risultando pertanto corretta e immune da censure l’ordinanza resa dal giudice di primo grado all’udienza del 10/01/2018, che ha rigettato la richiesta dal momento che i due procedimenti non si trovavano nel medesimo stato e grado; va rilevato che, in ogni caso, «in tema di riunione e separazione dei processi, nel caso di inosservanza degli artt. 17, 18 e 19 cod. proc. pen. non è prevista alcuna sanzione di nullità, né alcun
mezzo di impugnazione avverso il relativo provvedimento» (Sez. 3, n. 17368 del 31/01/2019, NOME, Rv. 275945 – 02);
quanto alla censura afferente alla prescrizione, rileva questa Corte come, pur avendo la Corte d’appello considerato la recidiva (invece dichiarata “non applicata” dal Tribunale) ai fini del calcolo del termine di prescrizione, comunque i reati non era ancora prescritti al momento dell’emissione della sentenza d’appello, dal momento che il termine di prescrizione – pari a sette anni e sei mesi, considerati gli atti interruttivi – scadeva in data 07/02/2024, successivamente quindi alla sentenza d’appello, emessa il 20/11/2023; e, come è noto, l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude di rilevare in questa sede la prescrizione maturata dopo la pronuncia di appello (cfr. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266 – 01).
Ritenuto che il secondo motivo, con cui si censurano vizi di violazione di legge e di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 337 cod. pen., nonché all’omessa applicazione della causa di giustificazione di cui all’art. 393-bis cod. pen., è riproduttivo di profili censura già adeguatamente vagliati e disattesi con adeguati argomenti giuridici dal giudice di merito, che, con corretta ed esaustiva motivazione, ha ritenuto la condotta del ricorrente, per come accertata, pienamente integrante il reato de quo e non scriminata ex art. 393-bis cod. pen.(cfr. sentenza impugnata, pag. 2);
Considerato, infine, che il terzo motivo, afferente all’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato, dal momento che la Corte d’appello, con motivazione immune da vizi sindacabili in sede di legittimità, ha ritenuto ostativi alla concessione di tale beneficio i precedenti penali del ricorrente nonché l’insussistenza di elementi positivamente valorizzabili;
Ritenuto che il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/06/2024.