Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5780 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5780 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a CARPI il 27/12/1990
avverso la sentenza del 02/07/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
1.NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo con un primo motivo violazione di legge in ordine all’art. 420 ter cod. proc. pen. per avere il giudice di merito illegittimamente rigettato la richiesta di legittimo impedimento del difensore per l’udienza del 24/03/2023. Con un secondo motivo di ricorso si deduce, poi, violazione di legge in ordine agli artt. 186 cod. strad., 356 cod. proc. pen. e 114 disp. att. cod. proc. pen. dal momento che gli esami di prelievo del sangue effettuati nell’ospedale sarebbero inutilizzabili poiché eseguiti senza che l’imputato avesse prestato consenso e in assenza dell’avviso di farsi assistere da un difensore di fiducia. Per tale motivo, data la inutilizzabilità dei tali atti, mancherebbe la prova della condotta illecita dell’odierno imputato.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi in questione non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricor e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto e pertanto immune da vizi di legittimità.
3.1. In ordine al motivo di ricorso inerente al rigetto dell’istanza del rinvio pe legittimo impedimento, la Corte di appello, in conformità ai principi più volte espressi da questa Corte di legittimità, ha confermato la decisione del primo giudice che ha logicamente motivato il diniego dell’invocata istanza di legittimo impedimento con la tardività della richiesta e l’assenza di esplicite ragioni per cui il difensore non poteva farsi sostituire (in uno dei due procedimenti) da altro difensore.
La sentenza impugnata, pertanto, si colloca nel solco della consolidata giurisprudenza di questa Corte, per cui l’impegno professionale del difensore in altro procedimento costituisce legittimo impedimento che dà luogo ad assoluta impossibilità a comparire, ai sensi dell’art. 420 ter, comma quinto, cod. proc. pen., a condizione che il difensore: a) prospetti l’impedimento non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni; b) indichi specificamente le ragioni che rendono essenziale l’espletamento della sua funzione nel diverso processo; c) rappresenti l’assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l’imputato; d) rappresenti l’impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen. sia nel processo a cui intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio (ex multis Sez. 6, n. 20130 del 04/03/2015, COGNOME, Rv. 263395 – 01 che ha escluso che l’impossibilità di nominare un sostituto potesse desumersi dalla deduzione del difensore secondo cui gli assistiti intendevano avvalersi della sua opera professionale, e non di quella di sostituti).
3.2 In ordine al secondo motivo di ricorso, avente ad oggetto la denunciata assenza di un valido consenso all’espletamento dei prelievi ematici e dell’avviso della facoltà di assistenza del difensore, si tratta di profili di censura manifesta mente infondati in quanto il giudice di appello ha evidenziato che dagli atti del processo emergeva che l’operatore COGNOME aveva fornito al conducente, coinvolto nel sinistro, un puntuale avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore, aveva raccolto il suo consenso verbalmente, ma a causa dello stato di assopimento in cui versava l’imputato, non era riuscito a raccogliere la firma.
La giurisprudenza di legittimità ha invero affermato che la prova dell’avvenuto adempimento dell’obbligo di dare avviso alla persona sottoposta ad esame alcolimetrico della facoltà di farsi assistere da difensore di fiducia, ove non risultante dal verbale, può essere data mediante la deposizione dell’agente operante, spettando al giudice valutare, fornendone rigorosa motivazione, la precisione e completezza della testimonianza, le ragioni della mancata verbalizzazione dell’avviso e la tempestività dell’avvertimento (Sez.4, n.35844 del 18/06/2021, COGNOME, Rv.281976; conf. Sez. 4 n.18349 del 29/04/2021, COGNOME, Rv.281169).
Per quanto riguarda, in particolare, il profilo di censura avente ad oggetto l’assenza di un valido consenso giova rammentare che, in tema di guida in stato di ebbrezza, la mancanza del consenso al prelievo dei campioni biologici, compiuto su richiesta della polizia giudiziaria presso una struttura sanitaria non per motivi terapeutici ma ai fini dell’accertamento del tasso alcolemico, non è causa di inutilizzabilità degli esami compiuti, posto che la specifica disciplina dettata dall’art 186 del d. Igs. n. 285 del 1992, nei dare attuazione alla riserva di legge (art. 13,
comma 2, Cost.), non prevede alcun preventivo consenso dell’interessato in ordine al prelievo dei campioni, oltre a quello eventualmente richiesto dalla natura delle operazioni sanitarie strumentali a detto accertamento (tra le numerose, Sez. 4, n. 27107 del 15/09/2020, Tedesco, Rv. 280047; Sez. 4, n. 43217 del 08/10/2019, Monti, Rv. 277946; Sez. 4, n. 2343 del 29/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272334; Sez. 4, n. 10605 del 15/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254933).
Né può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, COGNOME, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, COGNOME, Rv. 256463).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 22/01/2025