Ricorso inammissibile: un errore che costa caro
Presentare un ricorso alla Corte di Cassazione è l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, una fase delicata che richiede precisione, rigore e, soprattutto, motivi fondati. Un recente provvedimento della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio di come un appello basato su presupposti errati e privo di specificità si traduca in una declaratoria di ricorso inammissibile, con significative conseguenze per il ricorrente. Questo caso sottolinea l’importanza di un’attenta analisi delle sentenze dei gradi precedenti prima di intraprendere la via del ricorso per cassazione.
I Fatti del Caso: Un Appello Sorprendente
Il caso in esame ha origine da una condanna per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90, relativo a fatti di lieve entità in materia di stupefacenti. L’imputato, dopo la condanna nei primi due gradi di giudizio, decideva di proporre ricorso per cassazione. Il motivo addotto era un presunto vizio di motivazione della sentenza d’appello in merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
La Decisione della Corte: La Declaratoria di Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12318/2024, ha tagliato corto, dichiarando il ricorso manifestamente inammissibile. La ragione è tanto semplice quanto perentoria: il motivo di ricorso era non solo privo di qualsiasi specificità, ma anche del tutto incomprensibile. Gli Ermellini, infatti, hanno rilevato una palese contraddizione tra quanto lamentato dal ricorrente e quanto effettivamente statuito nelle sentenze di merito.
Le Motivazioni: Perché il Ricorso era Privo di Fondamento?
Il cuore della decisione risiede in un’evidenza fattuale che il ricorrente sembrava aver ignorato: le circostanze attenuanti generiche, di cui si lamentava il mancato riconoscimento, gli erano in realtà già state concesse fin dal giudizio di primo grado. Questa concessione era stata poi confermata in appello.
Di conseguenza, il motivo di doglianza non solo non era stato oggetto di discussione nel secondo grado di giudizio, ma si basava su un presupposto completamente errato. La Corte ha sottolineato come un motivo di ricorso debba essere specifico e pertinente, ovvero deve contestare un punto reale e controverso della decisione impugnata. In questo caso, lamentare il diniego di un beneficio già ottenuto rende l’impugnazione illogica e, quindi, inammissibile.
Conclusioni: Le Conseguenze Pratiche di un Ricorso Inammissibile
La declaratoria di inammissibilità non è una mera formalità. Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, essa comporta due precise conseguenze economiche per il ricorrente. In primo luogo, la condanna al pagamento delle spese processuali del procedimento in Cassazione. In secondo luogo, il versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata equitativamente fissata in 3.000 euro.
Questa ordinanza funge da monito: il ricorso per cassazione non è uno strumento da utilizzare con leggerezza. È essenziale che i motivi siano specifici, pertinenti e basati su un’accurata lettura dei provvedimenti impugnati. Proporre un appello fondato su circostanze inesistenti o già risolte a proprio favore non solo non porta ad alcun risultato utile, ma si traduce in un’inevitabile condanna a ulteriori spese.
Quando un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile quando è privo dei requisiti richiesti dalla legge, come nel caso esaminato in cui il motivo era basato su un presupposto fattuale errato, risultando privo di specificità e del tutto incomprensibile.
Cosa succede se si presenta un ricorso basato su un presupposto di fatto palesemente errato?
Se un ricorso si fonda su un presupposto di fatto errato, come lamentare il diniego di un beneficio che in realtà è già stato concesso, la Corte lo dichiara inammissibile senza esaminarne il merito, poiché il motivo è considerato privo di fondamento logico.
Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile in ambito penale?
A norma dell’art. 616 c.p.p., la declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata quantificata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12318 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12318 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 26/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/05/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che NOME COGNOME, condannato in giudizio abbreviato alle pene di legge per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, deduce il vizio di motivazione in ordine al d delle circostanze attenuanti generiche;
Considerato che si tratta di motivo privo di qualsivoglia specificità e del incomprensibile, risultando dalla sentenza che le circostanze attenuanti generiche sono sta riconosciute all’imputato sin dal giudizio di primo grado, tanto che non avevano neppu costituito motivo di doglianza con il gravame di merito;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile e rilevato che al declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processua e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 26 gennaio 2024.