Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10353 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10353 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a CASSANO ALLO IONIO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/01/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
COGNOME NOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe per il reato di cui all’art. 187 co. 8 D. Lg. Vo 8 aprile 1992 n. 28 deducendo illogicità, contraddittorietà e vizio motivazionale. Nello specifico, il r corrente lamenta l’assenza della valutazione della prova, in quanto sarebbero state disattese risultanze probatorie certe ed oggettive, specie in ordine all’acquisizione della prova, basandosi su dati di fatto ed elementi del tutto generici ed incerti, elaborando una sorta di presunzione sfavorevole in danno dell’imputato e travisando i fatti. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché non si coniugano alla enunciazione di specifiche richieste con connessa indicazione delle ragioni di diritto e dei dati di fatto che le sorreggono.
Il motivo in questione, inoltre, è riproduttivo di profili di censura già adegua tamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non è scandito da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, ed in particolare si è sottolineato come non potesse essere condivisa la censura con la quale la difesa evidenziava la ritenuta contraddittorietà tra la sentenza di primo grado, il contenuto del verbale di contestazione e la comunicazione della notizia di reato, poiché si doveva considerare pienamente raggiunta la prova del rifiuto del ricorrente di sottoporsi agli accertamenti sanitari richiesti per la verifica dell’eventuale stato di alterazione ps cofisica derivante dall’uso di sostanze stupefacenti. Si evidenziava poi, come sia stato rispettato l’obbligo di dare avviso all’imputato della facoltà di farsi assiste da un legale di fiducia prima di procedere alle operazioni di accertamento.
Né può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. U. n. 19601 del 28/2/2008, COGNOME, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, COGNOME, Rv. 256463).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 21 febbraio 2024