Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31339 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31339 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MANSURA( EGITTO) il 19/03/2005
avverso la sentenza del 02/12/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 2 dicembre 2024 la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della pronuncia del locale Tribunale del 9 luglio 2024, ha concesso a NOME il beneficio della non menzione, nel resto confermando la sua condanna alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione ed euro 4.000,00 di multa in ordine al reato di cui all’art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con tre distinti motivi, violazione di legge e vizio di motivazione: per mancata qualificazione della sua condotta come ipotesi di uso personale di sostanza stupefacente; in ordine al mancato riconoscimento dell’ipotesi prevista dall’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990; con riguardo all’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Il difensore ha depositato successiva memoria scritta, con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non deducibili in questa sede di legittimità.
2.1. Ed infatti, con riguardo alla prima censura, deve essere osservato come essa, lungi dal confrontarsi con la motivazione resa dalla Corte di merito (cfr. pp. 3 e s. della sentenza impugnata) in replica all’analoga doglianza dedotta con l’atto di appello, di fatto reiteri le medesime considerazioni critiche espresse nel precedente atto impugnatorio, proposto avverso la sentenza di primo grado.
Per come chiarito da questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584-01), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, cioè, è innanzitutto e indefettibilimente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano i dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Risulta di chiara evidenza, pertanto, che se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della decisione impugnata, per ciò
solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento).
E’ inammissibile, quindi, il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
2.2. Manifestamente infondata è, poi, la doglianza con cui l’imputato ha invocato la riqualificazione del fatto nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R n. 309 del 1990, tenuto conto dell’orientamento giurisprudenziale per cui il riconoscimento dell’ipotesi della lieve entità richiede un’adeguata valutazione complessiva del fatto, in relazione a mezzi, modalità e circostanze dell’azione, qualità e quantità della sostanza con riferimento al grado di purezza, in modo da pervenire all’affermazione di lieve entità in conformità ai principi costituzionali offensività e proporzionalità della pena (cfr. Sez. 6, n. 1428 del 19/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271959-01), per cui il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, e, quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità (così, tra le tante, Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv. 25661001). E’ necessario, cioè, che la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73 comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 costituisca l’approdo della valutazione complessiva di tutte le circostanze del fatto rilevanti per stabilire la sua entit alla luce dei criteri normativizzati e che tale percorso valutativo, così ricostruit si rifletta nella motivazione della decisione, dovendo il giudice dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata solo ad alcuni di essi. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Risulta allora che, nel caso di specie, la Corte territoriale, correttamente valutando i plurimi dati probatori disponibili, ha offerto una motivazione pienamente adeguata in ordine al disposto diniego del riconoscimento della fattispecie della lieve entità (cfr. p. 3), essendo stati posti in rilievo alcuni asp rivelatori della professionalità con cui l’attività di spaccio veniva svolta da part dell’imputato, perciò negando la ricorrenza della più lieve ipotesi sulla base di
elementi cui ha ritenuto di attribuire una rilevanza maggiormente significativa rispetto ad altri ai fini dell’esclusione della minima offensività.
2.3. Inammissibile, infine, è anche l’ultimo motivo di ricorso, osservato che la motivazione resa dalla Corte di appello (cfr. p. 4) ben rappresenta e giustifica, in punto di diritto, le ragioni per cui il giudice di secondo grado ha ritenuto d negare all’imputato il riconoscimento del beneficio ex art. 62-bis cod. pen., esprimendo una motivazione priva di vizi logici e coerente con le emergenze processuali, in quanto tale insindacabile in sede di legittimità (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi e altri, Rv. 242419-01).
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 24 giugno 2025
Il Pr