Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11059 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11059 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a BARI il 08/12/1983
avverso la sentenza del 13/02/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 13 febbraio 2023 la Corte di appello di Bari, in parziale riforma della pronuncia del locale Tribunale del 7 ottobre 2020, ha assolto NOME dal reato ascrittole al capo 8), per l’effetto rideterminando la pena inflitta nei suoi confronti nella misura di anni tre, mesi tre, giorni quindici reclusione ed euro 1.000,00 di multa in ordine ai reati di furto aggravato, di evasione e di cui all’art. 73 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’omesso riconoscimento in suo favore delle circostanze attenuanti generiche in giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti e all’errata configurazione, per i reati di furto ascrittile, de circostanza aggravante prevista dall’art. 625 n. 4 cod. pen.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non deducibili in questa sede di legittimità, in quanto privi di adeguato confronto con le argomentazioni poste a sostegno della decisione impugnata.
2.1. Ed infatti, con riguardo alla prima doglianza, deve essere osservato come la Corte di appello abbia ben rappresentato e giustificato, in punto di diritto, le ragioni per cui il giudice di secondo grado ha ritenuto di negare i riconoscimento del beneficio ex art. 62-bis cod. pen. all’imputata in giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti, esprimendo una motivazione priva di vizi logici e coerente con le emergenze processuali, in quanto tale insindacabile in sede di legittimità (cfr. p. 5 della sentenza impugnata).
A tale proposito, infatti, è sufficiente fare richiamo al consolidato principi per cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (cfr., i questi termini: Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, COGNOME, Rv. 27045001; Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931-01).
2.2. In ordine, poi, all’eccepita errata configurazione dell’aggravante prevista dall’art. 625 n. 4 cod. pen., deve essere osservato come essa, lungi dal confrontarsi con la congrua e logica motivazione resa dalla Corte territoriale in replica all’analoga doglianza dedotta con l’atto di appello – nella quale erano state congruamente evidenziate le ragioni di configurazione dell’aggravante della
destrezza (cfr. p. 5 della sentenza impugnata) COGNOME reiteri le medesime considerazioni critiche espresse nel precedente atto impugnatorio, proposto avverso la sentenza di primo grado.
Per come ripetutamente chiarito da questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584-01), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatt che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, cioè, è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano i dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Risulta di chiara evidenza, pertanto, che se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento).
E’ inammissibile, quindi, il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cass delle ammende.
Così deciso in Roma il 12 dicembre 2024