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Ricorso inammissibile: quando l’appello è generico?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per minaccia aggravata e tentata violazione di domicilio. I motivi del ricorso sono stati ritenuti generici e volti a ottenere un nuovo esame dei fatti, compito che non spetta alla Suprema Corte. Questa decisione ha comportato per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro alla Cassa delle ammende, evidenziando le conseguenze di un’impugnazione priva dei requisiti di legge.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile: la Cassazione condanna per motivi generici

Quando un ricorso in Cassazione viene definito generico e quali sono le conseguenze? Una recente ordinanza della Suprema Corte offre un chiaro esempio di come un ricorso inammissibile non solo venga respinto, ma possa anche comportare sanzioni economiche significative per chi lo propone. Il caso in esame riguarda un individuo condannato per minaccia aggravata e tentata violazione di domicilio, la cui impugnazione è stata giudicata del tutto inadeguata a sollevare questioni di legittimità.

I Fatti del Caso: dalla Condanna in Appello al Ricorso in Cassazione

Le accuse e la decisione di secondo grado

L’imputato era stato condannato nei primi due gradi di giudizio per i reati di minaccia aggravata e tentata violazione di domicilio. La Corte d’Appello di Torino aveva confermato la sua colpevolezza e la relativa pena, basando la propria decisione sulle prove raccolte durante il processo.

I motivi del ricorso

Insoddisfatto della sentenza, l’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, articolando due principali motivi di doglianza:
1. Una presunta violazione della legge penale e un vizio di motivazione riguardo alla sua responsabilità per il reato di tentata violazione di domicilio.
2. Un vizio di motivazione nella determinazione della pena (il cosiddetto trattamento sanzionatorio), lamentando una valutazione inadeguata da parte dei giudici di merito.

La Decisione della Cassazione: un ricorso inammissibile

La Suprema Corte ha analizzato entrambi i motivi e li ha rigettati, dichiarando il ricorso inammissibile. Questa decisione si fonda su principi consolidati della procedura penale che delimitano chiaramente il ruolo e le competenze del giudice di legittimità.

Il primo motivo: un tentativo di riesame del merito

Secondo i giudici, il primo motivo di ricorso non sollevava una vera questione di diritto. Piuttosto, si limitava a presentare una versione alternativa dei fatti, cercando di ottenere una nuova valutazione delle prove. La Cassazione ha ribadito che il suo compito non è quello di riesaminare il merito della vicenda, ma solo di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Proporre un “alternativo apprezzamento di merito” con “asserti del tutto generici” rende il motivo inammissibile.

Il secondo motivo e il trattamento sanzionatorio

Anche il secondo motivo è stato giudicato “manifestamente infondato e generico”. L’imputato si era limitato a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello. Quest’ultima, secondo la Cassazione, aveva fornito una spiegazione congrua e logica sulla determinazione della pena, esercitando il proprio potere discrezionale in base ai criteri dell’art. 133 del codice penale. In particolare, i giudici di merito avevano legittimamente ritenuto di non poter valutare positivamente lo stato di ebbrezza dell’imputato, e tale scelta non poteva essere censurata in sede di legittimità.

Le Motivazioni Giuridiche della Suprema Corte

La Corte ha fondato la sua decisione sull’articolo 616 del codice di procedura penale. Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la legge prevede non solo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ma anche di una somma in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione aggiuntiva scatta quando l’inammissibilità è dovuta a una “colpa” del ricorrente, come nel caso di un’impugnazione palesemente infondata o proposta per motivi non consentiti dalla legge.

Nel caso specifico, l’evidente inammissibilità dell’impugnazione, che tentava di trasformare il giudizio di legittimità in un terzo grado di merito, ha giustificato l’imposizione di una sanzione di tremila euro. La Corte ha richiamato numerosi precedenti giurisprudenziali, inclusa una sentenza della Corte Costituzionale, che confermano la legittimità di tale meccanismo sanzionatorio come deterrente contro ricorsi pretestuosi.

Conclusioni: le implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il ricorso in Cassazione non è un’ulteriore occasione per discutere i fatti. È uno strumento destinato a correggere errori di diritto o gravi vizi logici nella motivazione delle sentenze. La presentazione di un’impugnazione con motivi generici, ripetitivi o volti a un riesame del merito è una strategia destinata al fallimento e comporta un rischio economico concreto. Per gli operatori del diritto, ciò sottolinea l’importanza di redigere ricorsi specifici, pertinenti e rigorosamente ancorati alle questioni di legittimità, per evitare che un ricorso inammissibile si traduca in un’ulteriore condanna per il proprio assistito.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano generici e non sollevavano questioni di legittimità. Invece di denunciare violazioni di legge o vizi logici della motivazione, il ricorrente ha tentato di ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, se l’inammissibilità è ritenuta colposa, al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende. In questo caso, la somma è stata fissata in 3.000 euro.

Lo stato di ebbrezza dell’imputato è stato considerato un’attenuante?
No, anzi. Dal testo si evince che la Corte d’Appello non ha apprezzato favorevolmente il dedotto stato di ebbrezza dell’imputato nel determinare la pena. La Corte di Cassazione ha confermato che questa valutazione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e, essendo stata adeguatamente motivata, non poteva essere criticata in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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