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Ricorso inammissibile: quando l’appello è generico

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile a causa della genericità dei motivi presentati. L’imputata, condannata per reati contro la pubblica amministrazione e la persona, aveva contestato l’eccessività della pena senza fornire argomentazioni specifiche. La decisione sottolinea che un’impugnazione deve essere dettagliata per essere esaminata nel merito, confermando la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di un’ammenda.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Cassazione e l’Importanza dei Motivi Specifici

Nel processo penale, l’impugnazione di una sentenza è un diritto fondamentale, ma deve essere esercitato secondo regole precise. Un ricorso inammissibile è la conseguenza diretta della violazione di queste regole, in particolare quella che richiede la specificità dei motivi. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di come la genericità di una censura, specialmente quella relativa alla pena, porti inevitabilmente al rigetto del ricorso e a ulteriori conseguenze economiche per il ricorrente.

Il Caso in Esame: Dalla Condanna al Ricorso per Cassazione

Il caso trae origine da una sentenza di condanna della Corte d’Appello per reati di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 c.p.), oltraggio a un pubblico ufficiale (art. 341-bis c.p.) e lesioni personali (art. 582 c.p.). L’imputata, ritenendo la pena eccessiva, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un trattamento sanzionatorio troppo severo.

Tuttavia, il suo ricorso si è scontrato con una valutazione di inammissibilità da parte della Suprema Corte. La questione centrale non era se la pena fosse giusta o meno, ma se il modo in cui era stata contestata rispettasse i requisiti di legge.

L’Analisi della Corte sul Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione ha liquidato il ricorso con una motivazione tanto sintetica quanto netta, definendolo “manifestamente infondato e generico”. Questa valutazione si basa su due pilastri fondamentali.

La Genericità del Motivo di Appello

Il primo punto critico evidenziato dai giudici è che la critica mossa alla sentenza di secondo grado era vaga. La ricorrente si era limitata a sostenere che la pena fosse eccessiva, senza però individuare “le specifiche ragioni” che avrebbero dovuto spingere la Corte d’Appello a una maggiore mitezza. In pratica, non è sufficiente dire che una pena è troppo alta; è necessario spiegare perché, indicando quali criteri di valutazione del giudice siano stati errati o quali circostanze siano state ingiustamente trascurate. La Corte osserva che tale genericità caratterizzava non solo il ricorso in cassazione, ma anche il precedente motivo di appello.

La Motivazione Coerente della Corte d’Appello

Il secondo punto è che, al contrario della censura mossa dall’imputata, la motivazione della Corte d’Appello sulla determinazione della pena era stata “logica, coerente e puntuale”. I giudici di secondo grado avevano, quindi, già fornito una giustificazione adeguata delle loro scelte sanzionatorie, rendendo la critica generica della ricorrente ancora più debole e, di fatto, non meritevole di essere esaminata nel merito.

Le Conseguenze Economiche

La dichiarazione di inammissibilità non è priva di conseguenze. Oltre a rendere definitiva la condanna, comporta per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. In aggiunta, la Corte ha condannato l’imputata al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione pecuniaria volta a scoraggiare la presentazione di ricorsi palesemente infondati o dilatori.

Le motivazioni della decisione

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su un principio cardine del diritto processuale: il principio di specificità dei motivi di impugnazione. Un ricorso, specialmente in sede di legittimità, non può essere una mera riproposizione di lamentele generali. Deve, invece, articolarsi in una critica puntuale e argomentata del provvedimento impugnato, evidenziando errori di diritto o vizi logici specifici. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la ricorrente avesse omesso questo passaggio cruciale. La sua censura era astratta, non dialogava con le argomentazioni della sentenza d’appello e non offriva elementi concreti su cui la Cassazione potesse fondare un eventuale annullamento. La decisione riafferma che il ruolo della Cassazione non è quello di riesaminare il merito della vicenda, ma di controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, un controllo che può essere attivato solo da motivi specifici e pertinenti.

Conclusioni e implicazioni pratiche

Questa ordinanza serve da monito: impugnare una sentenza penale richiede rigore tecnico e argomentativo. Le critiche generiche, specialmente in materia di quantificazione della pena, sono destinate a fallire. Per avere una possibilità di successo, è indispensabile analizzare a fondo la motivazione del giudice e costruire una censura che ne smonti, punto per punto, la logica o ne evidenzi l’errata applicazione dei criteri legali. Diversamente, il risultato non sarà solo la conferma della condanna, ma anche l’aggravio di ulteriori spese, trasformando un tentativo di difesa in un danno economico aggiuntivo.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo presentato era manifestamente infondato e generico. In particolare, la critica relativa all’eccessività della pena non era supportata da specifiche ragioni.

Cosa avrebbe dovuto fare la ricorrente per formulare un ricorso ammissibile?
La ricorrente avrebbe dovuto individuare e specificare le ragioni concrete per le quali la Corte d’Appello avrebbe dovuto mitigare la pena, invece di limitarsi a una lamentela generica sul trattamento sanzionatorio.

Quali sono state le conseguenze economiche della dichiarazione di inammissibilità?
La ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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