Ricorso Inammissibile: La Decisione della Cassazione su Motivi Generici e Ripetitivi
Quando si impugna una sentenza, non è sufficiente dissentire dalla decisione: è fondamentale presentare argomenti specifici e pertinenti. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione chiarisce perché un ricorso inammissibile è la conseguenza diretta di motivi generici e ripetitivi. Questa ordinanza offre spunti essenziali per comprendere i requisiti di specificità richiesti dalla legge per accedere al giudizio di legittimità.
Il caso: un ricorso contro una condanna per truffa aggravata
Il caso in esame riguarda un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di truffa aggravata. Non accettando la sentenza della Corte d’Appello, l’imputato ha presentato ricorso per Cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. Vizio di motivazione e travisamento dei dati probatori: il ricorrente sosteneva che i giudici di merito avessero interpretato erroneamente le prove, giungendo a una conclusione ingiusta sulla sua responsabilità penale.
2. Violazione di legge sull’applicazione di un’aggravante: si contestava l’applicazione della circostanza aggravante della minorata difesa, ritenendola ingiustificata.
Tuttavia, la Suprema Corte ha rigettato completamente il ricorso, dichiarandolo inammissibile.
La decisione della Corte sul ricorso inammissibile
La Corte di Cassazione ha analizzato entrambi i motivi di ricorso, ritenendoli entrambi non meritevoli di accoglimento per ragioni diverse, che portano entrambe alla stessa conclusione: l’inammissibilità.
Primo motivo: la genericità e la reiterazione delle censure
Riguardo al vizio di motivazione, i giudici hanno osservato che il ricorrente si era limitato a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte dalla Corte d’Appello. Il ricorso non conteneva una critica specifica e argomentata contro la motivazione della sentenza impugnata, ma si risolveva in una semplice reiterazione di doglianze. Questo comportamento processuale rende il ricorso non specifico e solo apparente, privo della capacità di mettere in discussione il ragionamento del giudice di secondo grado. Di conseguenza, è stato ritenuto inammissibile ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c), del codice di procedura penale.
Secondo motivo: la mancanza di interesse concreto
Anche il secondo motivo, relativo all’aggravante della minorata difesa, è stato giudicato inammissibile. La Corte ha sottolineato che il ricorrente non aveva un interesse concreto a far valere questa censura. Infatti, anche se l’aggravante fosse stata esclusa, la pena finale non sarebbe cambiata. Ai fini della determinazione della sanzione, i giudici di merito avevano già riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, bilanciandole in un giudizio di equivalenza con la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale dell’imputato. L’eliminazione dell’aggravante non avrebbe quindi portato a una diminuzione della pena, rendendo la doglianza irrilevante ai fini pratici.
Le motivazioni
La motivazione della Corte si fonda su due pilastri fondamentali del diritto processuale penale. In primo luogo, il principio di specificità dei motivi di ricorso, che impone all’impugnante di confrontarsi criticamente con la decisione che contesta, e non di riproporre sterilmente le medesime tesi. Un ricorso che non assolve a questa funzione critica è considerato un ricorso inammissibile perché non consente alla Corte di Cassazione di svolgere il proprio ruolo di giudice di legittimità. In secondo luogo, il principio dell’interesse ad agire, secondo cui un’impugnazione è ammissibile solo se il suo accoglimento può portare a un risultato pratico favorevole per il ricorrente. Se, come nel caso di specie, l’eventuale accoglimento di un motivo non produce alcun effetto concreto sulla condanna, il motivo stesso è privo di interesse e, quindi, inammissibile.
Le conclusioni
L’ordinanza ribadisce un messaggio chiaro: il ricorso per Cassazione non è una terza istanza di merito dove poter ridiscutere i fatti. È un giudizio di legittimità che richiede censure precise, specifiche e giuridicamente fondate. Chi intende presentare ricorso deve articolare critiche puntuali alla sentenza impugnata, dimostrando in che modo essa abbia violato la legge o presenti vizi logici insanabili. La semplice ripetizione di argomenti già esaminati o la proposizione di motivi senza un concreto interesse pratico conducono inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Quando un ricorso per Cassazione viene considerato inammissibile?
Secondo questa ordinanza, un ricorso è inammissibile quando i motivi sono generici, si limitano a ripetere argomentazioni già respinte nei gradi precedenti senza un confronto critico con la sentenza impugnata, e quindi non svolgono una reale funzione di critica argomentata.
È sufficiente riproporre in Cassazione gli stessi motivi del processo d’appello?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha chiarito che la semplice reiterazione dei motivi già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito rende il ricorso generico e solo ‘apparente’, portando alla sua inammissibilità.
Perché il motivo sull’esclusione di una circostanza aggravante è stato respinto per ‘mancanza di interesse’?
Il motivo è stato respinto perché, anche se l’aggravante fosse stata esclusa, la pena finale non sarebbe cambiata. Al ricorrente erano già state concesse le attenuanti generiche in misura equivalente alla recidiva; pertanto, l’eliminazione dell’aggravante non avrebbe prodotto alcun effetto concreto sulla determinazione della sanzione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4107 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4107 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a COSENZA il 25/04/1985
avverso la sentenza del 31/01/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
considerato che il primo motivo di ricorso, con cui si censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione e, in particolare, travisamento dei dati probatori posti a fondamento della ritenuta responsabilità per il reato di truff aggravata ascritto all’odierno ricorrente, non è consentito in questa sede in quanto non connotato dai requisiti, richiesti, a pena di inammissibilità del ricorso, dall’a 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., poiché fondato su profili di censura che si risolvono nella reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non caratterizzati da un effettivo confronto con la complessità delle ragioni poste a base del decisum, e dunque non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che la Corte territoriale, con motivazione esente da vizi rilevabili in questa sede (si veda in particolare pag. 4 della impugnata sentenza), e facendo corretta applicazione dei principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità , ha esplicat le congrue e non illogiche ragioni di fatto e di diritto sulla base delle quali de affermarsi l’integrazione del reato de quo da parte dell’odierno ricorrente, sia sotto il profilo materiale che sotto quello soggettivo, dovendosi escludere, a contrario, la configurabilità di un mero inadempimento contrattuale di esclusivo rilievo civilistico;
osservato, inoltre, che il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’applicazione della circostanza aggravante della minorata difesa, non è connotato da concreto interesse, dal momento che l’esclusione dell’aggravante non avrebbe potuto comportare alcuna diminuzione della sanzione in quanto al ricorrente sono già state riconosciute le circostanze attenuanti generiche in misura equivalente alla recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale (cfr. art. 69, quarto comma, cod.pen.);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 29/10/2024.