Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8657 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8657 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOME, INDIRIZZO Somma Vesuviana il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/01/2023 della Corte di appello di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modiff., dalla I. 18 dicembre 2020, n. 176, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23 gennaio 2023, la Corte d’appello di Napoli, decidendo il gravame proposto da NOME COGNOME, ne ha confermato la condanna alla pena di mesi due di arresto e 21.342 euro di ammenda in ordine ai reati, riuniti nel vincolo della continuazione, di cui agli artt. 44, comma 1, l c), 64 e 71, 65 e 72, 93, 94 e 95 d.P.R. 6 giugno 2001, 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e 13 I. 6 dicembre 1991, n. 394 per aver realizzato in zona sismica e vincolata, ricadente anche nel Parco Nazionale del Vesuvio, opere abusive in assenza di permesso di costruire, in violazione della disciplina per la costruzione in cemento armato ed in zone sismiche, in assenza di autorizzazione paesaggistica e del nulleosta dell’RAGIONE_SOCIALE Parco.
Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduclerio, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo, la violazione dell’art. 44 t.u.e. ed il vizio di motivazione per essere sta erroneamente ed illogicamente affermata la responsabilità penale per tale reato. Si sostiene, infatti, che le opere non erano assoggettate a permesso di costruire posto che: non si trattava di opere di nuova edificazione, ma di manutenzione e sistemazione di opere preesistenti senza aumento di volumetria e superficie; si trattava, in ogni caso, di opere pertinenziali e, quanto al muro in cemento armato, lo stesso aveva funzione di contenimento e non di recinzione; le opere non incidevano in modo rilevante sul territorio, sicché il giudice ordinario aveva operato un’ingiustificata ingerenza nel campo riservato alla discrezionalità della Pubblica Amministrazione.
Ci si duole, inoltre, del fatto che l’esecuzione delle opere sia stata ricondotta all’imputato soltanto perché proprietario degli immobili.
Con il secondo motivo di ricorso, in relazione alle altre quattro contravvenzioni contestate in imputazione, si lamenta l’erronea applicazione della legge penale sul rilievo che la Corte territoriale aveva errato nel ritener che per la loro configurabilità non occorresse un effettivo pregiudizio per l’ambiente, trattandosi invece di opere dal ridotto impatto ambientale in relazione alle quali era evidente l’inoffensività della condotta.
Con il terzo motivo di ricorso si richiede l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione.
Con il quarto motivo si lamenta l’inosservanza degli artt. 163 e 164, quarto comma, cod. pen. ed il vizio di motivazione con riguardo al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena, avendo l’imputato precedenti non ostativi e che consentono di effettuare una prognosi favorevole.
Con l’ultimo motivo di ricorso si lamentano l’errata applicazione degli artt. 133, 133 bis, 81 cod..pen. ed il vizio di motivazione con riguardo all’eccessiva pena inflitta, in particolare a quella pecuniaria, non avendo la Corte territoriale tenuto conto delle effettive condizioni economiche dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, in parte perché devolve per la prima volta a questa Corte questioni di cui il giudice di appello non era stato investito e, in parte, per manifesta infondatezza, genericità e perché proposto per ragioni non consentite, essendosi il ricorrente, per il resto, limitato a riproporre in quest sede taluni dei motivi sollevati con l’appello, adeguatamente e correttamente vagliati dalla Corte territoriale, senza confrontarsi realmente con le argomentazioni spese in sentenza e sollecitando anche una diversa valutazione delle prove e ricostruzione del fatto.
1.1. Ed invero, quanto al primo dei cennati aspetti, va richiamata la preclusione di cui all’art. 606, comma 3, ult. parte, cod. proc. pen. nel caso di violazione di legge – e connesso vizio di mancanza di motivazione – non dedotta nei motivi d’appello.
Deve ribadirsi, al proposito, che laddove si deduca con il ricorso per cassazione il mancato esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo dedotto con l’atto d’appello, occorre procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, contenuto nel provvedimento impugnato, che non menzioni la doglianza proposta in sede di impugnazione di merito, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME e a., Rv. 270627; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, COGNOME, Rv. 259066). In tal caso, non solo la violazione di legge non è deducibile in questa sede, ma non può sul punto prospettarsi neppure il vizio di motivazione, ricavandosi dal disposto di cui al citato art. 606, comma 3, cod. proc. pen. il principio secondo cui è precluso dedurre per la prima volta in sede di legittimità questioni di cui i giudice dell’impugnazione sul merito non era stato investito (cfr. Sez. 5, n. 3560 del 10/12/2013, dep. 2014, Palmas e aa., Rv. 258553).
1.2. Quanto al secondo dei menzionati aspetti, va in primo luogo osservato che la genericità del ricorso sussiste non solo quando i motivi risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568). In particolare, i motivi del ricorso per cassazione – che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito – si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e aa., Rv. 243838), sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
Alla Corte di cassazione, poi, sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorren come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contr testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
Alla luce dei principi sopra richiamati, sui singoli motivi di ricorso Collegio osserva quanto segue.
2.1. Quanto al primo motivo, dalla sentenza impugnata, sul punto non contestata, non risulta che l’appellante avesse devoluto con il gravame di merito che le opere fatte oggetto di contestazione non erano nuove edificazioni, ma meri interventi di manutenzione su manufatti preesistenti, né che avesse specificamente evocato la natura pertinenziale dei manufatti, sicché le doglianze per la prima volta proposte in questa sede sul punto sono precluse.
Va in ogni caso rilevato come, facendo buon governo dei principi ermeneutici che regolano la materia – dal ricorrente in alcun modo considerati i giudici di merito abbiano esattamente ritenuto la necessità del previo rilascio
del permesso di costruire per le opere contestate in imputazione, trattandosi di interventi di trasformazione permanente di suolo agricolo inedificato attuati con opere che per lo più neppure erano consentite dal piano regolatore (per la necessità del previo rilascio del permesso di costruire, cfr.: quanto alle piscine, Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509; quanto ai muri, anche se di contenimento, Sez. 3, n. 26804 del 16/03/2023, COGNOME, Rv. 28480302; quanto alle tettoie costruite in aderenza ai fabbricati, Sez. 3, n. 42330 del 26/06/2013, Salanitro e a., Rv. 257290; quanto ai manufatti non precari di qualsiasi tipo che si elevano sul suolo, Sez. 3, n. 55366 del 21/11/2018, Ferraro, Rv. 274631).
Nessun pregio, poi, ha la generica doglianza di una pretesa “invasione” del campo riservato all’autorità amministrativa, essendo pacifico che: trattandosi di opere totalmente abusive, l’imputato non aveva attivato alcun iter di carattere amministrativo; la sentenza dà atto che anche l’autorità comunale che aveva effettuato il sopralluogo aveva ritenuto la necessità del previo rilascio del permesso di costruire, ingiungendo la demolizione delle opere; è in ogni caso pacifico che nella verifica sulla sussistenza del reato urbanistico di lavori i assenza di permesso di costruire spetti al giudice penale valutare se l’intervento sia o non sia assoggettato a quel titolo edilizio (cfr., di recente, Sez. 3, n. 2119 del 04/04/2023, COGNOME, Rv. 284626).
Quanto alla riconducibilità all’imputato della responsabilità penale per l’esecuzione, sulla sua proprietà, di quelle opere abusive, con giudizio di fatto non illogicamente argomentato ed in questa sede non ulteriormente scrutinabile, la sentenza ha spiegato le ragioni che sorreggono la conclusione e con queste, assolutamente in linea con i consolidati principi di diritto enunciati sul punto dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 16155 del 16/01/2019, Buda, Rv. 275401), il generico ricorso non si confronta.
2.2. Quanto al secondo motivo, analogamente a quanto da ultimo precisato e diversamente da quanto allegato in ricorso, la Corte territoriale, con giudizio di fatto in questa sede non rivisitabile e non inficiato dalle generiche contestazioni del ricorso, ha ritenuto che le opere abusive – ed in particolare le due piscine con complessiva superficie di 80 mq. ed il muro di apprezzabili dimensioni – avessero un non trascurabile impatto ambientale sì da richiedere certamente la previa autorizzazione paesaggistica, la cui necessità, peraltro, va valutata ex ante con riguardo anche all’impatto dell’opera sul paesaggio (cfr. Sez. 3, n. 4567 del 10/10/2017, dep. 2018, NOME COGNOME, Rv. 273067; Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, COGNOME, Rv. 263978).
Con riguardo, poi, al preventivo nulla-osta dell’RAGIONE_SOCIALE, a norma dell’art. 13, comma 1, I. 394/1991 lo stesso è necessario nel caso di «rilascio di
concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del RAGIONE_SOCIALE», sicché non v’è dubbio che, ritenuto trattarsi di opere soggette al permesso di costruire, detto provvedimento fosse necessario e che, in caso di opere completamente abusive, il reato in esame concorra con la contravvenzione urbanistica e con quella paesaggistica (cfr. Sez. 3, n. 48002 del 17/09/2014, Surano, Rv. 261152), stante l’autonomia dei profili paesaggistici ed ambientali da quelli urbanistici (Sez. 3, n. 33966 del 12/07/2006, COGNOME, Rv. 235118).
Nessuna specifica contestazione, poi, viene mossa in ricorso con riguardo alla sussistenza – di cui i giudici di merito hanno dato correttamente e logicamente conto – delle contravvenzioni alla disciplina concernente le costruzioni in cemento armato ed a quelle concernente l’esecuzione di lavori in zona sismica, rispetto alle quali ovviamente non rileva l’unica doglianza di dedotta inoffensività rispetto al bene dell’ambiente evocata dal ricorrente.
2.3. Quanto al quarto motivo di ricorso, lo stesso è all’evidenza inammissibile posto che si contesta il giudizio di merito circa la negativa prognosi sulla futura condotta dell’imputato, che la sentenza argomenta in base al suo stato di pluripregiudicato, anche in relazione ad un precedente specifico. Com’è noto, in forza di un risalente e consolidato orientamento che va qui certamente ribadito, la sospensione condizionale della pena è subordinata alla presunzione che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati e il relativo giudizio, formularsi alla stregua dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., avendo riguard alla specificità della condotta posta in essere, si sottrae, se adeguatamente motivato, ad ogni sindacato in sede di legittimità (Sez. 1, n. 2328 del 22/05/1992, Mazzanti, Rv. 191311). Né, secondo l’orientamento maggioritario condiviso dal Collegio, il giudice è obbligato a prendere in esame tutti gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen., potendo limitarsi ad indicare quegli elementi che egli ritiene prevalenti (Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, P., Rv. 272087; Sez. 3, n. 35852 del 11/05/2016, COGNOME, Rv. 267639; Sez. 2, n. 19298 del 15/04/2015, COGNOME, Rv. 263534; Sez. 3, n. 30562 del 19/03/2014, Avveduto e aa., Rv. 260136), sia per concedere che per negare il beneficio, senza che sia possibile muovere contestazione attinente alla attendibilità del giudizio prognostico, positivo o negativo, trattandosi d prospettazione di merito che non può trovare ingresso in un controllo di legittimità (Sez. 1, n. 326 del 24/01/1992, Galati, Rv. 189611). D’altra parte il ricorso – sul punto generico – non indica neppure a questo proposito elementi favorevoli non valutati ai fini del giudizio prognostico.
2.4. Del pari inammissibile per analoghe ragioni è il quinto motivo di ricorso, avendo la sentenza adeguatamente vagliato le doglianze proposte dall’appellante sulla misura della pena e non illogicamente motivato sulla sua congruità, anche
in relazione all’entità della pena pecuniaria, rispetto alla quale può soltanto aggiungersi che la stessa è stata dal primo giudice comminata muovendo dalla pena base minima prevista dall’art. 44, comma 1, lett. c), d.p.r. 380/2001, pari a euro 30.986 a seguito del raddoppio delle sanzioni pecuniarie disposto con art. 32 d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. dalla I. 24 novembre 2003, n. 326, ridotta per le circostanze attenuanti generiche e fatta oggetto di contenuti aumenti per la continuazione con gli altri reati. Del tutto generica, poi, è l doglianza sulla violazione dell’art. 133 bis cod. pen., posto che l’eccessiva gravosità della sanzione pecuniaria rispetto alle capacità economiche del soggetto, quale presupposto dell’applicazione della invocata disposizione, deve comportare una vera e propria impossibilità, o quantomeno un’estrema difficoltà, di soddisfare la pena che la faccia apparire meritevole di riduzione (Sez. 6, n. 56297 del 16/11/2017, COGNOME e a., Rv. 271675). Ed invero, mentre grava sulle parti processuali l’onere di provare le proprie deduzioni sulle condizioni patrimoniali (Sez. 1, n. 45482 del 04/11/2004, Zheng, Rv. 229750), in ricorso nulla si allega rispetto alla posizione dell’imputato, del quale soltanto sa che è proprietario dei numerosi beni immobili oggetto di contestazione, tra cui, appunto, una piscina (abusiva) di ben 67 mq.
2.5. Quanto, da ultimo, al rilievo sulla prescrizione dei reati, pure secondo il ricorrente intervenuta dopo la pronuncia della sentenza impugnata, essendo i motivi esaminati inammissibili e non essendosi pertanto formato un valido rapporto di impugnazione, è preclusa la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, dep. 2001, D.L., Rv. 217266), ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256463).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della cassa delle ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15 febbraio 2024.