Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8183 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8183 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/01/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con sentenza del 19 gennaio 2023 la Corte d’appello di Catania confermava la sentenza emessa il 15 luglio 2016 dal Tribunale di Catania, con cui l’imputato era stato condannato alla pena di mesi 8 gg. 27 di reclusione ed euro 2.000,00 di multa, in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990.
Avverso tale sentenza l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, lamentando:
2.1. Con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 111 Cost., 6 e 13 CEDU, 125, 546 c.p.p., in riferimento alla mancata esclusione della recidiva specifica e reiterata.
2.2. Con il secondo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 111 Cost., 6 e 13 CEDU, 125, 546 c.p.p., in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
3. Il ricorso è inammissibile.
Entrambi i motivi – che possono essere trattati congiuntamente – costituiscono pedissequa reiterazione di doglianze formulate in appello e motivatamente respinte dai giudici di secondo grado; essi, pertanto, difettano di specificità, omettendo di confrontarsi con il contenuto del provvedimento impugnato.
Esso, infatti, a pagina 2 motiva in modo sintetico, ma preciso, sia in ordine ai motivi per cui ha ritenuto corretta l’applicazione della recidiva (la specificità dei precedenti penali e la data di commissione dei reati, che sono indicativi dell’incidenza delle pregresse condotte di reato in quella attuale che è quindi espressione di perseverante inclinazione a delinquere e di maggiore pericolosità sociale dell’imputato), sia in ordine ai motivi per cui ha ritenuto corretta la decisione del primo giudice di non concedere le attenuanti generiche (ritenendo c:he la confessione dell’imputato, a fronte di granitiche prove a carico, non è sintomo di genuina resipiscenza, laddove per il diniego depongono sia i precedenti che le specifiche modalità della condotta, che denotano una «non occasionalità» della stessa), peraltro neppure richieste dall’imputato in sede di discussione.
Il ricorso non si confronta con la motivazione della sentenza, limitandosi a generiche contestazioni senza articolare la censura in modo realmente dialettico con il provvedimento impugnato, risultando così inammissibile per difetto di specificità
(Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217).
La funzione tipica dell’impugnazione, infatti, è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Essa si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (testualmente Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv 254584 e Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
Se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, quindi, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente «attaccato», lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato (sempre, da ultimo, Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, at.).
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2023.