Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6837 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6837 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Mosciano Sant’Angelo il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/11/2022 della Corte di appello di L’Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni scritte rassegnate nell’interesse dell’imputato dall’AVV_NOTAIO, nonché la memoria di replica alla requisitoria del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, con le quali si è insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 22 novembre 2022, la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la condanna alle pene di legge di COGNOME NOME in relazione al reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b) , d.P.R. 380/2001 per avere eseguito alcune opere in assenza di permesso di costruire, in epoca antecedente e prossima al 13 settembre 2017 (l’imputazione si riferisce a platee in cemento, baracche di lamiera con pali saldamente infissi nel terreno e vari muretti).
Avverso la sentenza, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo, l’erronea applicazione della legge penale incriminatrice per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente il reato senza aver considerato l’autorizzazione edilizia in sanatoria rilasciata nel 1991 alla madre del ricorrente, dalla quale il medesimo aveva acquistato gli immobili iure successionis. Tale autorizzazione – si allega comprovava che le platee in cemento ed i muretti erano stati realizzati dalla madre del ricorrente e che, comunque, per tali opere era intervenuta la sanatoria. Quanto alle baracche in lamiera, utilizzate già dalla dante causa come riparo per l’attività di attrezzature impiegate per la lavorazione e la vendita di legna da ardere, si sostiene trattarsi di manufatti precari, successivamente rimossi, non assoggettati al previo rilascio del titolo edilizio.
Si lamenta, inoltre, che la determinazione della pena sarebbe stata illegittimamente parametrata anche al contestato concorso di persone nel reato, insussistente per essere stato il coimputato assolto dall’addebito ascrittogli.
2.1. Con il secondo e il terzo motivo si lamentano, rispettivamente, la mancata acquisizione di una prova decisiva e il difetto di motivazione per non avere la Corte d’appello accolto, senza rendere motivazione, la richiesta di accertamento tecnico volto a dimostrare l’inesistenza sull’area delle citate baracche e, dunque, la loro precarietà e stagionalità.
2.2. Con l’ultimo motivo di ricorso si allega che, pur considerata la sospensione del corso della prescrizione per la durata di anni uno e mesi sei previsto dalla c.d. legge Orlando, il reato, commesso in data antecedente al 13 settembre 2017, sarebbe estinto con conseguente necessità di annullare la sentenza per sopravvenuta prescrizione.
Il ricorso è inammissibile in relazione a tutti i motivi dedotti.
3.1. Quanto al primo motivo, il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, che, con accertamento in fatto non contestato e
comunque in questa sede insindacabile, ha valutato l’autorizzazione in sanatoria rilasciata alla madre dell’imputato nel lontano 1991, attestando che la stessa non si riferisce all’area sulla quale insistono le opere fatte oggetto di contestazione e, dunque, non si riferisce a tali opere. Con riguardo alle stesse, la sussistenza del reato è stata in particolare ritenuta in relazione alle platee in cemento, sicché non rilevano le doglianze in questa sede riproposte con riguardo alla pretesa precarietà delle baracche in lamiera, precarietà, peraltro, che le stesse affermazioni contenute in ricorso in radice escludono, così mostrando la genericità dell’impugnazione sul punto. Ed invero, lo stesso ricorrente attesta che le baracche sarebbero state utilizzate addirittura già dalla defunta madre dell’imputato, per il ricovero di attrezzature legate allo svolgimento di un’attività economica e, dunque, per una finalità, durata a lungo nel tempo con rimozione conseguente soltanto alla contestazione dell’abuso, in alcun modo assimilabile al concetto di utilizzo precario che, per la consolidata giurisprudenza di questa Corte, può escludere l’obbligo del previo rilascio del titolo edilizio (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 5821 del 15/01/2019, Dule Samir, Rv. 275697).
Quanto alla doglianza sulla pena, ne sono evidenti la manifesta infondatezza e la genericità, posto che, nel confermarne la congruità anche in relazione ad un precedente penale dell’imputato, la sentenza impugnata non fa in alcun modo riferimento al fatto che la stessa si giustificherebbe alla luce del contestato concorso di persone nel reato, ritenuto pacificamente insussistente per l’intervenuta assoluzione del coimputato sin dal giudizio di primo grado.
3.2. Il secondo ed il terzo motivo – da trattarsi unitariamente per l’evidente connessione – sono inammissibili per genericità, in primo luogo alla luce della preclusione di cui all’art. 606, comma 3, ult. parte, cod. proc. pen.
Ed invero, deve ribadirsi, al proposito, che laddove si deduca con il ricorso per cassazione il mancato esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo dedotto con l’atto d’appello, occorre procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, contenuto nel provvedimento impugnato, che non menzioni la doglianza proposta in sede di impugnazione di merito, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME e a., Rv. 270627; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, COGNOME, Rv. 259066). Nella specie, con riguardo al fatto che con l’appello sarebbe stata richiesta la rinnovazione istruttoria con riguardo ad un non meglio identificato “accertamento tecnico” motivo di cui la sentenza impugnata non dà alcuna evidenza – ciò non è stato fatto e per ciò solo le doglianze sul punto sono inammissibili per genericità.
Le doglianze sono in ogni caso generiche poiché, come si è detto, la penale responsabilità è stata in particolare confermata con riguardo all’esecuzione delle
platee in cemento e il ricorrente non ha allegato alcuno specifico interesse alla mancata disamina anche dell’ulteriore profilo di addebito concernente le baracche in lamiera.
3.3. L’ultimo motivo, che fa riferimento al termine di prescrizione ad oggi maturato, è del tutto generico e, comunque, precluso in questa sede.
Ed invero, in ricorso non si sostiene che il reato fosse prescritto già al momento della pronuncia della sentenza qui impugnata, posto che lo stesso ricorrente considera operante la sospensione del processo per anni uno e mesi sei considerata dalla Corte territoriale in forza della I. 103/2017 e che il reato è stato commesso in epoca antecedente e prossima al 13 settembre 2017, sicché, alla data della sentenza impugnata, il complessivo termine di anni sei e mesi sei di reclusione conseguentemente risultante anche in forza delle interruzioni intervenute non potrebbe certamente dirsi decorso. A prescindere dal rilievo se tale conclusione sia o meno condivisibile, vale, dunque, il principio giusta il quale l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609 comma secondo, cod. proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure in quanto tale dedotta con i motivi di ricorso (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818).
Ciò posto, essendo i motivi esaminati inammissibili, il Collegio non può sul punto compiere alcun ulteriore accertamento in mancanza di un valido rapporto di impugnazione che consenta a questa Corte la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (v. anche Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, dep. 2001, D.L., Rv. 217266), non potendo quindi neppure rilevare la prescrizione eventualmente intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256463).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della cassa delle ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 21 dicembre 2023.